Mystic River

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Un film di Clint Eastwood. Con Sean Penn, Tim Robbins, Kevin Bacon, Laurence Fishburne, Marcia Gay Harden.
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Drammatico, durata 137 min. - USA 2003. MYMONETRO Mystic River * * * * - valutazione media: 4,24 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Il punto di vista di Dio Valutazione 4 stelle su cinque

di Paolo Assandri


Feedback: 1177 | altri commenti e recensioni di Paolo Assandri
sabato 11 febbraio 2012

Il Mystic scorre e lava via i peccati di un’America da bassofondo, le vittime, i cadaveri. Un film che accarezza più generi senza mai preferirne uno. Critica spietatamente la famiglia americana, composta di madri inerti, passive, anaffettive, crudeli e di padri che lasciano soli i propri figli morendo o fuggendo (Solo Ray Harris, che inizialmente si pensava fuggito, Dave), non riescono a capirli costringendoli a fuggire (Jimmy) o addirittura non li conoscono e non sanno come si chiamano (Sean). La condizione è quella di una orfanità dilagante, esemplificata nel finale dall’immagine del piccolo figlio di Dave e Celeste, solo su un carro durante la parata, che non risponde alle urla odiose dalla madre, per la cui insicurezza e per la cui stupidità non ha più un padre.
Mystic River è una tragedia senza catarsi e senza redenzione, in cui i colpevoli sono colpiti e i colpiti colpevoli. Grava su tutte le azioni, anche quelle minime, un’opprimente fatalità. Un Dio indifferente, una natura matrigna muove gli uomini come pedine di una scacchiera illeggibile e non risponde mai, non dà segno di sé, nemmeno quando interrogata apertamente da Jimmy di fronte al cadavere di sua figlia. Lasciando come risposta il solo biancore accecante del cielo, sopra alcuni alberi neri, agghiaccianti. È la panoramica dall’alto lo stilema scelto per rappresentare il punto di vista di Dio, sempre preceduto da un’inquadratura dal basso verso l’alto del cielo. Un campo / controcampo Uomo – Dio, che sembra un ironico botta e risposta tra sordi. Dio non ha risposte, è colpevolmente muto, più somigliante al caso che al fato e l’uomo non riesce a rassegnarsi e continua a domandare, posponendo in eterno la responsabilità e tentando vanamente di allontanare la colpa da sé. Quando Sean scopre il cadavere della ragazzina, dice al sergente Whitey, “Cosa dovrei dirgli? Dio ha detto che avevi un debito con lui?”: tra uomini e Dio non c’è un legame di fede, ma un conto in sospeso, nell’accezione più grevemente economica del termine. Il senso di colpa si intreccia fittamente con la vergogna. La vergogna di Dave che non riesce a dire alla moglie di avere ammazzato un pedofilo e preferisce che ella creda che abbia ammazzato Katie, la vergogna di Sean nei confronti del suo passato, che non gli permette di essere lucido con Dave, la vergogna di sua moglie, che ogni giorno lo chiama al telefono senza dire una sola parola.
Dal punto di vista stilistico Eastwood, ormai arrivato ad un punto della sua carriera in cui è unanimemente riconosciuto e stimato, con non poca retorica, come ultimo dei classici, non si smentisce e confeziona un film limpido e pulito, in cui le inquadrature sono costruite nei minimi dettagli e in cui ogni scelta stilistica ha un significato notevole. Il campo lungo verso cui si allontana la macchina dei pedofili con Dave bambino a bordo è una metafora visiva del tragitto che si percorre verso la morte. Dave come essere umano morì quel giorno, come lui stesso ammette in un impeto di lucida follia alla moglie e come gli stessi Sean e Jimmy che su quell’auto non salirono, sanno benissimo. “Quand’è l’ultima volta che hai visto Dave Boyle?” chiede Sean a Jimmy, “è stato venticinque anni fa, lungo questa strada, sul retro di quel lotto.”. È lo stesso campo lungo ironicamente lo accompagnerà a bordo dell’auto dei fratelli Savage verso una morte questa volta definitiva. Dell’uomo e del vampiro.
L’ironia è la cifra con cui Eastwood riveste un altro stilema classico del cinema, il più classico di tutti, il montaggio alternato griffithiano. Se in altri film aveva ripreso questo montaggio con massima attenzione e rispetto della tradizione, sentendosi quasi un erede di quella stessa, in Mystic River c’è un distacco. Il montaggio alternato non porta al last minute rascue come da manuale, ma si arrotola su se stesso e non riesce a venire a capo del nichilismo che permea tutta la vicenda. Nessuno si salva, non c’è nessuno da salvare, eroi e criminali sono uguali (tant’è vero che sono amici provenienti dallo stesso quartiere) e sono ugualmente impotenti.
Il film più nichilista di Eastwood si chiude come si era aperto con una panoramica della città di New York, il Mystic continuerà a scorrere e a coprire verità e menzogne di un’umanità distrutta, nonostante tutto. Il finale con parata è un finale felliniano (Otto e mezzo), soprattutto a livello estetico.  Ma gli omaggi al riminese non finiscono qui, infatti il breve scambio di gesti tra Sean e Jimmy, che si conclude con quest’ultimo che allarga le mani come a dire “chissà?” ci ricorda il finale de La dolce vita, quando Mastroianni compiva il medesimo gesto sulla spiaggia. C’è poi un calco estetico del Guido di Otto e Mezzo su Sean Penn – Jimmy che non sembra per nulla casuale, a cominciare dagli occhiali da sole, ingombranti e vistosi (oggetto di scena carissimo a Fellini) che Jimmy indossa nel suo ultimo primo piano, nel movimento delle mani e anche nel taglio di capelli.

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