Oldboy

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Un film di Park Chan-wook. Con Choi Min-sik, Ji-tae Yu, Hye-jeong Kang, Dae-han Ji.
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Titolo originale Oldboy. Drammatico, durata 119 min. - Corea del sud 2003. - Lucky Red uscita mercoledì 9 giugno 2021. MYMONETRO Oldboy * * * * - valutazione media: 4,09 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

Irene Bignardi

La Repubblica

Comincia come Kafka (beh, insom ma, ha qualcosa in comune con gli incubi di Il processo) e finisce come Homo Faber di Max Frisch (e non dirò nulla di più per non rovinare uno dei misteri della storia). Ma in mezzo c’è Old boy, il film coreano che ha vinto a Cannes 2004 il Gran Premio della Giuria. E visto che a conquistare la Palma d’oro in quell’occasione è stato il controverso documentario di Michael Moore Fahrenheit 9/11, si può senz’altro considerare Old Boy, che esce il 6 maggio in Italia, distribuito dalla Lucky Red, come il vincitore morale del Festival. O il vincitore «immorale), visto l’alto tasso di violenza e la spregiudicatezza di alcuni comportamenti dei personaggi del film.
In ogni caso un film di fronte a cui si è inchinata la critica internazionale ed è inorridito, non senza ragione, qualche spettatore dalla sensibilità più acuta o meno aggiornata ai tempi. E se qualcuno, recentemente caduto sotto il fascino del Kirn Ki-Duk nuova maniera - quello, per intenderci, di Ferro 3 - pensa che il cine ma coreano sia tutto delicatezza, fior di pesco e silenzi, dovrà rivedere il giudizio. Old boy è l’opera sì di un giovane maestro (Park Chanwook, 32 anni, autore di un film diventato un cult, un thriller con risvolti politici e sociali: Sympathy for Mr Vengeance), ma del maestro di un cinema molto originale, di film d’azione stipati di invenzioni, di doppi e tripli salti mortali nelle storie, di una violenza esplicita, «grafica», esibita e stilizzata, di immagini che stanno all’incrocio tra la cupezza e la tecnologia di Matrix e il gioco della brutalità di Tarantino, tra sentimenti rarefatti e alta tecnologia dell’immagine.
Non è dunque da stupirsi se una giuria presieduta proprio da Quentin Tarantino ha riconosciuto nel regista coreano un autore per il futuro, anche se magari non per un pubblico generale, ma soprattutto per quello dei giovani in cerca di emozioni e di cinema forte. Che cosa racconta dunque 014 Boy? Park Chanwook lo spiega così: «E una storia sulla vendetta, un sentimento descritto anche nel mio precedente film, Sympathy for Mr Vengeance. I due film possono apparire molto simili, ma con Old Boy ho voluto mostrare una diversa prospettiva della vendetta: la componente positiva che permette alla gente di avere una catarsi attraverso la sua attuazione.
Per me la vendetta è il soggetto più drammatico del mondo. Abbiamo più rabbia rispetto al passato, ma viviamo in un mondo in cui non è permesso manifestarla. Nel momento in cui non possiamo vivere in una società in cui è possibile esprimere la nostra ostilità, la vendetta è un tema che suscita e susciterà sempre più interesse».La vendetta di cui si racconta in Old Boy viene esercitata per ragioni apparentemente inesplicabili. Succede dunque che Oh Dae-su, un padre di famiglia con una spiccata tendenza a bere e a parlare troppo, dopo essere stato arrestato e poi liberato dalla polizia per ubriachezza molesta, scompare. Si ritrova in un’anonima stanza (con servizi), fornito di cibo da una mano misteriosa che gli infila un vassoio da uno stretto passaggio, messo a dormire con l’aiuto di un gas, dotato di un televisore, e prigioniero per 15 anni mentre, scopre, nel mondo di fuori viene accusato di aver ucciso sua moglie e di essere sparito.
Poi, di punto In bianco, gli annunciati 15 anni di prigionia finiscono, e Oh Dae-su si ritrova, senza mezzi, senza casa, senza identità, senza amici, a dover ricominciare a vivere. Lo manda avanti solo il pensiero della vendetta. Ma contro chi? Chi è la mente dietro la poderosa organizzazione che lo ha sequestrato e che,si capisce, continua a controllare le sue mosse? Il suo sequestratore comunque non tarderà a farsi vivo. E nella sua vita entra anche una deliziosa ragazza molto più giovane di lui, di cui Oh Dae-su si innamora immediatamente, ricambiato. Fino al faccia a faccia con il suo rapitore, che naturalmente è un ricchissimo signore guarda caso in cerca anche lui di vendetta... La stessa storia potrebbe essere raccontata in cento modi diversi. Quello di Park Chanwook è certo uno dei meno convenzionali e dei più personali. Nel film, tratto da un manga giapponese in Otto volumi, creato nel 1997 da Tsuchiya Garon e disegnato da Minegishi Nobuaki, il regista immette una serie di spezzature, di salti logici, di invenzioni spesso scioccanti,di curiosi elementi letterari (viene citata addirittura Sylvia Plath, e d’altra parte, non assomiglia il film a una tragedia elisabettiana?) e di riferimenti ai miti classici, che, si scopre alla fine, hanno una ragione nel contesto del disvelamento finale. E poiché il punto di vista del racconto è quello del protagonista,lo spettatore, nel vivere questa complicata storia di vendette incrociate, ne sa quanto lui, e cioè poco, fino alla fine.
Non una storia semplice. Alcuni critici sostenevano a Cannes che il film va visto due volte. Questo, naturalmente, se lo spettatore sopporta tre o quattro scene di superiore brutalità, anche se non più brutali di un film medio di Tarantino, ma più conturbanti perché meno prevedibili. E ugualmente abili: è già considerata da antologia la scena in cui il nostro eroe (che ha la faccia butterata e un po’ buffa dell’attore Choi Minsik)si batte contro un’intera banda di «cattivi» armato solo di un martello e con un coltello infilato nella schiena... Mala scena che colpirà di più lo spettatore in questo film sorprendente e originale, durissimo e tosto, è quella in cui, appena uscito dalla sua prigione, dopo aver dichiarato che deve mangiare «qualcosa di vivo», Oh Dae-su fa qualcosa che deve aver suscitato l’indignazione della Protezione animali coreana: divora un polpo vivo. E, dato che è già previsto un remake americano con Nicolas Cage, se negli Usa non ricorreranno agli effetti speciali, cosa di vivo gli faranno mangiare? Chissà, forse un’ostrica.
Da Il Venerdì di Repubblica, 29 aprile 2005


di Irene Bignardi, 29 aprile 2005

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