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L'enfasi di Baarìa (e degli altri)

Quando il cinema si compiace dei propri muscoli.
di Pino Farinotti

Ridondante

lunedì 19 ottobre 2009 - Focus

Ridondante
Gabriele Muccino e Giuseppe Tornatore hanno incontrato il pubblico al festival di Roma. Sono autori italiani capaci di operare oltre confine, il primo è stato adottato dal cinema americano, e non è un piccolo riconoscimento, il secondo, molti anni fa, ha vinto un Oscar. Sappiamo. Muccino, col sorriso ha detto a Tornatore: "il tuo Baaría è ottimo, anche se un po', ridondante." Non intendo scrivere (ancora) di Baaría, che è certo un film importante e da vedere, intendo scrivere di "ridondante". La ridondanza, l'enfasi, sono codici che identificano gran parte del cinema contemporaneo. Lo si deve alla necessità febbrile del consumo, all' attitudine del target che va al cinema, che è, per lo più, quello giovane. È notorio che la cultura attuale, chiamiamola giovanile, corre veloce, brucia in pochi attimi: c'è la musica, i videoclip, la PlayStation, Wikipedia, non c'è più la parabola naturale della drammaturgia e del racconto che sembrava essere acquisita e consolidata nelle dinamiche e nei tempi. C'era il tempo dell'inizio, poi lentamente saliva l'azione, c'erano i momenti di connessione, le scene madri, e il finale.

Thriller
Un modello esemplare è il thriller, è il giallo. La tradizionale dinamica propone il delitto e poi l'indagine, che parte lenta (il detective porta a porta, strada a strada) poi accelera. E alla fine il nodo viene sciolto e l'assassino smascherato. Adesso il killer è sempre un serial. Il delitto sono sempre delitti. Dunque il film vive di segmenti, otto omicidi e otto storie, con otto parabole di racconto, otto violenze, otto emozioni. Otto velocità che diventano una velocità. Nessuna attesa, nessun intermezzo. E il detective non deve andare negli archivi, non deve fare domande, c'è il computer che azzera quella parte così affascinante di indagine. Il computer fa tutto. Le "otto (o dieci o venti) emozioni" è dunque la regola. Questo quadro di fruizione frenetica omologa ormai gran parte del cinema. Tornando al film di Tornatore ecco la serie di sequenze brevi, ciascuna di pochi minuti, ogni sequenza è un racconto autonomo, veloce e compiuto, seguito da un altro, veloce e compiuto. Il ritmo è molto alto naturalmente, la drammaturgia compressa, con la colonna sonora che non stacca mai, occupa tutto il film, al massimo della enfasi e dei decibel. Una serie di brevi sinfonie sapienti e implacabili, secondo il grande Morricone, maestro massimo dell'incidenza della musica sull'immagine. E per tutto il film, Tornatore a mostrare i muscoli, "tattili" e levigati. Mi piace dare un'indicazione artistica, certo nobile, la metafora di un richiamo antico ma che davvero non risente del tempo. Magnifica enfasi classica. Il discobolo di Mirone, plastico, elegante, compiaciuto, quasi narciso, può essere un'efficace rappresentazione di Baaría.

Travolgente
Il primo episodio del film è travolgente. Il bambino che corre sulla strada principale del paese, con la cinecamera che lo anticipa, e poi si alza in volo è un magnifico segnale preventivo, un'accelerazione istantanea, un'ottima regola drammaturgica, una gemma. Le sequenze che seguono: tutte brevi, tutte a chiudersi. Ne finisce una, ne comincia un'altra. Come detto l'intensità non scende mai, Morricone non cala mai, i volti esprimono sempre tensione. I contadini, i clienti dei bar, i passanti, i poveri e il ricco, il podestà, il matto del paese, il politico, l'innamorata e il protagonista: sono sempre tutti febbrili. Una sequenza di connessione, a stemperare, un panorama, una strada coi passanti, un gregge, se c'è non è di connessione, ma ogni scena, quasi ogni fotogramma, va "oltre", c'è qualcosa di sotterraneo, c'è un'implicazione, e anche una promessa di violenza trattenuta solo all'ultimo, ma sospetti che la violenza poi ci sarà. Le "gemme" sono diventate gli elementi di una collana che non ha il filo. E poi la cultura. Ma questo è il mio pensiero, non faccio parte del target prevalente, la mia cultura e la mia discrezionalità non fanno testo, fa testo il box office: la PlayStation l'ho vista usare dai miei figli, per una ricerca rigorosa vado anche su internet, ma soprattutto sui libri. Ecco, "libro". Baaría è pieno di cultura cinematografica ma nei dialoghi, nella vicenda, negli equilibri, qualcosa manca. Manca il romanzo. La letteratura terrebbe a bada l'enfasi. Ma Tornatore è così: vuole scrivere, peraltro senza l'aiuto di nessuno, e non è il suo mestiere.

Cultura
Va detto che questo linguaggio, questa cultura, sono un regalo del cinema americano, che tuttavia si vale di un materiale che si sposa all'enfasi: la fantasy per esempio o i colossi che appartengono quasi soltanto a quel cinema e a quei budget.
I maestri, gli ... autori perfetti, americani e non solo, hanno dunque maggiore abitudine alla gestione dell'enfasi. E possiedono un rigore che li costringe ad essere umili. I Coen, Joel ed Ethan hanno scritto il soggetto e la sceneggiatura del Grande Lebowski , ma sanno scrivere, in quel film non sentivi la mancanza di un romanzo. Ma per Non è un paese per vecchi, si sono limitati a sceneggiare, perché Cormac McCarthy, l'autore del romanzo, scrive meglio, scrive da romanziere. Certo non sono facili le misure, ma alcuni le hanno trovate, a volte acquisendo romanzi, come Coppola e Kubrick, o possedendo un'arte che fa testo, come Almodovar, che è anche ottimo scrittore peraltro. Ma questi sono artisti generali, autori di cinema perfetti. Enfasi o non enfasi. Tuttavia, concludendo con Baaría, ribadisco: di titolo importante trattasi, un "evento" cui non mancare. E rispetto al nostro panorama è meritevole di concorrere agli Oscar. Anche se dubito che vincerà.

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