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Good Morning Aman: La rabbia giovane

L'incontro di un ex-pugile depresso e di un ragazzo somalo nella Roma dell'immigrazione.
di Edoardo Becattini

Aman (Said Sabrie)
Said Sabrie . Interpreta Aman nel film di Claudio Noce Good Morning Aman.

martedì 10 novembre 2009 - Incontri

Forse qualcosa si sta finalmente muovendo anche nel cinema italiano. Forse anche nella nostra cinematografia stiamo cominciando a guardarci attorno e a scoprire il carattere multiculturale della moderna società attraverso un'ottica che non sia né quella della paura e della xenofobia, né quella di un certo umanesimo peloso e didascalico. Lo sguardo su questa Italia inedita, così comune ma anche così sconosciuta, è quello di giovani autori interessati soprattutto ai giovani immigrati di seconda generazione (quindi al futuro della società dell'immigrazione, più che alle polemiche del presente) e frequentatori anche delle pratiche del documentario, come Francesco Munzi, Claudio Giovannesi, Federico Bondi, Marco Simon Puccioni.
A questi, si aggiunge oggi anche Claudio Noce, regista di videoclip e documentari attento ai fermenti sotterranei della metropoli romana, con il primo lungometraggio: Good Morning Aman. Partendo dai ragazzi conosciuti in giro per la capitale e nel quartiere d'immigrazione per eccellenza del centro di Roma, l'Esquilino, Claudio Noce riprende alcuni temi già affrontati nei suoi primi cortometraggi come la rabbia e le aspirazioni giovanili e lo sfruttamento lavorativo, per costruire la storia di un incontro d'identità prima che di razze, di rabbia prima che di amicizia, fra un ragazzo somalo, ribelle e sognatore, in cerca di un posto nel mondo e un uomo completamente avulso dalla società per propria scelta.
Per realizzare un tale connubio di anime forti e deboli, Noce si serve di uno stile visivo non convenzionale e di due ottime presenze: la giovane scoperta Said Sabrie e Valerio Mastandrea, per l'occasione diventato anche co-produttore.

Come è nato il film?
Claudio Noce: Il film ha avuto una genesi piuttosto lunga. Si è sviluppato nell'arco di tre anni, a partire da un ragazzo che ho incontrato mentre giravo un documentario sugli immigrati di seconda generazione residenti a Roma. In quell'occasione ho incontrato il vero Aman, un ragazzo somalo di neanche vent'anni che è emigrato a Roma all'età di quattro anni. La sua rabbia e la sua necessità di raccontare i suoi problemi con la società italiana e con il mondo del lavoro mi hanno ispirato una storia forte. Per poterla sviluppare adeguatamente ho poi incontrato molti altri ragazzi immigrati di seconda generazione, fra i quali anche Said Sabrie, che prima di diventare Aman, era già stato il protagonista anche di un mio cortometraggio Adil e Yussuf.

Valerio, cosa ti ha convinto a produrre il film?
Valerio Mastandrea: Sono diventato co-produttore del film un po' per caso. Ho sempre cercato di lavorare assieme ai registi, di costruire personaggi e situazioni, ma più come attore. Con Good Morning Aman il mio ingresso come produttore è stato un po' casuale: conoscevo bene Claudio Noce perché avevo già lavorato con lui quando faceva l'assistente alla regia.
Quando poi mi ha parlato del progetto ho sentito subito l'istinto di partecipare, di prendervi parte. Il mio contributo come produttore è stato però più artistico che tecnico, cioè ho cercato di contribuire in ciò su cui ho un po' più d'esperienza, dalla stesura del progetto fino alla post-produzione e al montaggio.


Un film che parla di immigrazione?
Claudio Noce: In effetti, un elemento fondamentale è quello dell'identità più che dell'integrazione. Quando Aman e Teodoro si incontrano sul terrazzo, si tratta di un incontro prima spirituale che fisico, quasi sciamanico. Sono due personaggi predestinati, lontani anni luce per carattere e esperienze di vita, eppure vicinissimi. Per me era quindi importante raccontare una storia di formazione con un messaggio che fosse prima personale che educativo, che comunicasse l'importanza delle scelte personali e del sacrificio, prima che raccontare l'immigrazione in Italia.
Ho scelto poi di farlo con uno stile visivo particolare, perché non volevo avvicinarmi troppo al realismo del documentario. Anche nei documentari che ho girato in passato, ho cercato di utilizzare uno stile sempre molto cinematografico, legato ad una certa cinematografia americana e ad autori come Scorsese e Cassavetesin particolare.

Cosa ti ha convinto della storia?
Valerio Mastandrea: Da tempo mi ero ripromesso di non lavorare almeno per un certo periodo con giovani registi alla prima o alla seconda prova di regia, per non dover soffrire assieme a loro delle condizioni produttive. Poi ci ho dovuto ripensare subito quando è subentrata l'idea di fare questo film, un po' perché conoscevo già bene Claudio e un po' per l'importanza della storia. Una storia che parla di emarginazione in un modo nuovo, di integrazione ma anche di disintegrazione, attraverso il rapporto fra un ragazzo somalo in cerca di identità e un uomo di quarant'anni che ha ormai perso ogni contatto con la società.


Parlano gli attori
Amin Nour: All'inizio dovevo solo fare la comparsa. Poi, quando ho incontrato Claudio Noce, è subentrata la possibilità di interpretare la parte di Said, il miglior amico del protagonista. Quando abbiamo fatto una prova costumi, Claudio mi ha dato un paio di vecchi occhiali degli anni '50 e una volta indossati mi ha detto: “Sei perfetto!”.

Valerio Mastandrea: Nella mia carriera sono stato più volte intrappolato in un certo tipo di personaggio: prima il giovane sbandato e arrabbiato, poi il coatto arrabbiato e ora l'uomo inquieto e arrabbiato. Comincio a pensare che per me sia quasi una scelta di comodo, dettata dal fatto che mi sono sempre piaciuti più i personaggi oscuri e tormentati di quelli limpidi. Per me infatti, le persone e non solo i personaggi devono sempre portare dentro un po' di rabbia. Detto questo, da un punto di vista professionale, mi rendo anche conto che forse dovrei passare a interpretare anche qualche personaggio un po' più “normale”.

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