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Che – L'argentino: il pensiero ribelle

Distribuito in due proiezioni autonome e differenti, esce in sala il primo capitolo del Che di Steven Soderbergh.
di Marzia Gandolfi

Zona franca
Benicio Del Toro (Benicio Monserrate Rafael Del Toro Sanchez) (57 anni) 19 febbraio 1967, San German (Portorico - USA) - Acquario. Interpreta Ernesto Che Guevara nel film di Steven Soderbergh Che - L'argentino.

martedì 7 aprile 2009 - Approfondimenti

Zona franca
Si sbaglia chi sostiene che il regista di Ocean's 11 (12 e 13) non possa essere lo stesso di Che – L'argentino, perché Steven Soderbergh è da sempre "autore" schizofrenico, che alterna opere (e logica) mainstream a operazioni sperimentali, commercialità a teoria che si fa prassi senza mediazione. Investito al suo esordio della carica di possibile guida del cinema indipendente, Steven Soderbergh vinse a sorpresa la Palma d'oro e la carta d'ingresso nel mondo del cinema ufficiale, legato alle produzioni regolari e alla top list del box-office. Salito sul palcoscenico dell'entertainment professionale hollywoodiano, il regista americano non ha mai smesso di mettere in atto una deliberata strategia dell'inappartenenza, concedendosi coraggiose incursioni nei territori dell'autorialità, vivendo intelligentemente (e brillantemente) su monumenti eretti da altri (Intrigo a Berlino), giocando coi generi e ammiccando più o meno scopertamente ad alcuni suoi celebri momenti (situazioni topiche, personaggi, battute). Con il Che, più di quattro ore di agiografia da biopic, distribuito in due proiezioni autonome e differenti, Soderbergh agisce a metà campo, in una zona franca posta fra le due consuete alternanze. È un'opera dialettica che condensa la duplicità del regista nello spazio di un unico film-fiume, che attraversa la Sierra Maestra e mette a fuoco un Che "con dentro la pena e fuori il sorriso".

Lo stato delle cose
Il primo dei due atti immerge il Comandante Del Toro nell'atto pratico rivoluzionario, introducendo e dando ragione del secondo e della partenza di Ernesto Guevara da Cuba. Se Che – L'argentino è in movimento verso l'Avana, Che – Guerriglia è all'opposto in fuga dal modello socialista sovietico concretizzato da Castro e alla volta dell'impresa boliviana. Alternando l'avanzata della Rivoluzione "a colori" con un'intervista al Che e il suo intervento all'Assemblea delle Nazioni Unite (nel 1964) in bianco e nero, il regista georgiano sbilancia verso nuove configurazioni il film biografico. Applica al senso etico del comportamento del Che, alla materia e ai corpi di allora un'estetica contemporanea, accusando esplicitamente, senza tralasciare le responsabilità cubane, il proprio Paese del ruolo avuto nel determinare il destino di un uomo e la politica del continente latinoamericano, costretto ad adeguarsi alle direttive politiche-militari di Washington e di Mosca. Il corpo di Del Toro difficilmente appare nella sua completezza, più spesso è scomposto, suddiviso, disarticolato attraverso particolari pronti ad entrare in costruzione di montaggio, focalizzando l'attenzione selettiva ma anche il pensiero del combattente, del medico, del fotografo (di anime e di situazioni), dell'ambasciatore, dell'oratore, del rivoluzionario con sentimenti di amore, tutti ugualmente capaci di cogliere in anticipo l'opportunismo dei partiti comunisti latinoamericani e la trasposizione di esperienze che erano davvero lontane dal poter essere considerate esemplari. Soderbergh prova a conciliare la schizofrenia registica con un film introverso, che diventa puro cinema di azione in bilico tra lotta armata e dibattito etico-politico. Una pellicola sullo "stato delle cose" (ieri e oggi) senza tentare di spiegarlo.

Che attore
Nato in e cresciuto da una famiglia di avvocati, i genitori sognavano per il giovane Benicio una carriera "legale", abbandonata per un corso di recitazione in Pennsylvania e sputtanata interpretando il criminale o, nel migliore dei casi, lo spacciatore di droga nella Miami Vice televisiva e glamour di Michael Mann. Il celebre e accecante telefilm diventa la premessa al blackout del (suo) cinema a venire, infiniti minuti di nero per ogni film, una città (Miami) e un'altra città (Las Vegas), dove drogarsi e purificarsi. La condizione dell'attore portoricano è essere "tra", essere tra una possibilità e l'altra, essere geograficamente tra le due Americhe, essere tra l'oscuramento e la luce, essere tra lo svenimento e la resuscitabilità, l'autodistruzione e la salvezza. Ubriaco e corrotto, sospetto e sospettato, criminale rapinatore e corriere "strappato" di diamanti, ricettatore o avvocato samoano e guastato, Benicio Del Toro ha la faccia pesta e coincidente con i volti dei personaggi interpretati. Corpo con un centro teso all'eccentricità, lavora da sempre sul dissidio con i modelli del ruolo richiamati dal magazzino del cinema gangster e noir. L'attore recupera nelle sue performance l'epica vitalistica dei generi, rovesciandola in una scansione funerea, in caratterizzazioni estreme che si muovono ai limiti dell'alterazione onirica e della visionarietà da incubo (Paura e delirio a Las Vegas). È l'interprete di un viaggio paranoico sull'orlo di un abisso sprofondato da troppi grammi di cocaina o rimandato con 21 grammi di anima (esalata). Strafatto di alcool o di droga, il suo è un corpo pesante e incombente, capace di improvvise esplosioni di violenza nella Sin City di Rodriguez e Miller o di carezze affettive nel letto raggelato dal lutto di Susanne Bier.

Be between
È probabilmente la crisi della centralità dei suoi personaggi a sedurre Steven Soderbergh, che lo vuole due volte Che nella sua biografia in spagnolo e in due parti sul Comandante argentino. Del Toro col suo Ernesto Guevara di nuovo "è tra", tra due film, tra disciplina e tolleranza, tra punizione e senso di giustizia, tra ordine e disordine, tra la rivoluzione e l'occhio privato, lo sguardo problematico. Benicio Del Toro nel primo capitolo è un eroe guerriero di impeccabile fattura, un combattente fedele alla causa che si muove in avanti, nello spazio (fino all'Avana) e nel tempo (quello della Rivoluzione). Nel secondo è un eroe sovversivo che mantiene una sua centralità etica attraverso una forma di decentramento, che oppone il gran rifiuto, respinge il successo (Ministero a Cuba) e abbandona l'isola per la Bolivia, ritrovandosi improvvisamente bloccato (e arrestato), costretto a ripiegare su se stesso. L'interpretazione cinematografica di Del Toro consente all'eroe di emanciparsi dalla statuarietà e dalla retorica dell'iconografia, dal Che diventato merce di esportazione sulle t – shirt o di rilancio commerciale della sua immagine giovane e avventurosa con il viaggio in motocicletta di Walter Salles. Se la crescente popolarità del Che spinge ad "usarlo", senza contribuire realmente alla conoscenza dell'uomo e del suo pensiero, l'attore rende finalmente l'eroe argentino umano e facilmente accessibile al pubblico con un ricettario di "frasi celebri" e con un preciso sezionamento del corpo, che scompone il mito in dettagli (occhi, naso, viso, mani, gambe, schiena, fianchi e poi l'abbigliamento, gli anfibi, la divisa, il basco e poi gli accessori, il sigaro, la biro, i quaderni, il fucile, la pistola), mantenendo intatta la resa unitaria della figura intera.

Questione di stile
È naturalmente la regia di Soderbergh a escludere i primi piani convenzionali e ad intuire l'efficacia (anti)spettacolare di un simile smembramento del corpo, che nel suo esporsi, mostrarsi e offrirsi provoca l'eccitamento dello spettatore e comprende la capacità di ispirare un giovane guerrigliero della Sierra, una contadina che non ha mai visto un dottore, un avversario impavido. Un cospicuo numero di inquadrature di particolari celebri, tramandati da foto e filmati di repertorio, colgono l'espressività del corpo attoriale, le manifestazioni più significative di mimica, gestualità, postura, cinesica. Prima della prossimità fisica, che pure esiste ed è impressionante, a colpire è la capacità di Benicio a riconoscere l'essere attore di Ernesto. Il romantico poeta guerriero è suo malgrado un attore impenitente che sa bene che la Rivoluzione è anche una questione di stile. Indossare la divisa, l'anfibio lucido, il basco sopra il capello folto, fumare il sigaro risponde a una precisa necessità sociale, non per imbrogliare le masse, s'intenda, e gli spettatori, ma per impressionarli, dare loro la possibilità di renderli fieri della propria cultura, del proprio governo, del proprio governante, del proprio divo. Così a recitare è la mano destra, che sostiene il sigaro o impugna il fucile, le spalle scosse dall'asma, "un'autentica partizione recitativa in singoli piani". Il particolare ha una funzionalità drammaturgica che coglie momenti significanti di un personaggio interrotto a duecentonovantanove chilometri dall'Avana e dalla costruzione di un popolo e di una nazione. Ma il "loco" Ernesto sapeva che i focolari durano poco e che l'eroe deve sempre tornare al viaggio per verificare i limiti del mondo e quelli dell'uomo. Benicio Del Toro è ancora una volta il corpo malato del cinema. La Rivoluzione (boliviana) collassa e la morte si mette al lavoro. Fine del giorno. A La Higuera il tramonto divora la luce. Ed è subito notte.

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