Mad Men

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Quei pubblicitari spietati nell’America di Kennedy

di Elena Martelli Il Venerdì di Repubblica

I protagonisti di Mad Men pensano solo al denaro e al sesso. E tornano in tv per ripetere il successo della prima serie. II segreto? Dice Matthew Weiner, l'autore: sembrano gli anni 60, ma sono i nostri.
L'unica frase che Matthew Weiner aveva in mente, prima di iniziare a scrivere, otto anni fa, il pilot di Mad Men (uomini pazzi, ma anche abbreviazione di Madison Avenue) - pluripremiato l'anno scorso con sei Emmy, due Golden Globe e ora in lizza per un altro - era quella che il protagonista Don Draper, pubblicitario dagli slogan vincenti e dallo sguardo dolente, rivolge a una cliente che siede nella sala riunioni: «Non permetto a una donna di parlarmi in questo modo». Poi, ovvio, se ne invaghirà (di lei come di altre).
Mad Men è il racconto della grande epopea americana degii anni Sessanta: riflette sulle relazioni uomo-donna, ma soprattutto mette a fuoco l'attimo euforico del Big Bang della modernità. «Gli anni Sessanta» racconta Weiner, già autore dal 2004 di I Soprano, «mi interessano perché ci dicono tante cose su quello che sono diventati oggi gli Stati Uniti. Sono gli anni della prosperità nazionale, ma anche quelli in cui si comincia a discutere di povertà, di grandi corporazioni, razzismo, solitudine e alienazione, temi che preparano il grande conflitto cultura
le tra conservatori e liberal che culminerà negli anni Settanta». Come in Heimat (1984), il grande romanzo generazionale a episodi di Edgar Reitz, è il battito del tempo a innalzare la serie scritta da Weiner a grande e sofisticato racconto popolare. Ma, a differenza dei giovani tedeschi di Reitz, che entravano nella Storia con le armi della politica e dell'arte, i ragazzi di Mad Men scelgono di diventare adulti nel grande gioco dell'economia moderna e cavalcando il nascente consumismo, grazie al potere dell'advertising. « È negli anni Cinquanta che la tecnologia scopre gli effetti del concetto di obsolescenza» riflette Weiner, «puoi progettare una lavatrice che lava più in fretta, ma puoi fare in modo che si rompa dopo tre anni. Ed è in quegli anni che si intuisce la potenzialità del design. A quel punto, vuoi il frigo, il telefono e la macchina più belli. Ma nella serie la cosa più interessante, secondo me, è seguire l'impatto che la Storia impone sulle vite di questi personaggi. Come cambiano, cioè, gli uomini nel corso del tempo... Poi, naturalmente, ci sono le vicende private, l'amore, l'amicizia, la fedeltà, le gelosie». Che si impastano, nei dialoghi e nelle vicende dei vari episodi, anche con omofobia, razzismo e machismo. E poi, sigarette, perché nel mondo di Mad Men fumare è un atto liberatorio, privo di senso di colpa: fumano le casalinghe, mentre impilano i piatti nel lavabo; si accende la sigaretta il ginecologo, mentre prescrive all'ambiziosa Peggy la pillola anticoncezionale, facendole una ramanzina moralista: «Purché non la usi per fare la sgualdrina: ce ne sono già troppe in giro, di ragazze leggere». Fuma Don sul trenino che lo porta nel villino fuori città, massimo status symbol della New York dell'epoca, dove vive con moglie e figli, tutti scontenti. Come lui del resto, la cui anima dark rende ancora più struggente il volto di Jon Hamm, che sembra uscito da una di quelle superbe foto pubblicitarie di Life: «Don è il paradigma del mito americano» dice Weiner, «un eroe che viene dal nulla, che conosce la solitudine, ma riesce a diventare quello che vuole: un numero uno. Per trasformarti in un vincente devi però un po' anche mentire. C'è un personaggio che dice: "Questa è l'America: scegli il lavoro che vuoi e diventa la persona che lo fa", ed è un po' il senso della serie». Che, in questa seconda stagione, anno 1962, va maggiormente a fondo nelle vite dei personaggi, sempre più inquieti, nonostante l'ottimismo promesso dall'era kennediana. Le campagne pubblicitarie, come quella mitica per la Pepsi, sono un trionfo, ma le contraddizioni dell'economia moderna, di cui Don è il simbolo, smorzano gli entusiasmi.
«Nel 1962, ci s'inizia a interrogare sull'ambiente, sull'etica del business, sul femminismo. E II sesso diventa ancor più complicato: la tensione marca ogni rapporto, basato sull'apparenza, dentro a un mondo, come quello della pubblicità, in cui tutto è una questione di apparenza». Come Tony Soprano, eroe dal destino più shakespeariano, anche Don conosce i tormenti dell'anima: «Entrambi vivono in mondi chiusi, con regole precise. L'ambiguità è un tema forte sia nei Soprano sia in Mad Men, dove l'immagine pubblica non coincide mai con quella privata. Nessuno riesce a dirsi la verità, perché ognuno è prigioniero dell'immagine che dà di sé. E questo produce violenza. Non si muore in Mad Men, ma si passa il tempo a distruggersi l'uno con l'altro. Cosa che, del resto, continuiamo a fare».
Da Il Venerdì di Repubblica, 2 gennaio 2009

di Elena Martelli, 2 gennaio 2009

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