joao pirlao
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domenica 5 ottobre 2008
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patetico
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Un serial killer insanguina le strade di Marsiglia. Poliziotto alla deriva, Louis Schneider conduce l'indagine tra i fantasmi del passato e i contrasti coi colleghi corrotti. Parallelamente, Justine, sopravvissuta al massacro dei genitori 25 anni prima, attende con ansia l'uscita di prigione dell'assassino che Schneider stesso aveva arrestato.
Cupo e disperato l'ultimo polar di Olivier Marchal. Se 36 Quai des Orfèvres combinava con stile ineccepibile la psicologia del polar alla Melville con l'azione dei thriller di Hong Kong, L'ultima missione si lascia pilotare dalle sofferenze senza uscita del suo protagonista. Dal mitico quai des Orfèvres parigino a una personalissima Marsiglia, dove ambienti tetri e piovosi non sono che il rimando all'interiorità del personaggio.
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Un serial killer insanguina le strade di Marsiglia. Poliziotto alla deriva, Louis Schneider conduce l'indagine tra i fantasmi del passato e i contrasti coi colleghi corrotti. Parallelamente, Justine, sopravvissuta al massacro dei genitori 25 anni prima, attende con ansia l'uscita di prigione dell'assassino che Schneider stesso aveva arrestato.
Cupo e disperato l'ultimo polar di Olivier Marchal. Se 36 Quai des Orfèvres combinava con stile ineccepibile la psicologia del polar alla Melville con l'azione dei thriller di Hong Kong, L'ultima missione si lascia pilotare dalle sofferenze senza uscita del suo protagonista. Dal mitico quai des Orfèvres parigino a una personalissima Marsiglia, dove ambienti tetri e piovosi non sono che il rimando all'interiorità del personaggio. Daniel Auteuil è come sempre catalizzatore nei panni del poliziotto fallito: magnifico clichè dell'anti-eroe noir. E la prossimità ai personaggi è resa esplicita da una macchina da presa sempre coinvolta, al limite del toccare i volti con l'obiettivo. Ex poliziotto, Marchal rende la messa in scena passionale, dando una certa credibilità tragica ai rapporti tra colleghi corrotti. Coinvolto a tal punto nella vicenda, usa uno stile a volte ridondante, barocco, ma efficace.
Certo, Marchal eccede in tutto, gira un film che sembra troppo personale e disperato, dove s'intrecciano trame parallele non sempre sviluppate quando ne sarebbe bastata una sola. Come travolto dal coinvolgimento, si disinteressa agli ingranaggi del racconto per concentrarsi sulle passioni che divenute iperboliche peccano spesso d'artificiosità. I due personaggi paralleli, Louis e Justine, che entrambi affrontano il dolore reagendo in maniere opposte, rappresentano fin troppo pedantemente delle figure morali. In secondo piano passa anche l’azione, aspetto che restava pur sempre tra i più riusciti di 36.
Ma, in fin dei conti, è proprio nei suoi eccessi, nell'amore per il cinema e nel trasporto con cui è filmato, che L'ultima missione apporta un tocco di novità e interesse al genere.
Auteuil è il massimo boldi francese.....
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[+] pirlao, nomen omen
(di carter)
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opidum
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giovedì 17 luglio 2008
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sufficienza di stima ma troppo cupo
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sono andato a vederlo trascinato da 36 ma qui decisamente si esagera
sconsigliato ai depressi e ai pessimisti
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miky
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mercoledì 18 giugno 2008
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un triller ke lascia col fiato sodpeso dall'inizio
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certo il regista si è dato molto da fare per farlo somigliare ad uno sparatutto, ma quella piccola ascendenza psicologica gli da quel non so che di ansioso. certo è un film nel vero senso della parola
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lor
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giovedì 22 maggio 2008
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lasciate perdere
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Semplicemente orrendo! (A dispetto della bella interpretazione di Auteuil)
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maurizio crispi
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domenica 11 maggio 2008
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un canto alla vita e all'amore
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Il film di Marchal esordisce, come tutti i noir ("polar", così i Francesi definiscono i neo-noir) con atmosfere cupissime e crepuscolari, intensamente claustrofobiche, mancando quasi del tutto le riprese all'aperto, i campi lunghi che diano allo spettatore un po' di respiro. Buona parte del film si sviluppa in interni cupi, appena rischiarati da fioche lampade o di notte, con un'esasperazione radicale dei contrasti e, in alcuni casi, anche con una forte abolizione delle tonalità intermedie ed una ipersaturazione di colori base della gamma cromatica. Il poliziotto Schneider, immerso in una spirale di deriva esistenziale, appare livido e cadaverico, come tutti gli altri poliziotti, quasi tutti corrotti (ben pochi i "salvati" nel giudizio del regista).
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Il film di Marchal esordisce, come tutti i noir ("polar", così i Francesi definiscono i neo-noir) con atmosfere cupissime e crepuscolari, intensamente claustrofobiche, mancando quasi del tutto le riprese all'aperto, i campi lunghi che diano allo spettatore un po' di respiro. Buona parte del film si sviluppa in interni cupi, appena rischiarati da fioche lampade o di notte, con un'esasperazione radicale dei contrasti e, in alcuni casi, anche con una forte abolizione delle tonalità intermedie ed una ipersaturazione di colori base della gamma cromatica. Il poliziotto Schneider, immerso in una spirale di deriva esistenziale, appare livido e cadaverico, come tutti gli altri poliziotti, quasi tutti corrotti (ben pochi i "salvati" nel giudizio del regista). Le scene in flashback, invece, sono rigorosamente in bianco-nero, velocizzate al massimo e riprese per esplosioni di dettagli esasperati, ma tanto concitate che non è possibile registrarne i particolari: ciò è funzionale nell'enfatizzare la soggettività dei diversi personaggi, di Schneider e Bustine, entrambi alle prese con i propri fantasmi personali e con l'impossibilità di un'autentica elaborazione del dolore. Il volto di Schneider, livido e scavato dalle ombre, appare cadaverico, come se egli fosse da tempo morto.
Nel definire gli altri co-protagonisti - poliziotti disonesti senza rimedio e venduti ad un sistema che tutto vuole fuorché la ricerca della verità, rappresentati come "ipertipi" quasi grotteschi - si ravvisa una ridondanza che li porta ad essere dei clichè categoriali ed assoluti.
Forse, proprio per questo, la vicenda narrata da Marchal (ex-poliziotto lui stesso, con un servizio nel nucleo antiterroristico di Versailles) appare disperata ed eccessiva, profondamente esistenziale: la storia di un uomo che, ormai sulla via del declino e alcoolizzato, ancora in vita, vuole scontare da vivo la morte che non l'ha preso, quando avrebbe dovuto, assieme alle persone che per lui erano più care, è efficace e capace di alimentare un nucleo di emozioni profonde nello spettatore. Viceversa, l'altra protagonista "in parallelo", Justine, vive drammaticamente il ricordo, mai elaborato, della morte atroce di entrambi i genitori per mano di un brutale killer e, a causa di esso, non riesce a vivere con gioia autentica ed abbandono alcun momento della sua vita, dominata com’è dall'angoscia e dalla paura.
Mentre si dispiega l'indagine per fermare un serial killer autore di efferati delitti a sfondo sessuale (in cui Louis, pur sospeso dal sevizio, avrà un ruolo decisivo) avviene un incontro catalizzatore che, paradossalmente, genera vita e voglia di vivere in Justine e desiderio di "liberazione" definitiva in Louis, che si attiva per compiere appunto la sua "ultima missione".
Soltanto nel finale, si scioglierà la cupezza e il dramma giungerà alla sua risoluzione: il crepuscolo e le atmosfere mortifere lasceranno campo ai pieni colori dell'amore che, pur mai espresso, emerge con prepotenza in un intenso inno vitalistico, punteggiato dai vagiti di una nuova vita.
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(di marco padula (scrittore))
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maurizio crispi
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sabato 10 maggio 2008
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un canto alla vita e all'amore
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Il film di Marchal esordisce, come tutti i noir ("polar", così i Francesi definiscono i neo-noir) con atmosfere cupissime e crepuscolari, mancando quasi del tutto le riprese all'aperto, i campi lunghi che diano allo spettatore un po' di respiro. Buona parte del film si sviluppa in interni cupi, appena rischiarati da fioche lampade o di notte, con un'esasperazione radicale dei contrasti e, in alcuni casi, anche con una forte abolizione delle tonalità intermedie ed una ipersaturazione di alcuni colori. Il poliziotto Louis Schneider, immerso in una spirale di inarrestabile deriva esistenziale, appare livido e cadaverico, come tutti gli altri poliziotti con cui interagisce, quasi tutti corrotti (ben pochi i "salvati" nel giudizio del regista).
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Il film di Marchal esordisce, come tutti i noir ("polar", così i Francesi definiscono i neo-noir) con atmosfere cupissime e crepuscolari, mancando quasi del tutto le riprese all'aperto, i campi lunghi che diano allo spettatore un po' di respiro. Buona parte del film si sviluppa in interni cupi, appena rischiarati da fioche lampade o di notte, con un'esasperazione radicale dei contrasti e, in alcuni casi, anche con una forte abolizione delle tonalità intermedie ed una ipersaturazione di alcuni colori. Il poliziotto Louis Schneider, immerso in una spirale di inarrestabile deriva esistenziale, appare livido e cadaverico, come tutti gli altri poliziotti con cui interagisce, quasi tutti corrotti (ben pochi i "salvati" nel giudizio del regista).
Le scene in flashback, invece, sono rigorosamente in bianco-nero, velocizzate al massimo e riprese per esplosioni di dettagli esasperati, ma tanto concitate che non è possibile registrarne i particolari: ciò è funzionale nell'enfatizzare la soggettività dei diversi personaggi, di Schneider e di Justine entrambi alle prese con i propri fantasmi personali e con l'impossibilità di un'autentica elaborazione del dolore. Il volto di Schneider, livido e scavato dalle ombre, appare cadaverico, come se egli fosse da tempo morto, assieme alla figlia deceduta per un tragico incidente, quello stesso che ha determinato un danno neurologico irreversibile nella moglie che ora giace in un letto condannata ad un'esasperante impossibilità di comunicare e vivere.
Nel definire gli altri co-protagonisti - poliziotti tutti corrotti senza rimedio e venduti ad un sistema che tutto vuole fuorchè la ricerca della verità, rappresentati come "ipertipi" - si ravvisa una ridondanza che li porta ad essere dei clichè categoriali ed assoluti.
Forse, proprio per questo, la vicenda narrata da Marchal (ex-poliziotto lui stesso, con un servizio nel nucleo antiterrostico di Versailles) appare disperata ed eccessiva, profondamente esistenziale: la storia del poliziotto che, ormai sulla via del declino e alcoolizzato, ancora in vita, vuole scontare da vivo la morte che non l'ha preso, assieme alle persone che per lui erano più care, è efficace e capace di alimentare un nucleo di emozioni profonde nello spettatore. Viceversa, l'altra protagonista "in paralello", Justine, vive drammaticamente il ricordo, mai elaborato, della morte atroce di entrambi i genitori per mano di un brutale killer e, a causa di esso, non riesce a vivere con gioia alcun momento della sua vita, dominata dall'angoscia e dalla paura. Mentre si dispiega l'indagine per fermare un serial killer autore di efferati delitti a sfondo sessuale (in cui Louis, pur sospeso dal sevizio, avrà un ruolo decisivo) avviene un incontro catalizzatore che, paradossalmente, genera vita e voglia di vivere in Justine e desiderio di "liberazione" definitiva in Louis, che si attiva per compiere appunto la sua "ultima missione", quella definitiva. Soltanto nel finale, si scioglierà la cupezza e il dramma giungerà alla sua risoluzione: il crepuscolo e i colori mortiferi lasceranno campo ai pieni colori della vita che trionfa e dell'amore che, pur mai espresso, emerge con prepotenza in un intenso inno di gioia e serenità, punteggiato dai vagiti d'una nuova vita.
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francesco rossini
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sabato 10 maggio 2008
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la fuga senza scampo
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La disperata e inesorabile discesa dello sbirro Louis Schneider, poliziotto con meriti speciali presso il dipartimento di Marsiglia, è il tema di fondo dell'ultima fatica di Olivier Marchal. Un devastato quanto strepitoso Daniel Auteil si appiccica letteralmente alla macchina da presa per consegnarci sospiri, gemiti, fiati alcolici e soprattutto l'immenso dolore di un uomo che era dove non doveva essere nel momento in cui la sua famiglia veniva distrutta per sempre. Una sofferenza tangibile per tutta la durata del film, quella dello sbirro in cerca di redenzione, che finisce per conferire alla pellicola un andamento organico e profondissimo come non se ne vedeva da tempo. A fare da contrappunto a questo lento precipitare c'è invece la storia di una rinascita, dolorosa e innocente di una ragazza (Olivia Bonamy), che sulle macerie di una famiglia distrutta da un duplice omicidio, trova la forza di portare a termine una gravidanza nonostante l'incubo di un terribile assassino.
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La disperata e inesorabile discesa dello sbirro Louis Schneider, poliziotto con meriti speciali presso il dipartimento di Marsiglia, è il tema di fondo dell'ultima fatica di Olivier Marchal. Un devastato quanto strepitoso Daniel Auteil si appiccica letteralmente alla macchina da presa per consegnarci sospiri, gemiti, fiati alcolici e soprattutto l'immenso dolore di un uomo che era dove non doveva essere nel momento in cui la sua famiglia veniva distrutta per sempre. Una sofferenza tangibile per tutta la durata del film, quella dello sbirro in cerca di redenzione, che finisce per conferire alla pellicola un andamento organico e profondissimo come non se ne vedeva da tempo. A fare da contrappunto a questo lento precipitare c'è invece la storia di una rinascita, dolorosa e innocente di una ragazza (Olivia Bonamy), che sulle macerie di una famiglia distrutta da un duplice omicidio, trova la forza di portare a termine una gravidanza nonostante l'incubo di un terribile assassino.
Film dai contenuti durissimi, c'è l'ormai consueta mancanza di ortodossia dei metodi da parte dei poliziotti di trincea che Marchal, forte di un'esperienza più che decennale nell'antiterrorismo francese, non manca di sottolineare; c'è il fallimento del tentativo di riscatto, ci sono scenari marsigliesi iperrealistici e talvolta grotteschi e c'è soprattutto una strepitosa fotografia - nelle inquadrature e nelle luci - che, cambiando repentinamente il registro visto in 36, si fa più intima, quasi a mostrificare le visioni del protagonista ossessionato da qualcosa di irreparabile. E infatti non c'è remissione per il nostro poliziotto, non c'è pace. Il meccanismo che lo stritola nasce proprio da una sua debolezza, da una sua visione delle cose, quasi da una questione di principio.
Un Daniel Auteil che raramente, in questo film, mostra i suoi occhi - quasi sempre coperti da due lenti giallo fumè - ma che ci lascia un'interpretazione superlativa per le continue sfumature di dolore, come un basso continuo impreziosito da struggenti acuti di impossibilità. Il cast è, come sempre nei film di Marchal, grottescamente perfetto. Ogni ruolo, dalla ragazza al nonno, dall'assassino ai colleghi di distretto, è ricoperto ed eseguito con misura nel non facile immaginario (forse non troppo) mondo di questo regista che si conferma un assoluto talento del genere polar.
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pep82
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lunedì 28 aprile 2008
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pessimismo eccessivo
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ieri sera ho visto questo film e credo di essere stato anche l'unico in sala ad apprezzare, anche se parzialmente. La fotografia, anche se un po' di maniera, l'ho trovata il punto di forza, la resa visiva dell'animo tormentato del cupo Auteuil. Forse Marchal si perde proprio sulla trama, sulle due storie parallele.
Eccessivo anche nel suo pessimismo angosciante.
Tutto sommato, però, un film da vedere; sicuramente ha un impatto.
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raffaele
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lunedì 28 aprile 2008
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un super noir
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un super noir ,come solo i francesi sanno fare, che indaga sugli abissi della natura umana.
quattro stelle
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alexp
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domenica 27 aprile 2008
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un buon noire
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Marchal chiude la sua trilogia nel migliore dei modi....con la nascita, per una nuova speranza di purezza, che contrasta quel buio che caratterizza la profondità degli animi degli interpreti nel loro quotidiano in una squallida Marsiglia; vite da inferno che con volontà od inconsapevolmente tendono a seguire il sentiero di un lontano paradiso seppur manifestando la più vera delle nature umane:quella del peccato....credo che attribuire tre stelle possa in fondo non scontentar gli appassionati del genere noire.....merito della riuscita della pellicola è anche nella bravura dei doppiatori italiani......ciao ciao
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