Natalia Aspesi
La Repubblica
Lacrimano di nascosto giovanotti carini, le signore poi, un fiume: finalmente una grande storia d’amore, di quelle gioiose e dolenti, una di quelle storie che per dare vera soddisfazione devono raccontare passioni impossibili, accidentate, segrete, fatte di rari magici incontri che illuminano vite doverosamente banali. Da quando le donne si sono fatte difficili (antipatiche, distratte, esigenti, colpevolizzanti), il cinema e la letteratura riescono sempre meno a raccontare l’amore eterno, perché persino i film in costume o i romanzi storici vivono soprattutto di disamori e corna. Ma se un rude mandriano s’innamora, riamato, dì un muscoloso cowboy. ecco che pare del tutto naturale, inevitabile, che tra loro s’accenda l’incanto dei sentimenti, la tempesta dei sensi, che i due si desiderino e si cerchino e si aspettino e si ritrovino per sempre, sino alla morte: mentre a casa mogli e bambini e suoceri aspettano nervosi e dubitosi il ritorno del loro rispettivo eroe, padre esemplare e marito meno, saltuariamente ma intensamente gay.
Brokeback mountain, in concorso, è un film nato lui stesso dalle lacrime: hanno pianto gli sceneggiatori quando per sette anni non hanno trovato nessuno disposto a finanziario, dirigerlo e interpretarlo, ha pianto il regista cinoamericano Ang Lee (Tempesta di ghiaccio, La tigre e il dragone, Hulk) quando ha letto il commovente copione, hanno pianto i due bei protagonisti, il nerboruto Heath Ledger dal sorriso fanciullo e il più delicato Jake Gyllenhaal dalle lunghe ciglia nere, per gli scomodi giorni passati a gelare per le riprese sulle montagne: non si sa, se vedendo il film, per ammirazione o fastidio, piangerà pure la settantenne Annie Proulx, la scrittrice americana premio Pulitzer, autrice del racconto breve pubblicato dal New Yorker nel 1997, da cui il film è tratto (pubblicato in Italia da Baldini & Castoldi col titolo Gente del Wyoming). Per avere un’idea di quanta omotenerezza dilaghi dal libro e dal film, che ne riproduce perfettamente la scena, ecco una frase: «Quel che Jack ricordava e rimpiangeva con un’intensità che non poteva soffocare né capire, era la volta che, in quella lontana estate sulla Brokeback, Ennis gli era andato alle spalle, attirandolo a sé, il silenzioso abbraccio che pIa-cava una sete condivisa e sessuata».
Wyoming, 1963: spazi immensi, meravigliose montagne, laghetti ghiacciati, alberi maestosi, neve, tempesta, tramonti, albe, silenzio, per giorni e giorni: e un mare spaventevole di pecore da sorvegliare e proteggere dai coyote sbranatori. Solitudine. Fagioli sul fuoco, tenda scossa dalla bufera, bottiglia di bourbon, bidet nel ruscello, occhiate timide e inquiete. Poi, via l’eterno cappellone e i jeans, sesso famelico e maschio, Timide carezze, baci delicati, pudica tempesta emotiva, casti nudi. Non sono frocio. Neanch’io. Sarà, ma da quel momento Ennis (Ledger) e lack (Gyllenhaal) si desidereranno e mancheranno per tutta la vita, avranno continua nostalgia di quell’estate incantata, in cui si sono rivelati l’uno all’altro e a se stessi senza accettarsi. Ennis sposa la fidanzata, ha due bambine, fa miseramente il bovaro, Jack incanta una benestante bella regina del rodeo, e pur detestato dal futuro suocero la sposa e diventa padre di un piccino malmostoso. Vite spente, senza gioia, lavori brutti, figli che strillano, mogli giustamente musone, case squallide: poi l’immensa gioia dei giorni di fuoco in cui, un paio di volte l’anno, i due innamorati si ritrovano, nel paradiso della reciproca passione e della natura incontaminata e gloriosa delle montagne, a pescare, cacciare, far la lotta, prendersi, senza parole, senza sapere, con felicità e inquietudine. Le mogli intanto se la passano peggio: hanno capito e, rancorose, devono sopportare, sentirsi niente, venir talvolta, stancamente, usate. Per vent’anni va avanti così e andrebbe avanti così all’infinito (e sono già passati l34 minuti» se purtroppo o finalmente, uno dei due non morisse, consentendo all’altro di passare il resto della sua vita monca a baciare la rustica camicia del defunto.
Si sa che niente è più virile dell’epopea western americana e del cinema che non ha mai smesso di celebrarla, con i suoi eroi solitari a cavallo, la pistola veloce, il rodeo con i tori infuriati, il lazo, gli stivaloni di cuoio con gli speroni a stella, il cappello a tesa larga. la pinta di birra, la barba non fatta, i sudori, il giaccone sudicio e le donne infelicemente innamorate. Ma si sa anche che il cowboy, come il camionista e il militare, è una delle icone gay più venerate, tanto che esistono intere collane di romanzi rosa con storie omowestern e che anche da noi certi dark party di categoria sono spesso dedicati al tema.
Così, sia il romanzo che il film non compiono una dissacrazione, ma si attengono alla conferma dell’immaginario ma anche della realtà gay. Tanto che i due autentici cowboy che hanno collaborato al film appartengono ad associazioni di rodeo riders gay che, assicurano, sono una folla: uno dei due è felicemente sposato con un ragazzo, l’altro è fidanzato. Film melò quindi soprattutto per signore rassegnate all’inconsistenza, Brokeback mountain, come il racconto della Proulx. ha il valore sociale di piantana con la gayezza che piace tanto alta televisione coni suoi briosi giovanotti che sanno tutto di trucco e di moda e d’ignorare l’omosocietà privilegiata, protetta dal denaro e da quella cultura che dà un senso di appartenenza e la protezione della propria storia. Ennis e Jack, più per il luogo che per il tempo in cui sono cresciuti, sono privi di qualsiasi entroterra intellettuale, non hanno alcun riferimento che li rassicuri, o armi di difesa che in un mondo rurale chiuso, primitivo e minacciato dall’ira divina (uno è metodista, l’altro avventista), li difenda dall’isolamento; sono addirittura inconsapevoli di cosa li spinga uno verso l’altro, una diversità, o una colpa per loro stessi inaccettabili. Non conoscono le parole per dirlo, per dirselo, per avere finalmente il coraggio di essere liberi di vivere come non osano neppure sognare.
Da La Repubblica, 3 settembre 2005
di Natalia Aspesi, 3 settembre 2005