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Impossibile rimanere indifferenti davanti a questo tumultuoso adattamento di Asia Argento, letteralmente impossibile. La "riduzione" del folgorante romanzo di JT Leroy riesce nella prodigiosa impresa di coniugare tre aspetti delicatissimi in qualsiasi trasposizione filmica: aderenza alla superficie narrativa del testo letterario, identità di temperatura interna e rielaborazione personale. Pur seguendo fedelmente, e rispettando profondamente, l'universo di Leroy, Asia lo riscrive con grande padronanza e straordinaria sincerità, stravolgendone l'andatura misurata con un'impaginazione disordinata, frastornante. Sbalordisce la finezza con cui la cineasta adegua lo stile di regia alle situazioni rappresentate: si va dalle riprese spaesate di Jeremiah dell'incipit a quelle allucinate di Sarah nel prefinale, passando per il registro classico della parte ambientata nella comunità religiosa. E colpisce anche la decisione radicale di non seguire il romanzo fino in fondo, chiudendo il film con un finale prepotentemente aperto, ferrariano. Un film ostinatamente, sfacciatamente innocente.
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