The Millionaire

Negli Oscar a «The Millionaire» un segno dei tempi

Una delle ragioni per cui si può essere stupiti dalla vittoria di The Millionaire all'Oscar è che Hollywood non è mai stata molto propensa a riconoscere «l'altro» nel suo vero modo di essere (e infatti il dibattito sulla genuinità del film è aperto). Salvo rare eccezioni, rispetto ai non americani è sempre stata una fabbrica di stereotipi. Due esempi. Ai tempi in cui ero a capo del Festival del Film di Locarno, una retrospettiva curata da Roger Garcia, Out of the Shadows, mise in luce tutto il ridicolo, la volgarità anche ben intenzionata e la crudeltà della rappresentazione dei «musi gialli» fatta dal cinema americano. Ora basta sfogliare un interessante volume firmato da uno docente di letteratura inglese a Ca' Foscari, Armando Pajalich (Il bianco, il nero, il colore. Cinema dell'Impero britannico e delle sue ex colonie 1929-1972, Le Lettere), per constatare come lo scontro tra «l'io» bianco e «l'altro», l'ex suddito dell'Impero - indiano, africano, aborigeno austra liano... - sia stato visto fino a poco fa dal cinema americano e britannico secondo linee guida sostanzialmente propagandiste e spesso razziste.
In tutto questo il New York Times, in un articolo affidato a due suoi critici (Manohla Dargis e A. O. Scott), s'interroga su quanto il cinema, presentando all'immaginario collettivo di questi ultimi decenni una serie di presidenti neri (vedi il Morgan Freeman di Deep Impact), abbia preparato il pubblico americano all'arrivo di Obama. Curioso quesito. Anche perché poi si fanno i conti e si vede che, tra gli incalcolabili presidenti bianchi proposti dal cinema, di neri se ne possono contare solo tre, più uno televisivo.
In compenso, in un delizioso film di John Ford del 1939, Alba di gloria, che esce ora da Teodora - e che, tanto divertente per humour quanto commovente per fede nella democrazia americana, racconta gli esordi di Abraham Lincoln (Henry Fonda), allora giovane avvocato in una cittadina rurale dell'Illinois - di persone di colore se ne vede una sola: il cameriere della casa di Mary Todd, la ragazza che Lincoln poi sposerà. In effetti, come direbbe David Mamet, le cose cambiano.
Da Il Venerdì di Repubblica, 6 marzo 2009

di Irene Bignardi, 6 marzo 2009