Il buio nell'anima

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Un film di Neil Jordan. Con Jodie Foster, Terrence Howard, Naveen Andrews, Nicky Katt, Mary Steenburgen.
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Titolo originale The Brave One. Azione, durata 121 min. - USA, Australia 2007. - Warner Bros Italia uscita venerdì 28 settembre 2007. MYMONETRO Il buio nell'anima * * 1/2 - - valutazione media: 2,86 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Faccio la giustiziera, ma sono contro le armi

di Arianna Finos Il Venerdì di Repubblica

Nel suo ultimo film Jodie Foster è una donna che, dopo aver subito un'aggressione, impugna la pistola. E a chi la accusa di istigare alla violenza l'attrice risponde: no, svelo il lato oscuro di ognuno di noi.
RUOLI controversi Jodie Foster, 44 anni, quarantuno dei quali passati a fare cinema, ci ha costruito la carriera e vinto un paio di Oscar: dalla prostituta bambina di Taxi Driver alla vittima di uno stupro in Sotto accusa, alla poliziotta antimostro del Silenzio degli innocenti. Ma il nuovo personaggio di giustiziera della notte, che va in giro a sparare in testa ai criminali nella New York notturna di Il buio nell'anima, è sembrato davvero troppo. L'America s'interroga sulle stragi nelle scuole, le armi facili, le vittime in aumento degli scontri a fuoco e la Foster decide di interpretare una donna che si fa giustizia da sé: una donna che, sopravvissuta a una terribile aggressione nel centro di New York in cui ha perso la vita il fidanzato, compra una pistola e va a caccia di teppisti e criminali. Diventando, a sua volta, un'assassina.
Negli Usa Il buio nell'anima di Neil Jordan è stato bollato come un'istigazione alla violenza, all'uso delle armi, al giustizialismo più bieco. Jodie Foster, che incontriamo a Roma, mette le mani avanti: «Sono contro l'uso e il possesso delle armi: per me dovrebbero semplicemente essere vietate a tutti». Ma allora perché ha scelto un film sulla vendetta fai-da-te?
«Mi piace provocare reazioni, Fare film con diversi livelli di lettura E mi piace che il pubblico si interroghi sui lati più oscuri dell'animo umano. Secondo le statistiche le donne sono le prime vittime delle armi da fuoco. E se le usano lo fanno, contro figli, parenti, amici, non vanno in giro a sparare agli sconosciuti. Quel che mi ha attratto del film, e che invece disturba l'opinione pubblica è che Erica Bain, la protagonista, è una "donna atipica": invece di entrare in depressione e darsi all'alcol, decide di sopravvivere, di armarsi e riprendersi la sua vita».
Togliendola agli altri.
«Sì. Dopo la violenza che ha distrutto il suo mondo diventa un fantasma. Torna a vivere quando per la prima volta ha in mano una nove millimetri, che le regala l'illusione di essere lei a decidere chi vive e chi muore. La contropartita è una discesa agli inferi: la donna istruita che era non esiste più, deve fare i conti con una sconosciuta mossa da istinti primordiali. Tutti pensiamo che non oltrepasseremo mai certi li miti, ma la verità è che ognuno di noi può diventare un mostro».
Negli Stati Uniti il film ha incassato molto e gli spettatori applaudono quando il suo personaggio spara e uccide. Non c'è il rischio che il grande pubblico si fermi al livello più immediato del film?
«È vero, i diciottenni urlano wow quando la protagonista si fa giustizia e le donne di una certa età dicono: `Brava, lo farei anch'io". Ma mi sta bene anche questa reazione primaria. Come mi sta bene che qualcuno lasci la sala disgustato, che altri fischino il film. L'importante è che il pubblico discuta su alcuni lati del nostro animo, quelli che fingia mo non esistano. Se avessi fatto un filmdinicchia, se fossiun'attrice ila liana bella e giovane e la pellicola uscisse in otto copie, nessuno avrebbe da ridire. II fatto è che ho sempre scelto di affrontare personaggi controversi, dal punto di vista morale».
A proposito di morale, qual è quella del film?
«II film non dà risposte. Quand'ero giovane tutto era bianco e nero, tutto era più chiaro. Crescendo, vivendo, avendo figli, ogni cosa diventa più sfumata. Mi pongo domande più complesse e credo che anche il cinema debba farlo. Ma non mi aspetto risposte. Mi affascinava portare il pubblico a seguire questo personaggio, entrare nella sua mente, nelle sue emozioni, capire il suo percorso. Per poi, a un certo punto, distaccarsene: il finale, per me, è tutt'altro che positivo. Forse è questa la vera tesi del film: solo un automa può usare lucidamente un'arma. È assurdo che, invece, pistole e fucili siano alla portata di persone emotivamente squilibrate, come Eric Bana del tutto incapaci di gestire questo potere di vita e di morte. E destinate a trasformarsi in mostri».
Insomma, il suo film non c'entra niente con i giustizieri alla Charles Bronson?
«Nulla. Se devo citare film di riferimento penso piuttosto a Cane di paglia, Taxi Driver, al vostro Indagine su un cittadino al di sopra d ogni sospetto, che ci fa vedere il mondo secondo l'ottica malata e corrotta del protagonista, uno straordinario Gian Maria Volonté. Non so se oggi sarebbe possibile fare un film come quello. Negli anni Settanta si esprimeva il dissenso e la rabbia attraverso questi antieroi delusi e disgustati dalla cultura dominante. Non amo parlare di politica, ma credo che molti americani oggi siano davvero scontenti della loro classe dirigente».
Gli americani sono anche molto fieri delle loro pistole...
«Sì, nel mio Paese c'è un rapporto privilegiato con le armi e un sentimento di paura che si è amplificato dopo l'11 settembre. Ma è una paura irrazionale, alimentata dai media e non giustificata dalla realtà. Perché, come dice il film, New York è davvero la città più sicura al mondo. È sicura LosAngeles la città in cui vivo. E lo è tutta l'America».
Da Il Venerdì di Repubblica, 28 Settembre 2007

di Arianna Finos, 28 Settembre 2007

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