Hotel Meina

Lizzani: ho inventato delle scene per capire la Storia

Giunto al Lido all'ombra di qualche polemico sospetto d'infedeltà ai fatti storici, ma calorosamente applaudito, Hotel Meina di Carlo Lizzani ricostruisce con qualche licenza romanzesca la strage di 54 ebrei che tra il 12 e il 22 settembre 1943 da ospiti divennero prigionieri dei nazisti in un albergo sul lago Maggiore. Il gruppo di famiglie fu tenuto per dieci giorni in una condizione sospesa per crudeltà ma anche perché a pochi giorni dall'8 settembre gli ordini erano incerti: alla fine furono tutti trucidati e gettati in acqua. L'episodio, indagato anche nei lunghi, dolorosi e contraddittori sviluppi giudiziari dal cronista del Giorno Marco Nozza nel libro cui Lizzani ha attinto, é il primo della strategia di annientamento in Italia. Chi ha sollevato dubbi, è la signora Becky Behar che poco più che bambina si salvò con la famiglia. Il film forza la realtà soprattutto in un punto: inventando (o modificando) il personaggio di una donna tedesca, resistente antinazista sotto mentite spoglie, che si prodiga per aiutare gli ebrei, Il regista difende questa scelta nel nome di una libertà creativa volta a diffondere più conoscenza della storia. Suo desiderio era inoltre quello di ricordare che c'era anche «un'altra» Germania e di riconoscerne lo sfortunato slancio a riscattare la dignità e il futuro di quella nazione. Quanto ai dubbi della signora Behar: «La giudico un'eroina e mi auguro che quando avrà modo di vedere il film lo possa considerare un omaggio all'eroismo della sua famiglia, che come racconto, fu l'ultima a lasciare l'Hotel Meina».
Da La Repubblica, 3 settembre 2007

di Paolo D'Agostini, 3 settembre 2007