Dick & Jane - Operazione furto

Roberto Nepoti

Come insegna Oscar Wilde a tutto si può rinunciare fuorché al superfluo. È così che Dick Harper, diventato vicepresidente della Globodyne e contemporaneamente rimasto senza lavoro (la multinazionale mediatica ha subito un collasso galattico, paragonabile a quello della Enron), si ritrova nei guai fino al collo. Di un nuovo posto neanche parlarne, con la crisi degli executive di mezza età. Venduto il vendibile e sotto minaccia di sfratto, Dick e la mogliettina Jane tentano umili lavori, con risultati disastrosi; poi si riciclano in rapinatori alla Bonnie&Clyde. Prendono i soldi, scappano e si ricomprano l'indispensabile superfluo.
Non bisogna pensare, però, a Dick&Jane - operazione furto come a un manifesto situazionista e anarchico che proponga il crimine come antidoto alla prevaricazione del potere. Il tutto prende una piega edificante allorché la coppia mette in atto un piano per riprendere al titolare dell'azienda fallita, McCallister, i miliardi che s'era scippato, ridistribuendoli alle sue vittime. Un finale da Robin Hood, insomma, che riconferma la fiducia nell'iniziativa privata e nel "tutto si aggiusta" più che ai tempi di Frank Capra (lui, però, ci metteva una forte dose d'ironia).
Alcune trovate sono divertenti e, in generale, la prima parte del film si lascia guardare. E poi, Jim Carrey è sempre Jim Carrey; così addomesticato alla logica della commedia hollywoodiana, però, lo avevamo visto di rado.
da La Repubblica, 27 gennaio 2006


di Roberto Nepoti, 27 gennaio 2006