g. ciampaglia
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colori e tensione.
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Salvatores è molto bravo a far parlare le immagini, immagini che spesso esplodono di colori. La prima sequenza ti catapulta da un fosso buio ad un bellissimo, giallissimo, campo di grano. Poi scoprirò che siamo in Basilicata. I paesaggi sono mozzafiato. Incontro con un gruppo di bambini che giocano in campagna. C'è il capo del gruppo, quello che fa "il cattivo" e viene rispettato da tutti. Viene introdotto Michele, ragazzino di dieci anni, il più buono e introverso del gruppo. Michele corre con la sua bicicletta. I paesaggi sono sempre suggestivi, anche se a volte ridondanti, al limite dal diventare inutili, per quanto belli. Michele si imbatte in una buca coperta che nasconde un bambino, segregato.
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Salvatores è molto bravo a far parlare le immagini, immagini che spesso esplodono di colori. La prima sequenza ti catapulta da un fosso buio ad un bellissimo, giallissimo, campo di grano. Poi scoprirò che siamo in Basilicata. I paesaggi sono mozzafiato. Incontro con un gruppo di bambini che giocano in campagna. C'è il capo del gruppo, quello che fa "il cattivo" e viene rispettato da tutti. Viene introdotto Michele, ragazzino di dieci anni, il più buono e introverso del gruppo. Michele corre con la sua bicicletta. I paesaggi sono sempre suggestivi, anche se a volte ridondanti, al limite dal diventare inutili, per quanto belli. Michele si imbatte in una buca coperta che nasconde un bambino, segregato. Scappa, ha paura. A casa, nella notte e sotto le lenzuola, riversa le sue fantasticherie infantili su un quaderno: li sopra scriverà la storia di questo incontro improvviso. Il film lo si vede attraverso gli occhi di Michele. Poi c'è la famiglia: un padre baffuto, la mamma "mediterranea" (bellissima), la sorellina. Meravigliose immagini continuano a mostrarsi, quasi fossero fotografie, fotografie di un racconto illustrato. Michele scopre che i suoi genitori fanno parte della banda di persone che ha nascosto quel bambino. Non sa perché, ma vuole aiutarlo. Si crea un legame tra coetanei. Nel frattempo i genitori e la banda seguono alla TV l'evolversi delle ricerche. La tensione resta sempre alta, e non mancano un paio di forti sussulti. Icone (il papà del sud, il milanese, l'allevatore di maiali), immagini, simboli (gli animali morti e non). Il finale non mi conquista, ma il film resta una storia coinvolgente e ben raccontata.
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(di georgia)
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(di elena m.)
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(di pasina89!!)
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(di alessia95)
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antonella
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martedì 31 ottobre 2006
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io non ho paura
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C’era una volta un paese del Sud baciato dal sole e le cui messi biondeggiavano sotto un immenso cielo blu, appena striato da bianche nuvole.C’era un bambino di dieci anni, bruno di capelli e di carnagione, dal profilo fiero e sicuro.Vicino al paese, lì dove le spighe sono più bionde che mai, dove sono più fitte, quasi impenetrabili, c’era una casa abbandonata. Accanto alla caasa diruta c’era un buco, nero e profondo come la più cupa disperazione. Dentro al buco c’era un bambino, biondo e spaventato come una bestiola ferita. Il bambino era cieco dalla paura e per la luce alla quale non era più abituato. Lo avevano gettato lì degli esseri che sembravano persone perchè avevano le fattezze degli umani, assomiglaivano così tanto ş mamma e papà.
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C’era una volta un paese del Sud baciato dal sole e le cui messi biondeggiavano sotto un immenso cielo blu, appena striato da bianche nuvole.C’era un bambino di dieci anni, bruno di capelli e di carnagione, dal profilo fiero e sicuro.Vicino al paese, lì dove le spighe sono più bionde che mai, dove sono più fitte, quasi impenetrabili, c’era una casa abbandonata. Accanto alla caasa diruta c’era un buco, nero e profondo come la più cupa disperazione. Dentro al buco c’era un bambino, biondo e spaventato come una bestiola ferita. Il bambino era cieco dalla paura e per la luce alla quale non era più abituato. Lo avevano gettato lì degli esseri che sembravano persone perchè avevano le fattezze degli umani, assomiglaivano così tanto ş mamma e papà. Ma dietro il loro sguardo dolce, dietro i loro gesti affettuosi, nascondendo un’anima nera come quel del pozzo scavato nella terra. Non erano uomini, erano orchi. L’ultimo film di Gabriele Salvatores, tratto dall’omonimo roamnzo di Niccolò Ammaniti – anche sceneggiatore – è un film attualisimo perchè parla dellì’infanzia violata, dei difficili rapporti familiari, della cieca cupidigia che non si fema di fronte ş niente e nessuno. Il regista ci racconta la storia con una narrazione fluida che procede senza scossoni, scandita delle frequenti dissolvente al nero e delle riprese con la steadycam che sfiora i lucenti campi di grano. Giuseppe Cristiano, nelle parti di Michele il protagonista, regge bene la difficile prova mostrando qualità che con l’avanzare del film si apprezzano ş piano.
Un’eccessiva lunghezza ed una scarsa dinamicità delle scene più concite rendono l’opera ş tratti un po paesante. Cosi come convince poco il personaggio interpretati da Diego Abatantuono – peraltro ottima la sua prova -, troppo simile ai personaggi divertenti e scanzonati dei precedenti film di Salvatores da risulatare poco credibile come capo di una banda di malviventi.
Comunque, “Io non ho paura “ rimane un film valido e molto interessante, da vedere per assistere al finale avvincente della partita tra Orchi contro Angeli.
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(di anonimo131965)
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aristoteles
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martedì 23 febbraio 2016
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grano e sentimenti
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A mio avviso è il miglior film di Salvatores,anche più di "Mediterraneo" che pure mi era piaciuto tanto.
Tutto è curato nei dettagli:l'uso dei colori,la campagna,i rapporti familiari,i dialoghi.
I sentimenti puri reggono tutta l'impalcatura ben costruita: l'ingenuità ed il grande cuore dei più piccoli,il coraggio dell'incoscienza,la giustizia
Michele ,sopratutto,entra nei nostri cuori.
Buono e povero,"respira" la vita senza sosta,diventando il grande eroe di una piccola favola moderna.
Quando,con 500 lire(che nostalgia) compra il pane al bambino incatenato,fa scendere quasi la lacrimuccia.
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A mio avviso è il miglior film di Salvatores,anche più di "Mediterraneo" che pure mi era piaciuto tanto.
Tutto è curato nei dettagli:l'uso dei colori,la campagna,i rapporti familiari,i dialoghi.
I sentimenti puri reggono tutta l'impalcatura ben costruita: l'ingenuità ed il grande cuore dei più piccoli,il coraggio dell'incoscienza,la giustizia
Michele ,sopratutto,entra nei nostri cuori.
Buono e povero,"respira" la vita senza sosta,diventando il grande eroe di una piccola favola moderna.
Quando,con 500 lire(che nostalgia) compra il pane al bambino incatenato,fa scendere quasi la lacrimuccia.
Il ritmo è perfetto,la fotografia meravigliosa.
Forse il finale poteva essere costruito in maniera leggermente migliore ma posso dire,fortunatamente, di avere assistito ad un grande pellicola "made in Italy".
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giannies
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giovedì 3 settembre 2015
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meravigliosamente realistico
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Salvatores riesce ad entrare nella psicologia di un bambino di dieci anni che, annoiato dalla monotonia del suo piccolo borgo di paese, si diletta nel fare amicizia con uno strano ragazzino della sua età che passa le sue giornate imprigionato all'interno di una buca. Michele stesso, il protagonista, scoprirà che il bambino non è altro che un ostaggio tenuto nascosto da suo padre e i suoi "amici". Il film narra della cattiveria da cui certi esseri umani sono pervasi e che un ragazzino come Michele non riesce a comprendere. Un ragazzino che accumula il suo coraggio non solo attraverso il tipico senso di personificazione "infantile" verso quelli che possono essere considerati supereroi, modelli da seguire, che rappresentano il fulcro di doti e virtù; ma anche per poter alimentare ciò che può definirsi una solida amicizia, fatta di promesse, atti misericordiosi e fiducia.
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Salvatores riesce ad entrare nella psicologia di un bambino di dieci anni che, annoiato dalla monotonia del suo piccolo borgo di paese, si diletta nel fare amicizia con uno strano ragazzino della sua età che passa le sue giornate imprigionato all'interno di una buca. Michele stesso, il protagonista, scoprirà che il bambino non è altro che un ostaggio tenuto nascosto da suo padre e i suoi "amici". Il film narra della cattiveria da cui certi esseri umani sono pervasi e che un ragazzino come Michele non riesce a comprendere. Un ragazzino che accumula il suo coraggio non solo attraverso il tipico senso di personificazione "infantile" verso quelli che possono essere considerati supereroi, modelli da seguire, che rappresentano il fulcro di doti e virtù; ma anche per poter alimentare ciò che può definirsi una solida amicizia, fatta di promesse, atti misericordiosi e fiducia. Un'amicizia breve ma intensa, che richiederà il sacrificio del protagonista per permettere il salvataggio dell'altro.
Tutto è realistico, se non fosse per l'accompagnamento delle musiche, così melodiche ed impeccabili, che sembrano quasi capaci di personificare la libertà e la poesia creando un tutt'uno. Ottime alcune interpretazioni, come quella del protagonista, Dino Abbrescia, Diego Abatantuono e Aitana Sánchez-Gijón. Alcune lasciano a desiderare, come quella del bimbo nella fossa e degli amici di Michele; tuttavia non sono riuscito a fare a meno di dare cinque stelle a questo meraviglioso film perché sa proiettare troppo bene la triste realtà che, in certe occasioni, anche attraverso la sofferenza, può essere salvata. Ci fa capire che, finché gli esseri umani esisteranno, in concomitanza regnerà sia il bene sia il male, in continuo contrasto fra loro e che in molti casi il bene riesce a prevalere.
Non capisco quelli che hanno votato questo film con una stella; capisco la soggettività con cui bisogna criticare in questo caso, ma direi che debba essere piuttosto oggettivo riconoscere le potenzialità di una pellicola del genere.
Qui non stiamo parlando di uno Scary Movie, oppure di uno stupido telefilm americano mal recitato.
Stiamo parlando di un film che rispecchia una realtà che, da qualche parte, in uno stupido angolo del mondo che noi ignoriamo, esiste.
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pesciolone
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martedì 15 aprile 2008
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grandioso
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Dal romanzo di Niccolò Ammaniti. Michele, dieci anni, vive in un paesino, anzi, proprio quattro case, della Basilicata. Con la sorella più piccola e altri amici scorrazza in bicicletta nelle stradine in mezzo al grano. A casa c’è la mamma e il papà fa il camionista, ed è uomo “tutto core”. Incuriosito da una porta di lamiera vicino a una casa diroccata, Michele la apre e vede un buco, e in fondo un piede che esce da una coperta. Dopo lo spavento iniziale torna sul luogo e scopre che quel piede appartiene a un bambino come lui, biondo e delicato, quasi cieco per il buio, ridotto a una larva. Non riesce a immaginare un rapimento. Nelle successive visite gli porta da mangiare, gli parla, gli ridà una speranza.
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Dal romanzo di Niccolò Ammaniti. Michele, dieci anni, vive in un paesino, anzi, proprio quattro case, della Basilicata. Con la sorella più piccola e altri amici scorrazza in bicicletta nelle stradine in mezzo al grano. A casa c’è la mamma e il papà fa il camionista, ed è uomo “tutto core”. Incuriosito da una porta di lamiera vicino a una casa diroccata, Michele la apre e vede un buco, e in fondo un piede che esce da una coperta. Dopo lo spavento iniziale torna sul luogo e scopre che quel piede appartiene a un bambino come lui, biondo e delicato, quasi cieco per il buio, ridotto a una larva. Non riesce a immaginare un rapimento. Nelle successive visite gli porta da mangiare, gli parla, gli ridà una speranza. La televisione racconta di questo Filippo rapito a Milano. Così Michele capisce. Arriva a casa tale Sergio (Abatantuono), il “milanese” che tira le fila. Tutta la famiglia è implicata. Ma il cerchio si stringe, gli elicotteri girano. Il panico sopraggiunge. Occorre sopprimere l’ostaggio. Michele corre per salvarlo. Riesce a spingerlo fra i campi, sopraggiunge il padre "tutto core" che non esita a sparare al bambino, che però è Michele. Gli elicotteri dei carabinieri illuminano il milanese con le braccia alzate, il padre col figlio in braccio e il piccolo Filippo che si è salvato.
Dopo un’apnea di molti anni, dopo aver davvero smarrito la strada maestra (complice un Oscar sproporzionato che gli aveva fatto perdere le misure) con una serie di film superflui e senza destino, ecco che Salvatores torna a “raccontare” e lo fa davvero bene. Le lunghe scene di preparazione e connessione al fatto centrale, suggestive e soleggiate, non debordano. Il grano e il cielo, gli animali e le colline, tutto concorre alla storia. E’ un meridione che non è quasi Italia, ma è mondo. Per salvare il suo amico, Michele corre nella notte, mormora a se stesso una favola e un sortilegio, intorno la civetta cattura un topo, un piccolo serpente assiste dal suo sasso. Cinema finalmente. Ed è importante per noi, da anni così disperatamente poveri e grigi, e allineati. E’ un bel segnale, parallelo a quello della Finestra di Fronte. Entrambi i film hanno avuto il riconoscimento del Ministero dei Beni Culturali. Che davvero stia succedendo qualcosa?
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bezdomny
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martedì 22 marzo 2005
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sacrificio
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Un impegnativo esercizio di equilibrismo compositivo eseguito maldestramente. Salvatores tenta di proiettare la vicenda evolutiva del decenne Michele in una dimensione fortemente chiaroscurale, ma la modulazione delle tonalità, l'alternanza di temi e suggestioni, sfondi e primi piani risulta forzata e schematica. La triangolazione tra avventura di scoperta preadolescenziale, gangster movie rustico e racconto dark per bambini è condotta in modo assai rigido e spigoloso, e a risentirne è il disegno complessivo del film, principiato a mano libera e ultimato col normografo. Se la prima parte - assolata e biondeggiante - è infatti dedicata all'irrequieta esuberanza delle prove preadolescenziali, la seconda - plumbea ed autunnale - carambola tra improbabili baruffe malavitose e tetraggini vistosamente posticce.
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Un impegnativo esercizio di equilibrismo compositivo eseguito maldestramente. Salvatores tenta di proiettare la vicenda evolutiva del decenne Michele in una dimensione fortemente chiaroscurale, ma la modulazione delle tonalità, l'alternanza di temi e suggestioni, sfondi e primi piani risulta forzata e schematica. La triangolazione tra avventura di scoperta preadolescenziale, gangster movie rustico e racconto dark per bambini è condotta in modo assai rigido e spigoloso, e a risentirne è il disegno complessivo del film, principiato a mano libera e ultimato col normografo. Se la prima parte - assolata e biondeggiante - è infatti dedicata all'irrequieta esuberanza delle prove preadolescenziali, la seconda - plumbea ed autunnale - carambola tra improbabili baruffe malavitose e tetraggini vistosamente posticce. Il baricentro di questo instabile triangolo è fissato da Salvatores nel corpo e negli occhi del piccolo Michele, che, ovviamente, non è in grado di portare sulle spalle il peso dell'intero film. La sua esile figura è letteralmente consumata dalle innumerevoli inquadrature che non gli danno tregua ed il suo sguardo spaurito è implacabilmente logorato dalle soggettive che è costretto a sopportare. E' essere oggetto o soggetto di sguardo filmico a corrompere, non l'esperienza o l'avvicinamento al mondo degli adulti. In questo senso il ralenti finale - orrendamente estetizzante - costituisce l'estremo e paradossale tentativo di bloccare, di sospendere il processo corruttivo della visione filmica. Il sacrificio è eminentemente cinematografico.
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(di kal-el)
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lorenzo
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martedì 11 novembre 2003
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che tanto scivolano via
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Tanti e di recente i film italiani che ci scivolano via dalla testa e dalla memoria col beneplacido del ministro che finanzia. Ovviamente non la penso come Farinotti perchè il film, e non è una novità, mi dice poco. Credo anzi che le energie andrebbero indirizzate alla conservazione del patrimonio già consegnato, come squisita testimonianza culturale, e senza quella necessità di dare, contribuire, coinvolgere le masse educando e resistendo. Un po' come gli amanuensi nel Medioevo
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(di alessia95)
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