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frank
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mercoledì 22 novembre 2006
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un bel film
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Un bellissimo film che ha messo bene in risalto i sentimenti dei soldati in guerra . Non tutte le generazioni hanno fatto la guerra e solo coloro che l'hanno fatta hanno tutte quelle emozioni e ricordi che l'hanno caratterizzata . Questo e' un film sullo stile del soldato Ryan , dove la battaglia e' messa bene in luce come un qualcosa che sarebbe bene che nessuno conoscesse .
Altro aspetto interessante di questo film di Eastwood e' come vengono presi in giro i modelli culturali americani , in cui il mito dell' eroe viene esaltato a tal punto da dare la nausea , senza ricompense concrete , ma solo con apperenze di ringraziamento senza nessuna vera sostanza .
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biella94
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mercoledì 22 novembre 2006
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iwo jima:la foto della guerra
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Clint Eastwood porta sul grande schermo la crudeltà della battaglia di Iwo Jima in un film capolavoro che rappresenta quanto di meglio si sia visto in un film di guerra;più spettacolare di Windtalkers,più realistico di Salvate il soldato Ryan,più bello e coinvolgente di Full Metal Jacket e con una trama molto coinvolgente.
Un applauso a Clint Eastwood,alla sua ottima regia e allo straordinario cast.
Un film ineguagliabile,il miglior film di guerra,un CAPOLAVORO che entrerà a far parte della storia del grande cinema.
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blogger
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mercoledì 22 novembre 2006
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la storia maestra di vita
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Se si avesse avuto il coraggio di andare contro le convenzioni, si sarebbe tradotto il titolo del film di Eastwood in italiano, evitando così l’eufemismo dell’inglese: così“le bandiere dei nostri padri” sarebbe stato una bella lezione etica per intellettuali e politici di casa nostra che oggi si accapigliano sulla Resistenza, come se si trattasse di una ricetta i cui ingredienti non si possono variare. Il lungometraggio infatti racconta di molte Jwo Jima, nessuna delle quali è quella vera o quella falsa in senso assoluto, ciascuna delle quali nega e nello stesso tempo aggiunge qualcosa all’altra: il film-documentario ovvero la ricostruzione fedele su foto del leggendario episodio della Seconda guerra mondiale inizia, mentre sullo schermo scorrono i titoli di coda, dopo che la decomposizione del medesimo evento è stata portata a termine.
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Se si avesse avuto il coraggio di andare contro le convenzioni, si sarebbe tradotto il titolo del film di Eastwood in italiano, evitando così l’eufemismo dell’inglese: così“le bandiere dei nostri padri” sarebbe stato una bella lezione etica per intellettuali e politici di casa nostra che oggi si accapigliano sulla Resistenza, come se si trattasse di una ricetta i cui ingredienti non si possono variare. Il lungometraggio infatti racconta di molte Jwo Jima, nessuna delle quali è quella vera o quella falsa in senso assoluto, ciascuna delle quali nega e nello stesso tempo aggiunge qualcosa all’altra: il film-documentario ovvero la ricostruzione fedele su foto del leggendario episodio della Seconda guerra mondiale inizia, mentre sullo schermo scorrono i titoli di coda, dopo che la decomposizione del medesimo evento è stata portata a termine. Di fatto Flags of our fathers, nonostante le toccanti scene di combattimento, non è un film di guerra e neppure esplicitamente contro la guerra: Eastwood piuttosto mette in campo una riflessione lucida sulla retorica, sul suo contraddittorio potere di incidere sulla esistenze dei singoli e dei popoli, e di riflesso sull’uso ambivalente di termini quali patriottismo ed eroismo, fratellanza e solidarietà. Da un lato vi è il linguaggio della propaganda politica, cinico istrumentum regni, dall’altro vi è quello dei sentimenti e delle emozioni, motivo per cui la medesima parola identifica realtà antitetiche: gli eroi e i miti sono un feticcio, creato per dare “oppio” alle masse ignare, ma sono anche espressione autentica di qualità e bisogni umani. Il conflitto implode in misura diversa nella coscienza dei tre protagonisti: la dispersione fra i personaggi, lo scarto fra i pianti temporali, la frammentazione di prospettiva, toglie qualcosa alla concentrazione necessaria alla messa a fuoco, ma ugualmente Flag of our Fathers scalza convenzioni, schematismi ed ideologie con cui siamo soliti impoverire lo studio del nostro passato. Le bandiere innalzate dai padri sulla vetta del colle da conquistare sono sempre state due, ma solo chi le ha portate le sa distinguere. E allora a essere "maestra di vita" non è la storia, ma ciò che la memoria strappa alla resistenza dell'oblio: un gruppo di compagni adolescenti fa il bagno su un spiaggia…. a essere dimenticato è il momento in cui un uomo diventa eroe. htpp:/slilluzicando.splinder.com
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franci
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domenica 19 novembre 2006
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c-a-p-o-l-a-v-o-r-o-
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GRANDISSIMO CLINT.
IL FILM ERA STUPENDO.IN CERTE SCENE HO PURE PIANTO PER LA TRAGICA STORIA,MA VERAMENTE UN CAPOLAVORO
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diomede917
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venerdì 17 novembre 2006
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chi è un eroe?
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Chi è un eroe? Quello che sacrifica la propria vita per il gruppo di commilitoni e (soprattutto) amici o quello che viene immortalato in una bellissima foto che serve a fare propaganda?
Il film di Clint Eastwood Flags of our fathers punta il dito su questo quesito, non è un film di guerra in senso stretto come lo fu Salvate il soldato Ryan se vogliamo trovare un paragone (visto che Spielberg produce il film) ma un film fin troppo attuale sulla forza dei media e la sua costruzione di falsi miti. I nostri tre protagonisti si ritrovano in un ingranaggio più grande di loro, i fantasmi dei loro amici morti sono troppo ingombranti anche quando sei vecchio e stai per morire. Eastwood rappresenta al meglio questo peso delle loro coscienze usando a corrente alternata il flashback quasi fosse un sussulto dell'anima e ci regala l'ennesima prova maiuscola di regia.
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Chi è un eroe? Quello che sacrifica la propria vita per il gruppo di commilitoni e (soprattutto) amici o quello che viene immortalato in una bellissima foto che serve a fare propaganda?
Il film di Clint Eastwood Flags of our fathers punta il dito su questo quesito, non è un film di guerra in senso stretto come lo fu Salvate il soldato Ryan se vogliamo trovare un paragone (visto che Spielberg produce il film) ma un film fin troppo attuale sulla forza dei media e la sua costruzione di falsi miti. I nostri tre protagonisti si ritrovano in un ingranaggio più grande di loro, i fantasmi dei loro amici morti sono troppo ingombranti anche quando sei vecchio e stai per morire. Eastwood rappresenta al meglio questo peso delle loro coscienze usando a corrente alternata il flashback quasi fosse un sussulto dell'anima e ci regala l'ennesima prova maiuscola di regia.
La musica del figlio Kyle fa da sottofondo al senso di angoscia che opprime i nostri protagonisti e accompagna per un ottimo finale le foto dei veri eroi di questa sporca guerra che si chiama IWO JIMA.
Attendo con trepidazione la versione giapponese!!!!
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alessio biancucci
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giovedì 16 novembre 2006
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america abbondante e più belligerante
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Ogni tanto è consigliabile qualche immagine che ricordi la ripugnante violenza della guerra. Un vaccino che ciclicamente ha bisogno dei suoi richiami. Soprattutto quando i richiami sono girati dalla sapiente tecnica di Clint Eastwood che qui è trainata dalla spettrale quanto prodigiosa fotografia di Tom Stern. E finché si rimane prigionieri della battaglia e dell'isola di Iwo Jima il film è davvero avvolgente, anche se può essere immediata quanto fuorviante l'analogia con lo sbarco in Normandia di quello Spielberg che qui fa il produttore.
Solo che Clint si pone obiettivi ambiziosi che spesso non riesce a centrare. Il ruolo della fotografia e dei fotografi è determinante: forse anche per dire che i chilometri di pellicole propagandiste non avevano suscitato tra gli americani lo stesso entusiasmo di quell'unico, storico (e posticcio) fotogramma di Rosenthal.
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Ogni tanto è consigliabile qualche immagine che ricordi la ripugnante violenza della guerra. Un vaccino che ciclicamente ha bisogno dei suoi richiami. Soprattutto quando i richiami sono girati dalla sapiente tecnica di Clint Eastwood che qui è trainata dalla spettrale quanto prodigiosa fotografia di Tom Stern. E finché si rimane prigionieri della battaglia e dell'isola di Iwo Jima il film è davvero avvolgente, anche se può essere immediata quanto fuorviante l'analogia con lo sbarco in Normandia di quello Spielberg che qui fa il produttore.
Solo che Clint si pone obiettivi ambiziosi che spesso non riesce a centrare. Il ruolo della fotografia e dei fotografi è determinante: forse anche per dire che i chilometri di pellicole propagandiste non avevano suscitato tra gli americani lo stesso entusiasmo di quell'unico, storico (e posticcio) fotogramma di Rosenthal. Ma allora il cinema non può limitarsi a fotografare. E così ci si avventura nei raccordi ambientati tra l'America contemporanea e quella stremata dalla seconda guerra mondiale, con esiti incerti e claudicanti. Interminabili e traboccanti i passaggi che cercano di spiegare i diversi significati dell'intreccio. Con risultati modesti. La testimonianza intergenerazionale, i padri che lasciano la memoria storica ai figli. E non ce ne sarebbe troppo bisogno visto che gli Usa guerreggiano in ogni epoca.
Poi il governo e i generali che, nei secoli dei secoli, dal De bello gallico a Nassyria, strumentalizzano gli eroi. Anche se qui i protagonisti non si sentono eroi. Perché, e questo è il vero gioiello del film, gli uomini non fanno la guerra per la patria o chissà per quale ideale, ma per difendere i compagni, quelli che cadono accanto, magari mai visti prima. Un finale tremendamente umano. Che però non elude la cinica realtà: tutta questa retorica sulla bandiera e nemmeno un'allusione alle atomiche sganciate a guerra vinta. Magari nel controcampo Lettere da Iwo Jima (che uscirà a gennaio) vedremo la soggettività nipponica. Per ora c'è solo da smaltire questa abbuffata di America.
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mr.kubrick
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mercoledì 15 novembre 2006
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grande clint
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Uno dei migliori film di Eastwood, magnifiche le scena di battaglia, opportuna la scelta di girare per la maggior parte di tempo in bianco e nero.Per quanto riguarda gli attori, si può notare un cameo di Paul Walker, i protagonisti non sono all'altezza del film,si poteva sceglier forse un cast migliore.Forte è il messagio di questo film che ci fa capire cosa si fa pur di fare una guerra.
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lupin3rd
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mercoledì 15 novembre 2006
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per favore no farinotti
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Già il suo dizionario è agghiacciante per pressapochismo e qualità, per carità non fatelo scrivere perché è la fiera dell'ovvio e della scrittura elementare.
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bobtheheat
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mercoledì 15 novembre 2006
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gle eroi li creamo noi
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A vedere il nuovo Clint, alla prima visione serale dello scorso venerdi, eravamo in 4 gatti in sala. Per certi versi meglio cosi', meglio SEMPRE evitare la confusione e "quei personagggi" che commentano il film ad ogni battuta. Forse in molti hanno pensato:ancora un film di guerra! Ma sulla seconda guerra mondiale cos'altro c'e' ancora da dire...A tutti coloro che, anche solo per un attimo, hanno pensato cio', posso dire che stanno commettendo un errore piuttosto grave. Perdersi "Flags of our fathers", che di "nuove cose" sulla Seconda Guerra Mondiale e non solo, ne dice parecchie, sarebbe infatti un grave peccato. Perche' si tratta di un film fortemente Fordiano, molto onesto e sincero, dolente e commovente, con immagini di guerra filmate ( con una fotografia che vira quasi al bianco e nero) in maniera straordinaria.
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A vedere il nuovo Clint, alla prima visione serale dello scorso venerdi, eravamo in 4 gatti in sala. Per certi versi meglio cosi', meglio SEMPRE evitare la confusione e "quei personagggi" che commentano il film ad ogni battuta. Forse in molti hanno pensato:ancora un film di guerra! Ma sulla seconda guerra mondiale cos'altro c'e' ancora da dire...A tutti coloro che, anche solo per un attimo, hanno pensato cio', posso dire che stanno commettendo un errore piuttosto grave. Perdersi "Flags of our fathers", che di "nuove cose" sulla Seconda Guerra Mondiale e non solo, ne dice parecchie, sarebbe infatti un grave peccato. Perche' si tratta di un film fortemente Fordiano, molto onesto e sincero, dolente e commovente, con immagini di guerra filmate ( con una fotografia che vira quasi al bianco e nero) in maniera straordinaria. Un film senza eroi, senza buoni e cattivi, che trae grande forza da un montaggio estremamente efficace del sempre bavissimo Joel Cox e dal commento musicale dello stesso Clint. Se non arriva al cuore come i suoi ultimi due ultimi capolavori, se non ne ha la stessa potenza, e' solo perche' il soggetto di Paul Haggis tende a volte a ripetersi. A spiegare un po' troppo, anche con la voce narrante, situazioni gia' ben (spesso amaramente) chiare. Nonostante questo, nelle sue immagini e nei volti dei suoi protagonisti, specie in quella dell'indiano Adam Beach/Ira (quello meglio descritto nonche' piu' amato dal regista, mentre gli altri sono un po' sottotono, anche a livello di recitazione) si respira un'aria di sofferenza, di pieta' e di tragicita' decisamente molto forte. Ed inusuale. "Flags of our fathers" e' un film che ci dice in modo esemplare che non si combatte per la patria, ma semplicemente per la propria pella e per quella dei propri compagni. Come dimostra Barry Pepper/Mike( forse l'unico personaggio eroico di un film che di eroi proprio non ne vorrebbe) quando decide di andare in prima linea per combattere, come promesso solennemente, insieme al suo plotone.Ed e' anche un film che ci mostra amaramente e tristemente come una Nazione arrivi a sfruttare i sentimenti e i destini dei soldati sopravvissuti, rendendoli poco piu' che dei burattini. Ad infischiarsene (ieri come oggi) di raccontare la verita', capace di (s)vendere all'opinione pubblica qualsiasi tipo di menzogna e di spettacolazzare in modo kitsch ogni evento pur di uscirne con la consueta immagine di superpotenza. Se nel sottofinale c'e' forse qualche retorica di troppo (il figlio sul letto di morte del padre) che qualcuno, ne sono certo, attribuira' malignamente al produttore Spielberg (ma la sua mano invece e' evidente sicuramente nella qualita' e nella ricchezza della produzione) e' vero pero' che poi il film torna a livelli altissimi con le immagini di chiusura. Le quali mostrano i nostri "antieroi" concedersi come meritato premio, subito dopo aver conquistato la vetta del monte Suribachi, fare un tuffo nelle acque di una spiaggia poco lontana dal campo di battaglia. Immagini toccanti e di sincera poesia tra le migliori del cinema di Clint. E non e' poco. Preludio a quelle commoventi che scorrono lungo i titoli di coda, dove scorgiamo grazie a splendide fotografia d'epoca i veri volti dei protagonisti.
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lizard
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martedì 14 novembre 2006
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il pessimismo storico di clint
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Mi sembra che questo film(probabilmente imperfetto, ma a suo modo straordinario) sia stato oggetto di parecchi fraintendimenti critici.
Tra questi, il più paradossale mi sembra il parallelismo con "Salvate il soldato Ryan". Lì, la finalità sottintesa era quella di dimostrare la democraticità dell'esercito americano, nel quadro di una guerra ideologicamente giusta, nella quale il salvataggio anche di un solo uomo era una conseguenza eticamente naturale.
In quel quadro, lo sventolio della bandiera americana nell'ultima scena costituiva il richiamo ad un valore condiviso.
Qui, i soldati non assumono mai la veste di protagonisti, ma si trovano stritolati in un meccanismo(bellico, ma anche propagandistico) incontrollabile, in cui l'unico valore positivo è costituito dalla solidarietà reciproca.
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Mi sembra che questo film(probabilmente imperfetto, ma a suo modo straordinario) sia stato oggetto di parecchi fraintendimenti critici.
Tra questi, il più paradossale mi sembra il parallelismo con "Salvate il soldato Ryan". Lì, la finalità sottintesa era quella di dimostrare la democraticità dell'esercito americano, nel quadro di una guerra ideologicamente giusta, nella quale il salvataggio anche di un solo uomo era una conseguenza eticamente naturale.
In quel quadro, lo sventolio della bandiera americana nell'ultima scena costituiva il richiamo ad un valore condiviso.
Qui, i soldati non assumono mai la veste di protagonisti, ma si trovano stritolati in un meccanismo(bellico, ma anche propagandistico) incontrollabile, in cui l'unico valore positivo è costituito dalla solidarietà reciproca.
Tanto il film di Spielberg era animato da una sostanziale visione positivistica, tanto quello di Clint è percorso da un evidente pessimismo storico.
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