Buongiorno, notte

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Un film di Marco Bellocchio. Con Maya Sansa, Luigi Lo Cascio, Pier Giorgio Bellocchio, Giovanni Calcagno, Paolo Briguglia.
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Storico, Ratings: Kids+16, durata 105 min. - Italia 2003. - 01 Distribution uscita venerdì 5 settembre 2003. MYMONETRO Buongiorno, notte * * * - - valutazione media: 3,30 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

un'utopia coraggiosa Valutazione 4 stelle su cinque

di THEOPHILUS


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giovedì 20 marzo 2014

BUONGIORNO, NOTTE
 
Lasciate alle spalle le polemiche per il mancato Leone alla 60. mostra internazionale del cinema di Venezia, abbiamo ammirato il film di Bellocchio per le sue qualità umane e registiche e per l’intenso coinvolgimento civile e morale che sono, di per sé, garanti del felice esito di un’opera che, invece, un pur solido approccio di parte non avrebbe probabilmente saputo assicurare. Buongiorno, notte ha saputo trovare un solido equilibrio fra rappresentazione storica e immaginazione, fra dolore e dovere, sofferenza e dubbio, svelando delle crepe umane in quella apparentemente non scalfibile e irriducibile macchina da guerra allo stato che, così sembra, furono le Br: è stato probabilmente questo approccio umanistico che ha favorito l’unanime giudizio positivo di tutte le parti politiche, senza,  per questo, scandalizzare nessuno.
Bellocchio ha dato il giusto spazio al processo intentato alla figura di Moro, alla sua autodifesa – personale prima che politica – alla teorizzazione assoluta, avulsa da ogni concessione, legame popolare o dipendenza con la situazione storico/politica di allora, della lotta armata da parte di un manipolo di che cosa? Macchinette disperate? Combattenti in nome di una fede appresa dai libri? Non è questa la sede per rifare il processo ai brigatisti, che si sono già dissociati e sciolti. Rimane, però, in chi scrive, il dubbio sull’accadimento dei fatti di allora, sugl’intenti dichiarati e, di conseguenza, sull’attendibilità delle fonti storiche da cui il film prende le mosse, un libro scritto dalla brigatista Braghetti. 
Detto questo e supponendo un analogo scetticismo nel regista, si ha – proprio grazie a ciò –  una più ampia libertà di giudizio critico sul film in sé, così come Bellocchio deve aver avuto  le mani più libere nella sua costruzione. Se così per alcuni la figura di Moro non esce dal film, noi riteniamo che ciò si debba ascrivere al fatto che quel processo allora si svolse in modo molto diverso o, addirittura, non ci fu affatto. Abbiamo, pertanto, potuto ammirare più serenamente e più particolarmente apprezzare quelle scene in cui Chiara (una bravissima Maya Sansa) osserva il carcerato dallo spioncino della porta che lo tiene prigioniero: la macchina da presa ha il pretesto per concentrarsi su quegli occhi dallo sguardo intensissimo che rivelano l’insanabile lacerazione fra la missione politica da non tradire e l’assurdità di quella tragedia umana. Questo ci è parso il succo del film di Bellocchio che, di fatti, ha come sperato un epilogo differente, affiancandolo a quello storico. La possibile liberazione di Moro sta forse a significare non solo un non prestare fede alla dichiarata guerra allo stato, come sostenuto dalle brigate rosse, ma anche un trionfo delle ragioni dell’umanità, come di  quelle politiche – che ne sarebbe stato allora della D.C. che avesse dovuto vedere il ritorno del suo Presidente? – della ragione tout court – basti pensare alle facili parole profetiche messe in bocca allo stesso Moro, secondo le quali, uccidendolo, le BR ne avrebbero fatto un martire e si sarebbero tirato addosso l’odio, anziché il consenso popolare. La scritta murale che si vede nel film – Si crepa per l’eroina, si crepa nel lavoro, che cosa c’importa se crepa anche Moro? – non era certo indice di consenso per le Br, bensì era il termometro di un’estraneità sociale, di una disillusione politico ideologica. Centrale, nell’economia del film, la presenza esterna della figura del collega di lavoro di Chiara; un bel pretesto, una metafora, con il suo manoscritto che dà il titolo al film – che non avrebbe saputo meglio esprimere il lacerante contrasto della vicenda – introdotta da Bellocchio forse per affermare l’esistenza, allora, di altre presenze esterne: una sorta di bilanciamento, di compensazione a stimolare la coscienza buona in lotta con quella cattiva e che ha dato luogo al doppio finale.
 
Enzo Vignoli
30 settembre 2003.

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