shiningeyes
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venerdì 26 aprile 2013
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un'opera distruttiva, ma ricca.
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Come al solito Lars Von Trier non smette di stupirci o inorridirci con le sue opere, così strazianti e visivamente scioccanti, ma anche così profonde e simboliche, aiutate da una fotografia bellissima.
In “Antichrist” ci viene offerta una superba prestazione da parte del regista, che decide di affrontare i fantasmi della sua appena passata depressione, che si denuda ad un tema di difficile digeribilità, che fa contorcere lo stomaco a noi: la donna vista come essere ambiguo e malvagio, come essere più vicino alla natura e alla sua crudeltà.
Levando il fatto che dissento totalmente con i temi preposti da Trier, mi trovo ad analizzare un'opera mistica e psichedelica, fatta di fotografie simboliste che ricordano il regista russo Andreij Tarkovskij (film dedicato alla sua memoria), a cui come Trier, piaceva farle in suggestive scenografie di boschi, e scene girate con slow motion che ne indicano sublimazione e meraviglia fino a quelle soggettive che seguono da vicino i due protagonisti, che ci presentano una realtà sinistra e malefica.
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Come al solito Lars Von Trier non smette di stupirci o inorridirci con le sue opere, così strazianti e visivamente scioccanti, ma anche così profonde e simboliche, aiutate da una fotografia bellissima.
In “Antichrist” ci viene offerta una superba prestazione da parte del regista, che decide di affrontare i fantasmi della sua appena passata depressione, che si denuda ad un tema di difficile digeribilità, che fa contorcere lo stomaco a noi: la donna vista come essere ambiguo e malvagio, come essere più vicino alla natura e alla sua crudeltà.
Levando il fatto che dissento totalmente con i temi preposti da Trier, mi trovo ad analizzare un'opera mistica e psichedelica, fatta di fotografie simboliste che ricordano il regista russo Andreij Tarkovskij (film dedicato alla sua memoria), a cui come Trier, piaceva farle in suggestive scenografie di boschi, e scene girate con slow motion che ne indicano sublimazione e meraviglia fino a quelle soggettive che seguono da vicino i due protagonisti, che ci presentano una realtà sinistra e malefica.
Poi, noi tutti sappiamo che Von Trier, riesce a tirare fuori il meglio dai suoi attori, sottoponendoli a prove psicologiche massacranti, ma il risultato è sempre una prova eccelsa da parte loro, e non fanno eccezione i bravissimi Willem Defoe e Charlotte Gansbourg (Palma d'oro a per lei) che vestono in maniera maledettamente straziante e vera i volti dei genitori addolorati dalla perdita del figlioletto, denotandone le diversità tra loro: razionale psicoterapeuta lui, sofferente e autolesionista lei.
La storia, in questo calderone di simbolismo e di masochismo, un po' si perde, a favore di scene di raccapricciante visione, che ti fanno quasi per forza voltare la faccia dall'altra parte, e anche a favore di analisi psicologiche complesse, che possono farti riflettere.
“Antichrist” è un film che va capito, perché con un'analisi superficiale si fa presto a gettarlo alle ortiche e bollato come “perversione”, e io credo che, si tratti di un lavoro estremamente difficile e duro, ma pieno di bellezza e ricco di riferimenti importanti (che non condivido) sulla sofferenza interiore. Lars, mi hai sconvolto ma anche deliziato, stavolta.
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federsex
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lunedì 7 ottobre 2013
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il volto oscuro dell'istinto
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La perdita di un bimbo porta la coppia a colpevolizzarsi a vicenda, la madre cade in una profonda depressione senza ritorno. Bellissima interpretazione dello spirito malvagio che si impossessa della mente della mamma, portandola in un abisso di perversione, a tratti maniaco- compulsiva, senza freni inibitori. La natura si rivela quale madre dei segreti del passato, nel massacro di corpi di bambini,, trasportando la donna nel dolore ed angoscia. La provocazione del regista è riuscita nell'intento di esprimere l'istinto di distruzione, unito alla spiritualità insita in ogni essere umano. Interpretazione ottima di William Do Fou nel ruolo di marito e psicoterapeuta, nel tentativo di recupero mentale della moglie.
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La perdita di un bimbo porta la coppia a colpevolizzarsi a vicenda, la madre cade in una profonda depressione senza ritorno. Bellissima interpretazione dello spirito malvagio che si impossessa della mente della mamma, portandola in un abisso di perversione, a tratti maniaco- compulsiva, senza freni inibitori. La natura si rivela quale madre dei segreti del passato, nel massacro di corpi di bambini,, trasportando la donna nel dolore ed angoscia. La provocazione del regista è riuscita nell'intento di esprimere l'istinto di distruzione, unito alla spiritualità insita in ogni essere umano. Interpretazione ottima di William Do Fou nel ruolo di marito e psicoterapeuta, nel tentativo di recupero mentale della moglie. Mi piace l'esposizione cinematografica del regista Lars Von Trier, provocatoria e realista, suspence per le scene di intimità che all'inizio danno impressione di altro, ma poi rivelatrici di istinti primordiali.
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vixens
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giovedì 28 maggio 2009
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critica da minculpop
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esco appena adesso dal cinema...il film è molto bello, non facile, pieno di argomenti e di riferimenti, nei contenuti e visivi. Un film ricco, non direi elegante ma dalle forme estreme e dai colori accesi come una pittura fiamminga. Ho voluto accedere al sito per leggere le recensioni, che immaginavo, soprattutto quelle dei quotidiani di "sinistra", liquidatorie e irridenti. Critici conformisti, di apparato, che non vedono al di là del proprio naso. C'è poco da stare allegri in questo paese: da una parte c'è Berlusconi e la sua cultura-intrattenimento, dall'altra il conformismo cattocomunista, ormai rancido. Ci vuole molta malafede a trattare con sufficienza quest'opera solo perché trascende tematiche sociali o propone una visione delle cose non conforme a un'idea unilateralmente considerata "progressista".
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esco appena adesso dal cinema...il film è molto bello, non facile, pieno di argomenti e di riferimenti, nei contenuti e visivi. Un film ricco, non direi elegante ma dalle forme estreme e dai colori accesi come una pittura fiamminga. Ho voluto accedere al sito per leggere le recensioni, che immaginavo, soprattutto quelle dei quotidiani di "sinistra", liquidatorie e irridenti. Critici conformisti, di apparato, che non vedono al di là del proprio naso. C'è poco da stare allegri in questo paese: da una parte c'è Berlusconi e la sua cultura-intrattenimento, dall'altra il conformismo cattocomunista, ormai rancido. Ci vuole molta malafede a trattare con sufficienza quest'opera solo perché trascende tematiche sociali o propone una visione delle cose non conforme a un'idea unilateralmente considerata "progressista". Credo che la vera arte lavori sempre a favore della trasformazione e del cambiamento, e della critica. Il ciarpame, la maniera e la convenzione, quelli si che sono reazionari.
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molenga
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venerdì 14 ottobre 2011
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la natura del male
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Una coppia si lascia andare al piacere dei sensi , è notte e, nella stanza adiacente, il figlioletto vede scendere la neve: catturato, si sporge a guardarla e cade, morendo. La donna(charlotte gainsbourg) non riesce a riprendersi ed il marito(defoe) decide, essendo egli stesso uno psico terapeuta, di curarla.alla ricerca della radice del dolore i due si inoltreranno in un bosco (eden wood) dove lei si era ritirata a scrivere una tesi con il bambino...ma la tragedia non tarderà ad arrivare.
Film fortissimo, ricco di immagini sconcertanti che lo hanno fatto classificare come horror e non potevano evitare di passare sotto la mannaia della censura; "antichrist", da molti bollato come misogino, è forse misogeno, ovvero voglioso di creare odio contro la natura il chi lo guarda: pare un picco di rabbia in un oceano di depressione, quella del regista.
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Una coppia si lascia andare al piacere dei sensi , è notte e, nella stanza adiacente, il figlioletto vede scendere la neve: catturato, si sporge a guardarla e cade, morendo. La donna(charlotte gainsbourg) non riesce a riprendersi ed il marito(defoe) decide, essendo egli stesso uno psico terapeuta, di curarla.alla ricerca della radice del dolore i due si inoltreranno in un bosco (eden wood) dove lei si era ritirata a scrivere una tesi con il bambino...ma la tragedia non tarderà ad arrivare.
Film fortissimo, ricco di immagini sconcertanti che lo hanno fatto classificare come horror e non potevano evitare di passare sotto la mannaia della censura; "antichrist", da molti bollato come misogino, è forse misogeno, ovvero voglioso di creare odio contro la natura il chi lo guarda: pare un picco di rabbia in un oceano di depressione, quella del regista. film per adulti con lo stomaco forte
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van cristal lee
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martedì 3 gennaio 2012
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non per tutti
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Un film è prima di tutto, come ogni progetto immaginativo, comunicazione. L'abilità del regista nel farci entrare nel suo pensiero è ciò che determina a mio avviso la riuscita di un film. Ogni film viene compreso in rapporto a ciò che siamo. Per comprendere ciò che l'altro ci vuole comunicare dobbiamo basarci su delle precomprensioni nostre, per poi, eventualmente, modificarle.
Questo è un film sicuramente di difficile lettura, ed è facile trovarci un senso personale. Ma forse proprio questa ambiguità significativa rende ancora più seducente questo film. "Cosa ci vuoi dire Lars?". E' questa la domanda costante che lo spettatore si pone fruendo di questa esperienza cinematografica, sicuramente fuori dalle righe.
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Un film è prima di tutto, come ogni progetto immaginativo, comunicazione. L'abilità del regista nel farci entrare nel suo pensiero è ciò che determina a mio avviso la riuscita di un film. Ogni film viene compreso in rapporto a ciò che siamo. Per comprendere ciò che l'altro ci vuole comunicare dobbiamo basarci su delle precomprensioni nostre, per poi, eventualmente, modificarle.
Questo è un film sicuramente di difficile lettura, ed è facile trovarci un senso personale. Ma forse proprio questa ambiguità significativa rende ancora più seducente questo film. "Cosa ci vuoi dire Lars?". E' questa la domanda costante che lo spettatore si pone fruendo di questa esperienza cinematografica, sicuramente fuori dalle righe. Ma il suo essere oltre i limiti non è semplicemente per via della sua manifestazione di immoralità o di presunta irrazionalità: questo film va oltre prima e soprattutto perchè non può esonerarti dall'avere un rapporto diretto e costante con il pensiero del regista. Lars dialoga, in modo suo, esplicitando cose e velandone altre. Sicuramente conosce i modi per giocare con la nostra emotività: ci porta, prima di iniziare a parlare, in uno stato emotivo simile al suo, ci porta, prima di iniziare il discorso, in casa sua.
Forse l'unico critica che posso muovere è sul prodotto del suo pensiero, tenendo in considerazione che rimane comunque un punto di vista.
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ultraviolence
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venerdì 12 giugno 2009
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arte liberatoria
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Il prologo del film è arte audio-visiva allo stato puro: il “rallenti” in b/n dei corpi dei due coniugi che, sulle note della celestiale aria di Haendel (“Lascia ch’io pianga…”), s’intrecciano in un’intensa copulazione, che procede parallelamente al consumarsi della tragedia attraverso un susseguirsi d’immagini fortissime, probabilmente rappresenta l’esempio cinematografico più alto sul binomio tra Eros e Thanatos.
Terminato l’”incipit”, si passa al corpo centrale dell’opera imperniato sull’elaborazione del lutto da parte della coppia, nella quale il marito assume le vesti del suo ruolo professionale di psicoterapeuta. Sin dalle prime sequenze di questa parte della pellicola si percepisce la valenza metaforica, allegorica e simbolica dell’atmosfera surreale in cui sono calati i due protagonisti e nella quale si assiste allo scontro tra la ragione, impersonata dalla figura maschile (Willem Dafoe), e la Natura fatta carne nel personaggio di Charlotte Gainsbourgh.
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Il prologo del film è arte audio-visiva allo stato puro: il “rallenti” in b/n dei corpi dei due coniugi che, sulle note della celestiale aria di Haendel (“Lascia ch’io pianga…”), s’intrecciano in un’intensa copulazione, che procede parallelamente al consumarsi della tragedia attraverso un susseguirsi d’immagini fortissime, probabilmente rappresenta l’esempio cinematografico più alto sul binomio tra Eros e Thanatos.
Terminato l’”incipit”, si passa al corpo centrale dell’opera imperniato sull’elaborazione del lutto da parte della coppia, nella quale il marito assume le vesti del suo ruolo professionale di psicoterapeuta. Sin dalle prime sequenze di questa parte della pellicola si percepisce la valenza metaforica, allegorica e simbolica dell’atmosfera surreale in cui sono calati i due protagonisti e nella quale si assiste allo scontro tra la ragione, impersonata dalla figura maschile (Willem Dafoe), e la Natura fatta carne nel personaggio di Charlotte Gainsbourgh. La razionalità applicata in maniera indefessa e puntigliosa degrada nel puro sadismo e non può che rivelarsi integralmente esiziale nei confronti di chi vi è sottoposto analiticamente, tanto da scatenarne gli impulsi più reconditi, la natura più profonda e maligna che prende il sopravvento spazzando via uno ad uno, con un cinismo che non ha eguali, tutte le presunte conquiste della scienza, e ribaltando così tutti i punti di forza che si credevano inattaccabili: Lei li conosce perfettamente, li studia, li analizza e li annienta senza concedere tregua. E così, ad onta dei tentativi dello psicoterapeuta di trovare un ordine e un equilibrio nel soggetto, ci si trova al cospetto dello straripamento di tutta la ferinità del femmineo, che inghiotte e getta nel caos qualsiasi cosa. Potentissima, in questo senso, l’immagine dell’uomo tempestato da una pioggia di ghiande: un profluvio di morte che lo travolge con un impeto tale da annichilirlo. E non c’è modo di fermare questo nefasto impeto, né la mortificazione dei genitali né l’assissinio della donna. La Natura si rigenera e a ogni occasione lo fa con una potenza cento volte più grande, così come palesa il finale (e anche qui un altro momento altissimo di cinema, che richiama nei colori della fotografia i film di Tarkovskij e nell’ambientazione “Madre e figlio” di Sokurov.
Dunque, in definitiva, non esiste un ordine divino: ovunque, fuori e dentro di noi “regna il caos”. Ce l’aveva già dimostrato Werner Herzog col suo splendido “Grizzly man” e ce lo ribadisce oggi con altrettanta forza Lars Von Trier. Si potrà muovere a quest’ultimo l’accusa di aver abusato di immagini crude e violente, ma di là da queste considerazioni non si può non riconoscere la grandezza di questo regista nel mettere in scena il conflitto tra Ragione e Natura con una straordinaria veemenza (audio-)visiva.
E poi si tratta di un’opera sincera, perché trasuda sofferenza da ogni suo poro: quella stessa sofferenza che ha attanagliato il regista per due anni e che è sfociata nello sfogo catartico dato dalla realizzazione di questa pellicola. Ma un film siffatto può risultare terapeutico anche per lo spettatore che, in un modo o nell’altro, si sente in sintonia con esso e si ritrova ad empatizzare con i sentimenti che ne sono alla radice: questo perché trattare tematiche estremamente nichilistiche non significa necessariamente sprofondare nell’aprassia, in un pessimismo senza via d’uscita; ma può anche –e soprattutto- avere una valenza liberatoria.
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paolo antonucci
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venerdì 22 maggio 2009
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essere dia-bolici (errata corrige)
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Non sono d'accordo, probabilmente a torto, che Trier voglia qui mettere in campo le proprie angosce nei confronti del genere femminile. Tutt'altro. Pare che il regista danese sia qui ad un ripensamento del suo percorso, come stesse facendo il punto sulla propria carriera dopo il progetto partito con Dogville. Esplicito pare il riferimento a delle atmosfere di Lo specchio o Solaris di Tarkoskij cui per altro il regista, non ironicamente, dedica l'opera. Viene da pensare che i giornalisti e il pubblico presente in sala a Cannes abbiano ormai stomaci fin troppo pasciuti per interrogarsi sul perché di una scelta, e preferiscano dare sfogo alla propria pinguitudine fischiando e rimbrottando ciò che per essere colto richiederebbe almeno un pò di attenzione e impegno.
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Non sono d'accordo, probabilmente a torto, che Trier voglia qui mettere in campo le proprie angosce nei confronti del genere femminile. Tutt'altro. Pare che il regista danese sia qui ad un ripensamento del suo percorso, come stesse facendo il punto sulla propria carriera dopo il progetto partito con Dogville. Esplicito pare il riferimento a delle atmosfere di Lo specchio o Solaris di Tarkoskij cui per altro il regista, non ironicamente, dedica l'opera. Viene da pensare che i giornalisti e il pubblico presente in sala a Cannes abbiano ormai stomaci fin troppo pasciuti per interrogarsi sul perché di una scelta, e preferiscano dare sfogo alla propria pinguitudine fischiando e rimbrottando ciò che per essere colto richiederebbe almeno un pò di attenzione e impegno. Inoltre la coerenza del film sembra data dal piglio razionale di Dafoe che cela in realtà le proprie angosce. La misoginia medievale e moderna ha lo stesso grado di irrazionalità dell'analisi/terapia attuata dal marito sulla moglie/Gainsbourg: entrambe proiettano paure e spettri in un’opera che dicono scientifica ma alla cui base è poco più di una petizione di principio ( «sono un medico migliore perché ho avuto più pazienti» dice all’incirca il marito dottore sostituendosi ad uno specialista per le cure della moglie). Il marito non accetta la cura che la moglie sta seguendo perché paradossalmente non lo coinvolge; perché non mette in campo le sue di angosce che egli non ammette avendo la pretesa di aver già risolto. Il sedicente analista così, emotivamente coinvolto, sarà lui alla fine ad uccidere la moglie espiando, forse, il senso di colpa di entrambi.
Tuttavia, nel film di Trier c'è qualcosa che va al di là del semplice dramma analitico, e che sconfina nel mondo dei simboli coinvolgendo una riflessione antropologica sul modo in cui la nostra società abbia trattato le proprie angosce, indentificandole con un Male astratto che di volta in volta si incarna nel nemico, nell'infedele, ma anche con tutto ciò che sia capace di risvegliare le passioni, le emozioni, le pulsioni che ci riavvicinano alla nostra naturalità. La nostra parte ad un tempo più ferina e debole è stata rappresentata dalla donna nell’era del manicheismo giudaico-cristiano, in cui essa diviene sineddoche del nostro essere Natura, della nostra debolezza, e in momenti particolare del Male, quel male che ci lega a doppio filo al resto degli esseri. Oggi allontaniamo ancora le pulsioni che non siamo più in grado di codificare, spesso relegandole nelle cliniche o dal terapeuta. (R. Barthes diceva lo stesso dei nostri sentimenti secondo lui ormai ritenuti osceni, mentre la pornografia e il sesso sono in tutte le cose perché in pieno accordo con la mentalità del capitalismo avanzato). La nostra stessa natura si fa 'dia-bolica', ossia schizofrenica, separata da sè stessa.
L’Eden, il punto in cui l’uomo si confronta con Dio, in Trier diviene il luogo in cui (la pioggia di semi di quercia) diventa forte l’incombenza della Natura sull’Essere, vero terrore umano («satana», «me» scriverà il marito in cima alla piramide della paura). In Solaris essa cadeva nella casa rendendo la materialità di un mistero che si perpetua, qui questo mistero assume connotati sinistri, come un’infinità di delitti commessi in nome della rimozione del nostro essere natura.
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horrorman
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lunedì 13 giugno 2011
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un buon film
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un film che il suo apice di tensione nel bel mezzo della trama. all'inizio tutto è tranquillo, anche troppo. tutto esplode col passare del tempo: la tensione, drammaticità anche se manca lo splatter.
VOTO: 6+
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dueparole
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lunedì 1 giugno 2009
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la lotta fra razionale e irrazionale
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Il film si divide in due parti (semplificando): nella prima si assiste alla gestazione del dolore per la morte del figlio e al percorso quasi psicoterapeutico per aiutare la donna a superare gli attacchi di panico che la colpiscono. E fin qui tutto bene, nel senso che, nonostante la staticità del film da un punto di vista di sviluppo della trama (lui, psicanalista, cerca di mettere a nudo il dolore di lei. Scarni dialoghi fra i due. Sesso tragico. Sofferenza allo stato puro), la fotografia è magistrale, così come la costruzione delle atmosfere, e crea una certa aspettativa.
Poi però c'è la seconda parte, in cui al tono "terapeutico" si sovrappone e poi sostituisce quello esoterico. E il film si infarcisce di suggestioni e simbologie esplicite -tanto insistite da risultare a tratti banali- che o si condividono o diventano ridicole e alla lunga insopportabili, così come le follie di lei in preda all'ossessione torturatrice (che se non ci fosse la lettura esoterica, come infatti è nella prima parte, sembrerebbe quasi schizofrenica).
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Il film si divide in due parti (semplificando): nella prima si assiste alla gestazione del dolore per la morte del figlio e al percorso quasi psicoterapeutico per aiutare la donna a superare gli attacchi di panico che la colpiscono. E fin qui tutto bene, nel senso che, nonostante la staticità del film da un punto di vista di sviluppo della trama (lui, psicanalista, cerca di mettere a nudo il dolore di lei. Scarni dialoghi fra i due. Sesso tragico. Sofferenza allo stato puro), la fotografia è magistrale, così come la costruzione delle atmosfere, e crea una certa aspettativa.
Poi però c'è la seconda parte, in cui al tono "terapeutico" si sovrappone e poi sostituisce quello esoterico. E il film si infarcisce di suggestioni e simbologie esplicite -tanto insistite da risultare a tratti banali- che o si condividono o diventano ridicole e alla lunga insopportabili, così come le follie di lei in preda all'ossessione torturatrice (che se non ci fosse la lettura esoterica, come infatti è nella prima parte, sembrerebbe quasi schizofrenica). Straordinarie le interpretazioni, ma (in fondo in fondo) è un film che non parla in maniera veramente innovativa di nessuno degli argomenti che vuole affrontare (misoginia, peccato originale, male).
Un film in cui razionale e irrazionale si scontrano, non solo sullo schermo ma anche nello spettatore: la parte razionale infatti ne resta irritata per l'inconsistenza di certe posizioni e stratagemmi(sorvolo sulle voci off degli animali parlanti), quella irrazionale profondamente colpita dalla forza emotiva (che funziona meglio lì dove non dichiara ma evoca, insinua: lo sguardo di lei nella sequanza finale che riprende quella dell'inizio con le musiche di Handel).
Comunque un film da vedere, per la potenza delle immagini che -almeno quelle- sanno lasciare tracce indelebili.
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pestiferik
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lunedì 8 giugno 2009
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anoscia costante con apici di dolore
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Sì, perchè è dolore fisico quello che mi sono trovato a provare quando sono stato messo avanti ad alcune scene di questo film! Violenza pura (che i più sensibili chiudano gli occhi) che però calza a pennello in un contesto creato ad arte da un maestro assoluto come Lars Von Trier. Tutto è teso al trasporto dell'angoscia: la magistrale fotografia, le inquadrature clautrofobiche, le interpretazioni.
A rendere ancor più preziosa l'opera sono i suoi risvolti filosofici rivelati però troppo banalmente da una volpe parlante...che è l'unica cosa che non c'azzecca molto!
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