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Kiarostami abbandona il racconto come parabola del senso della vita, ritrovato alla fine di un percorso labirintico, abbandona gli sconfinati paesaggi bucolici della trilogia Koker e giunge con un movimento concentrico, che somiglia a quello cui sono obbligati i suoi personaggi, dopo aver girato alla periferia della capitale Il sapore della ciliegia, nel centro di Teheran. Gli spazi, compressi dal marasma del caos cittadino, si riducono asfitticamente ad un abitacolo di una utilitaria guidata da Mania Akbari, una moderna donna iraniana, un’artista, separata e risposata, alle prese col figlio di dieci anni che, affidato al padre, non comprende le ragioni del distacco, che soffre della mancanza della madre. Metaforicamente quello spazio, come una gabbia, rappresenta la condizione delle donne nella società iraniana, confinate nella famiglia al ruolo di mogli subalterne all’uomo, retaggio culturale della figura residuale del padre padrone nella modernità, ma che ancora sopravvive in larghi strati della società dello stato islamico.
Il bambino, Amin, non recita, perché non sa della telecamera nascosta in auto. Il rapporto tra madre e figlio è documentato, quindi, nella sua naturalezza. Ad una richiesta d’amore del bimbo, espressa, ovviamente, con capricci e simpatiche polemiche infantili, la donna risponde rivendicando il suo diritto ad essere libera, dimenticando che il suo interlocutore non è il maschio iraniano simbolo delle convenzioni sociali che la opprimono, ma, per l’appunto, un bambino di dieci anni, suo figlio, nella realtà e nella finzione.
Quel documento assume un significato drammaticamente vero, suona come una richiesta d’aiuto rimasta inascoltata, alla luce delle dichiarazioni di Amin, che nel frattempo è diventato Amina e fa la regista di film indipendenti come sua madre, sugli abusi sessuali subiti da un parente ed iniziati proprio all’epoca in cui si girava il film.
Emblematici dell’evoluzione della donna nella società iraniana i personaggi che la protagonista fa salire in auto. La vecchia che va al santuario a pregare tutti i giorni e più volte al giorno. La prostituta che si vanta della propria indipendenza economica e soprattutto affettiva. La giovane donna che sogna di sposarsi e che, dopo la delusione amorosa, si rade a zero, per protesta forse contro l’immagine della donna tradizionale che porta dentro di sé.
Nell’ultima sequenza, la consegna del bambino, come un pacco, tra i genitori separati, chiusi nei loro rispettivi abitacoli, mentre si parlano dal finestrino, rappresenta la chiusura reciproca di due mondi, la modernità e la tradizione, che si contrappongono senza comprendersi.
Lo scontro epocale fa vittime innocenti, vuole dirci Kiarostami, che, involontariamente o profeticamente, ne coglie una nella sua tragica verità.
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