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Ridateci il cinema, verrebbe da gridare appena le luci in sala si riaccendono. Oppure, dateci un documentario vero e proprio, che se fatto ad arte riesce ad emozionare quanto e persino più di un film (pensiamo al capolavoro When the Levees Broke: A Requiem in Four Acts di Spike Lee). Con 8, invece, non siamo in presenza né dell’uno né dell’altro: i lampi di cinema sono rari, e si perdono in un mare di pseudocumentarismo la cui didascalia potrebbe irritare anche gli animi più sensibili. Le intenzioni erano sicuramente buone: realizzare otto storie che raccontassero, ognuna, gli otto ambiziosi “Obiettivi di Sviluppo del Millennio” che le Nazioni Unite si sono prefissati di raggiungere entro il 2015. Purtroppo ben pochi sono informati su questa iniziativa, e la realizzazione di un film che ne parli non può che facilitarne la divulgazione. Onore alle intenzioni, ci mancherebbe; ma il film, considerato in quanto tale, si attesta su livelli di mediocrità non giustificabili, anche in considerazione del fatto che dietro la macchina da presa c’erano alcuni dei migliori registi attualmente in circolazione. Tuya’s Dream di Sissako contiene forse il momento più puro di cinema di tutto il film, l’interminabile corsa verso scuola della piccola Tuya tra campi, boschi e savane. Un’emozione visiva che viene però soffocata dal più grande difetto del film, rappresentato come detto da un didascalismo veramente eccessivo: non c’era certo bisogno di far spiegare al maestro per filo e per segno tutti i dettagli dell’Obiettivo 1 (Eliminare fame e povertà) per farci comprendere che si stesse parlando di quello. Addirittura imbarazzante e fastidioso SIDA di Gaspar Noè, in cui un uomo del Burkina Faso, il cui volto ci viene mostrato attraverso una serie di stucchevoli inquadrature fisse, racconta tutta la sofferenza che la sua malattia comporta. Piuttosto che al cinema, sembra di essere a scuola. Ma la delusione massima, il vero colpo al cuore, arriva con l’ultimo capitolo, Person To Person di Wim Wenders. I temi principali sono il microcredito ideato da Muhammad Yunus ed il potere dei media nell’influenzare l’opinione pubblica. Ad infastidire non sono ovviamente i nobili contenuti, ma la forma: sembra di assistere alla caricatura di una pubblicità progresso, in cui il patetico si sostituisce all’ironia. Non si capisce come sia possibile che un regista come Wenders abbia potuto realizzare un corto talmente insipido e moraleggiante, privo di un qualunque spunto originale. Si salvano How Can It Be? Di Mira Nair (sulla tema della parità uomo-donna), ma soprattutto The Water Diary di Jane Campion: alcune famiglie di allevatori australiani soffrono per una siccità senza precedenti, ed una bambina, seguendo la visione avuta in sogno da una donna, va su una collina a suonare il violino, sperando che in tal modo finalmente arrivi la pioggia. Genuino e in parte visionario, la Campion illustra l’obiettivo di assicurare la sostenibilità ambientale ricorrendo solo alla forza delle immagini. Per fortuna che almeno lei si sia ricordata di cosa è il cinema. Di sicuro, 8 ha l'innegabile merito di richiamare l’attenzione su otto grandi mali del mondo, e di rendere nota al grande pubblico l’audace iniziativa presa dall'ONU nel settembre 2000. Ma se ci si voleva limitare a diffondere ed illustrare i contenuti di tale iniziativa, sarebbe forse stata più efficace una serie di spot televisivi, o un documentario, evitando così di portare al cinema qualcosa che cinema non è.