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Anna Torv, La Gillian Anderson dello spazio

L'incontro con la protagonista di Fringe al via con la terza stagione su Steel.
di Ilaria Ravarino

Anna Torv . Interpreta Agente Olivia Dunham nel film di Frederick E.O. Toye, Brad Anderson, Paul A. Edwards, Joe Chappelle, Akiva Goldsman Fringe.

lunedì 6 giugno 2011 - Televisione

Prima di Anna Torv c’era Gillian Anderson. E dopo di lei, nessuna. Roba da cameretta dei maschi, la fantascienza: un territorio per agenti d’acciaio e poliziotti tutti di un pezzo, dove le donne sono raramente protagoniste, spesso sospiranti comprimarie, sempre la parte debole del gioco. C’era voluta X-Files, la serie a cavallo dei ruggenti anni ’90, perché la caccia agli alieni si aprisse anche alla metà rosa dello spazio: c’era voluta X-Files ma soprattutto Gillian Anderson con la sua Dana Scully, rossa poliziotta federale talmente in gamba da ridicolizzare la virilità del pur prestante partner David Duchovny alias Fox Mulder (e tra i due attori, non a caso, non è mai corso buon sangue). Dieci anni dopo, con la serie Fringe, la tv ha riscoperto nella Olivia Dunham di Anna Torv la sua eroina spaziale. E ancora una volta è un’agente federale, bionda e tostissima, il cui carisma annienta in un colpo quello dei colleghi: dal 4 luglio ogni lunedì alle 21:15 su SyFy Universal (Steel), la terza stagione di Fringe non andrebbe persa per almeno tre buoni motivi. Il primo è l’interpretazione della Torv, «fiera di essere un’erede della Anderson», dice firmando centinaia di autografi dal palco del Fantasy Horror Award di Orvieto. Il secondo è la testa creativa dietro al progetto, quella di J.J. Abrams, padre del Lost televisivo che diede inizio alla sua fulminante carriera da regista. Il terzo motivo lo suggerisce la stessa Torv: «Mi sono fatta giurare dagli sceneggiatori – dice - che non finirà come con Lost. Ogni domanda avrà una risposta. Io ancora non ne ho ricevuta nessuna, ma mi fido di loro».

Come ha incontrato J.J. Abrams?
La prima volta che l’ho visto ero a Los Angeles. Lui stava girando Star Trek e intanto faceva i provini per Fringe: l’ho conosciuto nella sala di controllo dell’astronave Enterprise e in 24 ore ero già a bordo della serie. È un uomo fantastico, è il più grande regista del momento e per me è un onore lavorare per lui.

Abrams è un fanatico della segretezza: lei sa tutto del suo personaggio? O lo sta scoprendo di volta in volta?
All’inizio non sapevo praticamente niente del mio ruolo. Gli scrittori mi dicevano che come interpretavo Olivia andava bene, e sono andata avanti così. Per me il lavoro su questo personaggio è come una danza: eccitante e frustrante, perché ogni giorno devi farti bastare pochissime informazioni.

Come rende credibile la sua interpretazione in situazioni come i viaggi extradimensionali?
Quando si tratta di scene in cui c’è il passaggio da un universo all’altro, mi concentro sull’idea di essere una creatura viscida, per esempio un serpente. Ma in definitiva basta credere sempre in quello che si fa.

Ha ricevuto indicazioni su come interpretare il suo personaggio?
Impossibile, visto che esistono più Olivie in differenti realtà. L’aspetto più difficile dell’interpretare un personaggio e il suo doppio è che le due donne non sono facce diverse della stessa medaglia: sono simili, ma diversamente complesse. Hanno lo stesso obiettivo ma lo raggiungono in modo diverso: una vuol essere corretta a tutti i costi, l’altra si sente forte e potente ed è un personaggio decisamente negativo.

Lei crede all’esistenza di realtà parallele?
Non lo so, è impossibile dirlo. Dato che passo tutto il giorno a pensarci sul set, quando torno a casa evito di farmi altre domande sull’argomento.

Quanto è impegnativo il lavoro per Fringe?
Abbastanza da non permettermi di fare altro. All’inizio in particolare era molto duro, ora mi diverto di più. Ma per 10 mesi all’anno devo vivere a Vancouver, e quando finisco ho voglia di tornare a casa mia, in Australia. Come si dice: fare un film è una maratona, fare una serie tv è una corsa contro il tempo. Non ho spazio nemmeno per il cinema, adesso.

Ma un film da Fringe lo farebbe?
Non vedo come possa essere possibile fare una cosa del genere. Non credo si possa condensare Fringe in due ore. Per me ogni puntata è un piccolo film.

La tv è un trampolino di lancio o una gabbia?
Dipende. Un tempo forse era più limitante. Ma adesso, con serie di grande qualità come questa, direi che è un’occasione di crescita. Penso ai miei miti, e alla strada che hanno fatto a partire dalla tv: George Clooney, Evangeline Lilly, Olivia Wilde.

Guarda la tv nel tempo libero?
A volte. Adoro True Blood, seguivo Buffy, amo le serie sui vampiri.

Sono poche le donne nella sci-fi. È orgogliosa del suo primato?
Molto. Ho sempre tifato per le eroine donne: per me Il Signore degli Anelli non sarebbe la stessa cosa se non ci fossero quelle meravigliose figure femminili.

Quali differenze tra Fringe e il predecessore, X-Files?
La principale differenza è che Mulder e Scully di X-Files erano personaggi solitari contro il mondo. In Fringe invece c’è un buon lavoro di squadra.

Perché questo cambiamento?
Perché la società intorno ai nostri personaggi è cambiata: quel che accadeva in X-Files è già superato. Oggi il mondo è più tecnologico, è globalizzato. E da allora è cambiata anche l’America.

Lei è australiana: come giudica la new wave di attori australiani a Hollywood?
Ne sono orgogliosa. E non solo dei grandi nomi, ma anche di quelli più piccoli che non conosce nessuno, eppure sono dappertutto. Gli australiani sono un popolo abituato a viaggiare, a fare le valigie e partire: alla lunga, questa flessibilità ha pagato. Anche Hollywood se ne sta accorgendo.

I suoi prossimi progetti?
Fra quattro settimane gireremo la quarta stagione di Fringe.

Può dare qualche anticipazione?
Io credo che il personaggio di Joshua Jackson tornerà...

Può dire chi è l’uomo che, come si accenna nella serie, ucciderà Olivia?
Non ne ho idea. So che questa minaccia tornerà nella quarta serie, ma non so in che modo. Figuriamoci se me lo dicono...

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