In linea con l'assassino

Roberto Nepoti

Era dai tempi remoti del Terrore corre sul filo che non si vedeva come protagonista di un film il telefono: telefonini, sì, a volontà; ma l'apparecchio fisso sembrava ormai un puro reperto di archeologia industriale. Invece Joel Schumacher lo riporta sullo schermo con tutti gli onori, servendosi di un espediente di sceneggiatura del bravo Larry Cohen. Stu Shepard (Colin Farrell) è un presuntuoso consulente per i media che si sente fichissimo, maltratta il prossimo, veste italiano e porta un falso Rolex al polso. Ogni giorno Stu telefona alla ragazza di cui gli piacerebbe fare la propria amante da una cabina di Manhattan: ha il telefonino, s'intende, ma non vuole che la moglie lo scopra sbirciando i tabulati. Finchè, all'ennesima telefonata, l'uomo si ritrova intrappolato nella cabina: dall'altra parte c'è un misterioso killer che lo osserva da una finestra di Manhattan imbracciando un fucile telescopico, deciso a stenderlo se interromperà la comunicazione, o non farà quel che gli dice lui. L'assassino (alla fine lo si intravede, e ha la faccia di Kiefer Sutherland) non conosce personalmente la vittima ma, moralista ossessivo, la odia per ciò che rappresenta: la costringerà a recitare i propri peccati per l'uditorio metropolitano, secondando la tenace passione americana per le confessioni pubbliche. Perfetto esempio di cinema della paranoia urbana, postmoderno ma - insieme - rispettoso delle "unità" (tempo-luogo-azione) del teatro classico, In linea con l'assassino è coinvolgente, allarmante e non annoia lo spettatore neppure per uno dei suoi 81 minuti. All'inizio ci si chiede come sia possibile reggere l'idea di partenza per tutta la durata di un lungometraggio. Ci pensa Schumacher, mettendoci un omicidio al momento giusto, facendo intervenire il capitano Ramey (Forest Whitaker), proprio il tipo di poliziotto che vorremmo incontrare se ci trovassimo nei guai, portando sulla scena del crimine le due donne del protagonista, moltiplicando i punti di vista sull'azione con la tecnica dello split-screen, lo schermo diviso. Anzi, la tenuta emotiva è così efficace che il film sembra perfino concludersi troppo rapidamente, con una soluzione un po' "telefonata" (salvo rilanciare l'angoscia, in un doppio finale appena suggerito). Ottima occasione per la neo-star Colin Farrell, che la parte vuole in scena dalla prima all'ultima inquadratura e che riesce a reggerle tutte con la medesima efficacia. Da La Repubblica, 28 giugno 2003


di Roberto Nepoti, 28 giugno 2003