Ingannevole è il cuore più di ogni cosa

Monica Capuani

L'infanzia non sempre è un'età incantata. J.T. LeRoy è sopravvissuto a quegli anni d'oro grazie alla scrittura. Anni fa, a S. Francisco, in un ospedale in cui era finito per droga, ha incontrato uno psicoanalista che - grazie a un saggio trucco terapeutico - lo ha indotto a scrivere. LeRoy non ha più smesso e i libri ai quali ha affidato la disperata autobiografia dei suoi primi vent'anni di vita lo hanno salvato. Il suo esordio, Sarah, è stato uno straordinario "caso" letterario. J.T. affidava a quel romanzo l'amore dolente e inossidabile per la madre, "lucertola da parcheggio", che lo aveva avviato bambino alla prostituzione.
Qualche anno fa l'incontro con una fan dei suoi libri, Asia Argento, ha suggellato un'amicizia forte che ha permesso ai due di concepire l'idea di un film (che esce venerdì 18 nelle sale italiane) dal secondo romanzo di J.T., Ingannevole è il cuore più di ogni cosa. Così Asia ha affrontato la durissima prova di girare un film difficile, per giunta tenendo per sé l'interpretazione di Sarah, la madre cattiva. In un'affollatissima conferenza-stampa alla Casa del Cinema a Roma, la controversa Scarlett Diva sconfessa gli eccessi della sua vita a Los Angeles (che ormai ha abbandonato per tornare a vivere a Roma), presentandosi con i capelli scuri e un'immagine da ragazza della sua età. Parla del film con affetto e rispetto, come se maneggiasse un oggetto delicato. "Ho discusso ogni scelta con J.T., perché volevo che amasse il film. Ha seguito insieme a me tutte le fasi di lavorazione: dal casting al montaggio, alla scelta delle musiche. E ha appoggiato la mia decisione di devolvere il 5% degli incassi a Telefono Azzurro".
Ingannevole è il cuore più di ogni cosa narra l'infanzia di un angelo caduto, Jeremiah, che fino ai quattro anni vive affidato alle amorevoli cure di una famiglia normale. Poi, però, Sarah, la madre naturale, compie 18 anni e torna a prenderselo perché "è suo". Di lì comincia la sua orrenda discesa agli inferi. Autostrade, motel, camionisti, miseria, espedienti, anfetamine buttate giù come aspirine, hamburger riesumati dalla spazzatura dei fast-food. Visioni agghiaccianti, filtrate dalla fantasia di un bambino che cerca di sopravvivere, alimentato solo da una tenace passione per sua madre. Sarah traveste il figlioletto da bambina, perché così è più facile che i suoi amanti lo accettino. E lo molestino.
A volte, sfiancata dalla droga, lo dimentica o lo abbandona qua e là, e J.T. viene spedito a casa dei nonni (Ornella Muti e Peter Fonda), predicatori del Sud che somigliano ai folli di Dio di Flannery O'Connor, tutti Bibbia e sadismo.
La cinghia implacabile del nonno è l'unico gesto che Jeremiah percepisce come amorevole, una pratica che ricorrerà, più tardi, nei suoi fantasmi sessuali. "Per difendere gli attori bambini che interpretano J.T. dalla brutalità di questa materia, ho usato il trucco cinematografico più vecchio del mondo", racconta Asia Argento. "Campo e controcampo. Il bambino diceva la battuta. Io, invece di pronunciare la mia com'era scritta, dicevo altro. Poi mi sono doppiata. Il lavoro con i bambini è stato lungo, delicato. Ho voluto incontrarli regolarmente negli otto mesi che hanno preceduto l'inizio delle riprese. Per conoscerci. Perché volevo che avessero una totale fiducia in me".
LeRoy per anni ha fatto marchette. Alla fine, la vita del marciapiede gli era divenuta così insopportabile che per continuare doveva strafarsi di droghe. Poi ha impugnato la penna, ha oltrepassato lo specchio e ha scritto un'acida Alice nel paese delle meraviglie dei nostri tempi duri. "Che il mio libro diventasse un film è stato un passaggio naturale", dice J.T. LeRoy, nascosto da un paio di impenetrabili occhiali neri, da una parrucca bionda e da un cappello nero alla Zorro. "Quando il mio psicoanalista mi chiese di scrivere la mia storia come se avessi dovuto raccontarla a uno dei tanti assistenti sociali (nel film c'è un cameo di Winona Ryder nei panni di una di loro) che negli anni non mi avevano ascoltato, mi veniva sempre in mente che se avessi potuto scaricare nella sua mente le immagini che avevo nella testa, mi sarei risparmiato il dolore di descriverle. Era quasi a un film che pensavo, no? La mia routine è quella di evitare di scrivere a tutti i costi. Scrivere è un odio-amore, è la cosa peggiore del mondo, ma a volte non riuscire a farlo è ancora più doloroso. Quando scrivo è come se la mia pancia fosse direttamente collegata alla tastiera del computer, ma allo stesso tempo c'è una specie di distacco, perché mentre scrivo non provo emozioni. E' come se stessi tessendo le ortiche senza guardarmi le mani finché non ho finito. Di solito scrivo tutta la notte. Sarah è nato da un'infinità di notti in bianco a tè verde e latte di soia. Volete sarebbe cos'è per me l'inferno? Sarebbe tornare a prostituirmi sulla strada. So bene di cosa si tratta e non voglio che accada di nuovo. Gli uomini sul marciapiede ti scrutano come se fossi una mercanzia in vetrina, ti vogliono solo per il sesso. Alla fine, lo facevo solo imbottendomi di droghe. Non sopporto più che la gente mi guardi. E' come se riuscissi a sentire il brusio di ciò che pensano di me, un'eco di giudizi terribili che cresce di volume e di intensità come una radio impazzita che non riesci più a spegnere".
Da L'Espresso, 18 Febbraio 2005


di Monica Capuani, 18 Febbraio 2005