giuseppe marino
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venerdì 8 febbraio 2008
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takeshi, senza cinema
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Se ne possono dire cose opposte, stimarlo per il coraggio o detestarlo per la presunzione, entrambe le reazioni sarebbero giustificate. Ed in realtà coesistono.
L'operazione ha molto in comune con Takeshis', ma se il (meta)film del 2005 era prettamente autoreferenziale, stavolta si gioca sui generi, e la ricerca sconclusionata di un copione che sia gradevole al pubblico è esplicitata da una voce over. Nella prima metà vengono accennati una decina di incipit differenti: stile Ozu, in b/n, l'horror che piace tanto rifare agli americani, la fantascienza, il film anni '50, il wuxia, svariate storie d'amore, tutte troncate da riflessioni secche sull'inadeguatezza del progetto o da inattese divagazioni.
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Se ne possono dire cose opposte, stimarlo per il coraggio o detestarlo per la presunzione, entrambe le reazioni sarebbero giustificate. Ed in realtà coesistono.
L'operazione ha molto in comune con Takeshis', ma se il (meta)film del 2005 era prettamente autoreferenziale, stavolta si gioca sui generi, e la ricerca sconclusionata di un copione che sia gradevole al pubblico è esplicitata da una voce over. Nella prima metà vengono accennati una decina di incipit differenti: stile Ozu, in b/n, l'horror che piace tanto rifare agli americani, la fantascienza, il film anni '50, il wuxia, svariate storie d'amore, tutte troncate da riflessioni secche sull'inadeguatezza del progetto o da inattese divagazioni. Kitano ha fatto tutto, ha detto di non voler più girare film yakuza, e quello che vuole mettere in scena è solo la sua confusione. Prendendoci e prendendosi spietatamente in giro. Nella seconda parte si assesta su un plot ancora più lunatico, molto alla Getting Any, e in generale molto televisivo.
Credo sia l'unico suicidio cinematografico perfettamente consapevole e ricercato. E riuscito, dal momento che il film, oltre che in Giappone, è stato visto solo in una manciata di festival. Se Takeshis' ha per la massima parte una regia paragonabile alle opere precedenti (ed ha una vena amara), Kantoku è spesso buttato lì come viene (ed è in toto un film demenziale). Ed alcune gag sono davvero agghiaccianti, su tutte un pupazzo-Zidane che abbatte i suoi nemici a testate. Cose così in Italia a Natale ne piovono.
Eppure.
Eppure l'ossessione e la sincerità con cui quest'uomo si fa del male ha qualcosa di terribilmente poetico e affascinante. L'amarezza è propria del film nella sua esistenza, quella di un amico che fa seppuku, facendo realmente del male alla parte di lui che ti è dato conoscere. Si autodiagnostica un totale disfacimento celebrale, ma ogni volta che si trova in una situazione pericolosa si sostituisce con un manichino, oggetto di angherie ed incline al suicidio. E' sostanzialmente inattaccabile. E poi "Beat" Takeshi ogni tanto ti guarda in camera e ti fa l'occhiolino, a te che hai visto e rivisto Hana-bi ed hai creduto nell'onnisciente Zatoichi. Che erano, però, Kitano che faceva cinema. GLORY TO THE FILMMAKER!, qui c'è solo Kitano.
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paola di giuseppe
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sabato 3 luglio 2010
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un manichino al momento giusto e ciak, si gira...
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Di fronte a Glory to the filmmaker si resta per un po’ senza parole: cos’è? ci si chiede, un seppuku rituale, una coraggiosa autoaffermazione (io sono io e non il pupazzo dei critici), un gioco a cui si chiede al pubblico di partecipare senza farsi troppe domande (afferma Masayuki Mori, il produttore: “In Giappone non abbiamo avuto il successo che speravamo perché il pubblico non è riuscito ad accettare la coesistenza tra la parte seria del film e la comicità. In realtà noi abbiamo cercato di dare agli spettatori un prodotto semplice, sul quale non ci fosse il bisogno di riflettere troppo, un film divertente e leggero. Certo, non si può obbligare qualcuno a ridere e non pensare a niente. Solo le giovani donne che non avevano mai visto un film di Kitano hanno apprezzato questo lavoro.
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Di fronte a Glory to the filmmaker si resta per un po’ senza parole: cos’è? ci si chiede, un seppuku rituale, una coraggiosa autoaffermazione (io sono io e non il pupazzo dei critici), un gioco a cui si chiede al pubblico di partecipare senza farsi troppe domande (afferma Masayuki Mori, il produttore: “In Giappone non abbiamo avuto il successo che speravamo perché il pubblico non è riuscito ad accettare la coesistenza tra la parte seria del film e la comicità. In realtà noi abbiamo cercato di dare agli spettatori un prodotto semplice, sul quale non ci fosse il bisogno di riflettere troppo, un film divertente e leggero. Certo, non si può obbligare qualcuno a ridere e non pensare a niente. Solo le giovani donne che non avevano mai visto un film di Kitano hanno apprezzato questo lavoro.”).
Il particolare delle giovani donne che, sole, l’hanno apprezzato, risulta perfino più divertente del film stesso, tanto più se ricordiamo quello che dice Kitano stesso: “Nei miei film ci sono spesso delle cose che non riesco a fare bene. Le donne le tratto spesso come degli oggetti, ma chissà, magari un giorno farò un film tutto incentrato sulla figura femminile.”
Che Kitano ami spiazzare non è dunque una novità, e qui ci riesce alla grande, partendo con la cinepresa rotta nel suo cervello che i medici diagnosticano come un cancro.
Il disfacimento celebrale lo porta ad una sorta di dissociazione schizofrenica, per cui ogni volta che si profila un pericolo si sostituisce con un manichino a cui toccano urti e botte.
Il filmmaker ha bisogno di rinnovarsi, e il plot è affidato alla voce fuori campo nella prima parte (poi si perderà nel caos anche quella).
Bisogna trovare un soggetto, un genere gradito al pubblico.
Si provano numerosi incipit, a colori e in b/n, in stile Ozu o comedy anni '50, l'horror american style e il wuxia, la fantascienza e le storie d'amore.
Nessuna funziona, il pezzo finisce tra i rifiuti, si perde il filo e si comincia a divagare, insomma l’importante è ripetersi continuamente “ma non è una cosa seria!”
Beat Takeshi prende in giro sé stesso e il cinema, si destruttura (uomo/pupazzo) e destruttura il cinema, si prende il gusto di recitare qualsiasi cosa e poi butta tutto all’aria in mille pezzi, mentre l’unica recinzione a tenere insieme le membra sparse è la musica di Shinichirô Ikebe.
E’ trascinante questa specie di "cupio dissolvi", lo riconosciamo perché di questa metastasi erano densi tutti i suoi film precedenti, la sua amarezza, quella faccia immobile attraversata dal tic che gli contrae impercettibilmente la guancia destra, e sembra fare l’occhiolino.
Il suo doppio in Takeshis’ era un clown, ma umano, troppo umano.
Bisogna che diventi legno, plastica, che assorba i colpi, che non cominci a sparare come un matto facendo stragi.
Bisogna che lo spettacolo continui, The Show Must Go On! ragazzi, e Glory to the filmmaker .
C’è bisogno di dirlo ancora una volta che Kitano è un genio?
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