Coco Avant Chanel - L'amore prima del mito

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Un film di Anne Fontaine. Con Audrey Tautou, Alessandro Nivola, Benoît Poelvoorde, Marie Gillain, Emmanuelle Devos.
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Titolo originale Coco avant Chanel. Biografico, Ratings: Kids+13, durata 110 min. - Francia 2008. - Warner Bros Italia uscita venerdì 29 maggio 2009. MYMONETRO Coco Avant Chanel - L'amore prima del mito * * 1/2 - - valutazione media: 2,54 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Resto una ragazza di campagna

di Arianna Finos Il Venerdì di Repubblica

L'attrice diventata famosa come Amélie è la nuova testimonial del celebre profumo e interpreta al cinema la stilista francese. Un furto? Lei non commenta. E assicura: «Resto una ragazza di campagna».
Audrey Tautou è un pezzo di Francia che cammina. Incarna con stile lo spirito d'oltralpe; «Sono talmente francese che non mi pongo nemmeno la questione dell'identità» conferma ridendo. L'ex Amélie del film di Jean-Pierre Jeunet, oggi l'attrice più pagata del suo Paese, sfoggia un caschetto cortissimo e un sorriso delizioso, regalo del padre dentista insieme al nome, ispirato alla Hepburn. Indossa un abito bianco e nero rigorosamente non Chanel («Sono un tipo da grandi magazzini»), ma che, su di lei, non ha niente da invidiare alle creazioni della maison. Questione di portamento, e di magrezza: quel look androgino che, insieme allo sguardo misterioso, l'ha fatta scegliere dalla regista Anne Fontaine per raccontare, in Coco avant Chanel. L'amore prima del mito (in sala dal 29 maggio), gli anni giovanili della stilista.
Che cosa hanno in comune Audrey Tautou e Coco Chanel?
«La voglia di essere libere e indipendenti, di affermarsi con il lavoro. Ma lei era molto più dura e ambiziosa di me. Usava gli uomini, era una donna chiusa. L'avere nascosto la sua fragilità è stato il suo punto debole. È buffo perché, togliendo ai vestiti femminili lacci e corsetti, regalava una libertà "fisica", la possibilità di vivere come gli uomini. Di questo le donne avevano bisogno e per questo, più che per il suo gusto o il suo stile, l'hanno seguita in una silenziosa ribellione. Ma, poi, tentando di non rivelare le sue debolezze, si è chiusa lei stessa in una sorta di corsetto rigido, un busto "sentimentale" che l'ha fatta vivere nella solitudine per tutta la vita».
Parigi ha censurato il manifesto del film per via di una sigaretta.
«Non me ne parli. Sono una fumatrice e a tutto pensavo tranne che anche da noi si arrivasse a un divieto di fumare totale, da proibizionismo all'americana».
Perché lei si è sempre definita una provinciale?
«Parigi è il mio mito, ma io resterò sempre una ragazza di campagna. Vengo da un paesino dell'Auvergne e quando posso torno a respirare quell'aria. La prima volta che ho visto Parigi avevo sette anni. Da allora, il mio metro di misura dei monumenti del mondo è stato la Torre Eiffel. Ricordo quando mi sono trasferita nella capitale per frequentare la scuola di teatro. Incontravo solo donne altissime e meravigliose e pensavo che Parigi fosse un luogo di creature paradisiache. Poi ho scoperto che abitavo a cinque minuti da un'agenzia di modelle...».
È stato allora che ha cominciato a sognare Hollywood?
«Non ho mai sognato in grande Sono fatalista. Amo essere sorpresa e il destino mi ha dato ragione. Comunque, ai tempi della mia gavetta d'attrice, avevo già in mente, nel caso non avessi avuto successo, un piano b».
Cioè?
«Avrei fatto l'antropologa. E infatti, quando non lavoro, passo il tempo in viaggio. Mi piace incontrare altri popoli e altre culture. Sono stata in Indonesia, Vietnam, Repubblica Dominicana. Vado un po' alla ventura, con il mio zaino e senza un programma. Vivo alla giornata e mi immergo totalmente nei luoghi che incontro».
Lei ha sostituito negli spot del profumo Chanel n. 5 Nicole Kidman, liquidata dalla maison perché incinta. Dicono che le abbia anche soffiato il ruolo di Coco, è vero?.
«Per quello che mi riguarda sono soltanto pettegolezzi».
Però tutta l'operazione sembra molo commerciale.
«Sono due progetti completamente distinti. A chiamarmi per lo spot è stato H mio regista pigmalione, Jean-Píerre Jeunet. Abbiamo realizzato un piccolo film: la storia di un viaggio in treno dalla provincia francese al Bosforo e di un incontro con uno sconosciuto, interpretato da Rodrigo Santoro. Mi ha trasformato in una donna molto sensuale, che farà dimenticare Amélie».
Ha avuto paura di restare Amélie Poulain in per sempre?
«C'è stato un periodo ïn cui Amélie iniziava a starmi stretta, ma oggi guardo con grande amore a quel personaggio. Ho fatto altri film, alcuni molto belli, come Affari sporchi di Stephen Frears, ho girato persino un kolossal come Il Codice Da Vinci. Ma i francesi, quando mi fermano per strada, mi fanno capire che Amélie è rimasta nella ro cuore. Sono molto grata a questo personaggio».
Lei è una delle attrici francesi più famose nel mondo e ha imposto anche a Hollywood una bellezza «normale».
«Sono una persona semplice e mi sento a mio agio con H mio corpo. Sono le altre attrici, quelle che non hanno punti di riferimento interiore, che si mascherano, s'adattano a un'estetica omologata. Io sogno un mondo di donne di colori diversi, la monocromia mi annoia».
Quali donne, secondo lei, hanno avuto la capacità di influenzare la loro epoca?
«Simone Veil. Ha avuto un ruolo importante nel migliorare le condizione della donna. Ho letto la sua biografia e ne sono rimasta conquistata: l'infanzia terribile, il campo di concentramento. E poi, da ministro, le lotte politiche in favore delle donne, la sua battaglia per la legge sull'aborto, per la quale dovette subire attacchi tremendi».
Oltre al cinema e ai viaggi, quali sono le sue passioni?
«Leggo, studio. Ma, da buona provinciale, mi rilasso soprattutto con le attività manuali: mi piace costruire tavoli, mobili e sedie con le mie mani. Mela cavo bene anche a tagliare e cucire, melo ha insegnato mia nonna. Da adolescente mi facevo i vestiti da sola».
Da anni, alla fine di ogni intervista, scatta una foto al giornalista. Perché?
«Non lo so. Ma poiché nessun gesto è senza ragione, un giorno metterò insieme questo puzzle. La prima volta che l'ho fatto fu perché avevo incontrato troppi giornalisti, che parlavano tutti insieme, e io non sapevo nemmeno chi fossero. E invece volevo dare un'identità a ciascuno. Poi mi sono accorta che è divertente. Rende tutto più umano».
Da Il Venerdì di Repubblica, 21 Maggio 2009

di Arianna Finos, 21 Maggio 2009

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