The Manchurian Candidate

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Un film di Jonathan Demme. Con Denzel Washington, Meryl Streep, Liev Schreiber, Kimberly Elise, Vera Farmiga.
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Titolo originale The Manchurian Candidate. Thriller, Ratings: Kids+13, durata 129 min. - USA 2004. uscita venerdì 12 novembre 2004. MYMONETRO The Manchurian Candidate * * 1/2 - - valutazione media: 2,72 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Silvia Bizio

La Repubblica

Frank Sinatra c’è l’afro-americano Denzel Washington, e questo dovrebbe chiarire subito che il remake di The Manchurian Candidate, il film di Jonathan Demme in uscita negli Usa il 30 luglio, vuole essere tutt’altra cosa rispetto al modello, prodotto nel 1962. «L’originale è inarrivabile», ammette Demme, che aveva vinto un Oscar nel ‘92 con Il silenzio degli innocenti: «E poi basta l’ambientazione contemporanea a rimescolare le carte in tavola». Dalla guerra in Corea infatti si passa alla prima guerra del Golfo. E finiti i tempi della minaccia sovietica si scopre che i cattivi ce li abbiamo in casa. Ma non è solo questo che ne fa uno dei film più attesi della stagione estiva. The Manchurian Candidate di John Frankenheimer era un classico della paranoia al tempo della Guerra Fredda. Protagonisti Sinatra, Laurence Harvey e Angela lansbury, univa thriller con una satira bizzarra sull’altra faccia dei sogno americano: un film precursore di ogni “dietrologia“, che offre spunti ancora oggi suggestivi a chiunque rifiuti di accettare la versione ufficiale di qualsiasi storia.
Ambientato nel 1952, The Manchurian Candidate (in Italia uscì col titolo Va’ e uccidi) si apre con il ritorno dalla Corea di Sinatra e Harvey, eroi da manuale che però, dopo esser stati catturati dal nemico, erano stati sottoposti a un lavaggio del cervello e alla “riprogrammazione“ da parte dei comunisti russi e cinesi. Harvey commette un delitto ogni volta che, attraverso un gioco di carte, glI viene impartito un ordine segreto. Sinatra scopre l’arcano, ma ci mette un po’ a capire che “l’operatore americano” a cui Harvey risponde non è altri che la madre di questi (la Lansbury), perfida moglie di un senatore maccarthista.
Nella nuova versione di The Manchurian Candidate, il cui copione è stato rielaborato da Daniel Pyne e Dean Georgaris sulla base di quello originale di George Axelrod (a sua volta tratto dall’omonimo romanzo del 1959 di Richard Condon), Denzel Washington è il capitano Marco, membro di una pattuglia catturata durante l’operazione Desert Storm nel 1990. Al ritorno in patria, il capitano è tormentato da incubi. Decide di incontrare il sergente Raymond Shaw (interpretato da Liev Schreiber), un ex compagno di pattuglia. Raymond era stato “riprogrammato“ in prigionia come killer manovrabile a distanza: non da maligne forze di una nazione nemica, ma da una compagnia tutta americana, malgrado l’eccentrico Marichurian nel nome. Nel remake, la madre di Raymond, Eleanor (Meryl Streep), è diventata lei stessa un senatore: un falco della destra, mossa decisamente al passo coi tempi.
«Ammetto di non aver mai visto il film originale: e anzi ho fatto uno sforzo per non vederlo prima delle riprese, per evitare di confrontarmi con la Lansbury, che sapevo era stata fenomenale», dice Meryl Streep, due Oscar, 13 candidature (un record), appena incoronata dall’American Film Institute col premio alla carriera. Per prepararsi al ruolo la Streep ha fatto un’abbuffata di talk show politici: “Soprattutto quelli della Fox, il canale più conservatore»‚ spiega. Schreiber, il cui personaggio Raymond è candidato al Congresso, si è ispirato a immagini di repertorio di Bob Kennedy: «Era una persona contraddittoria. Era dotato di un misto intrigante di oscuro e luminoso. A volte era un grande oratore, elegante e sicuro di sé, altre era impacciato, imbranato».
Si discute molto sulla rilevanza politica che avrà il nuovo film: non per niente la Paramount ha anticipato l’uscita dall’autunno al 30 luglio perché, spiega Demme, «c’è una forte convinzione che un film ambientato sullo sfondo di una campagna presidenziale non dovrebbe uscire proprio nel cuore di questa campagna». Non sarà perché la convention democratica finirà proprio un giorno prima, il 29 luglio? Risponde Demme: «il nostro film ha una dimensione politica che non posso negare. Ma non fa nessuna affermazione politica, alla Fahrenheit 9/11. Partiamo dal Desert Storm perché è stata la prima guerra americana del dopo Vietnam, ma non parliamo di terroristi o di fondamentalisti, non nominiamo al Qaeda».
Molti si chiedono perché Demme abbia deciso di rifare un altro film del passato subito dopo aver clamorosamente fallito con The Truth About Charlie, remake di Charade di Stanley Donen. «Con Manchurian Candidate mi muovo su un terreno a me più noto, il thriller, la suspense: come Il silenzio degli innocenti, spiega. Un puro thriller quindi, ben diverso dall’originale, uscito nel bel mezzo della crisi dei missili a Cuba. Che quella pellicola,nel lontano 1962, non fosse destinata a essere un film qualsiasi si era ben capito. Era stata accolta con entusiasmo da John Kennedy a cui era piaciuto il romanzo di Condon, mentre Sinatra accettò non solo di recitare nel film, ma anche di finanziarlo (il remake è prodotto dalle figlie di Sinatra, Tina e Nancy). «Il progetto di quel film venne respinto da ogni studio prima che Sinatra e JFK intervenissero», ricorda Demme. Il tempismo della sua uscita fu fin troppo perfetto, facendo sì che quella che doveva essere una satira venisse presa alla lettera. E così la svolta più sinistra nella fortuna del film si ebbe quando Kennedy venne assassinato da Lee Harvey Oswald, il quale, a sua volta, aveva vissuto in Russia e fu sospettato di essere stato “riprogrammato” dai sovietici. «La dinamica dei crimine di Oswald rievocava la scena dell’assassinio alla fine di The Manchurian Candidate», ricorda Demme: «Si seppe che Oswald aveva visto più volte il film, e questo fece venire i brividi alla gente». Fu allora che Sinatra decise di ritirarlo dalla circolazione per quasi 30 anni, facendolo così diventare un po’ leggenda, un po’ tabù. Ora, grazie alle figlie di Sinatra, Demme ha osato rompere il tabù e sfidare la sorte. Al pubblico il verdetto.
Da L’Espresso, 22 luglio 2004


di Silvia Bizio, 22 luglio 2004

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