darko
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lunedì 18 settembre 2006
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ode alle donne
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THINGS YOU CAN TELL JUST BY LOOKING AT HER, che traducendolo alla lettera e in base al contenuto del film risulterebbe un titolo niente male in quanto fa riferimento alla donna e a quello che si può dedurre di essa, ma fa direttamente riferimento anche all'atto del guardare "looking". E il look del film ha tonalità calde e terse, ma cupe in modo da riflettere il ritratto non proprio rose e fiori che si fa dell'universo femminile tramite l'occhio dell'esordiente cineasta, ex direttore della fotografia e regista anche teatrale (e questo si nota nei dialoghi cauti e sottili e allo stesso tempo forti e micidiali). Verrebbe da dire che vedendo questo film si palesa la impossibilità della donna di staccarsi dall'uomo, anzi lo ricerca, caccia ma poi spaventata va in ritirata e si rifugia nella solitudine provando più o meno a sopravvivere o a idealizzare la figura di sè, quasi ad un livello divino (si cita un angelo sterminatore tatuato sul corpo di una lesbica, figura appositamente aggresssiva e femminista in toto, che provoca spavento ma anche sicurezza per il genere femminile).
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THINGS YOU CAN TELL JUST BY LOOKING AT HER, che traducendolo alla lettera e in base al contenuto del film risulterebbe un titolo niente male in quanto fa riferimento alla donna e a quello che si può dedurre di essa, ma fa direttamente riferimento anche all'atto del guardare "looking". E il look del film ha tonalità calde e terse, ma cupe in modo da riflettere il ritratto non proprio rose e fiori che si fa dell'universo femminile tramite l'occhio dell'esordiente cineasta, ex direttore della fotografia e regista anche teatrale (e questo si nota nei dialoghi cauti e sottili e allo stesso tempo forti e micidiali). Verrebbe da dire che vedendo questo film si palesa la impossibilità della donna di staccarsi dall'uomo, anzi lo ricerca, caccia ma poi spaventata va in ritirata e si rifugia nella solitudine provando più o meno a sopravvivere o a idealizzare la figura di sè, quasi ad un livello divino (si cita un angelo sterminatore tatuato sul corpo di una lesbica, figura appositamente aggresssiva e femminista in toto, che provoca spavento ma anche sicurezza per il genere femminile). Che queste cinque solitudini siano puù o meno velate non importa perchè è quello il succo e messaggio del film; non a caso il regista è l'erede di Garcia Marquez, autore del romanzo (citato anche nel film) CENT'ANNI DI SOLITUDINE. Ma al di là della gestione piuttosto sapiente di questi microcosmi femminili che brulicano nella Los Angeles odierna (e qui c'è un vago rifarsi al modello altmaniano, inevitabilmente un caposaldo della nuova cinematografia statunitense), c'è da dire che i punti di forza più notevoli di questa pellicola sono la leggerezza, lo sguardo sardonico ma in particolare le musiche magiche e d'ambiente di Edward Shearmur le quali suggellano il tutto con grande poesia e bravura.
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(di jandro78)
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marcodell''utri
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venerdì 7 aprile 2017
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metafisica
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L’universo femminile di Garcia è il luogo della solitudine, della sofferenza che si apre alla morte. Dal punto di vista estetico, il film si presenta come un esempio (brillante) di cinema ‘puro’, dove la tecnica propriamente cinematografica (l’uso ricorrente dei primi piani, la sobrietà del trucco, la manipolazione della fotografia, il montaggio in funzione ‘esplicativa’) contribuisce in modo determinante al disegno dell’orizzonte introspettivo entro cui il regista distribuisce il proprio materiale narrativo. Anche la scelta dell’articolazione del film secondo il ritmo di una scansione episodica appare felice, per la fluidità che ne deriva al racconto, recuperato, alla sua unità, dalle frequenti ‘incursioni’ dei personaggi dall’uno all’altro capitolo.
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L’universo femminile di Garcia è il luogo della solitudine, della sofferenza che si apre alla morte. Dal punto di vista estetico, il film si presenta come un esempio (brillante) di cinema ‘puro’, dove la tecnica propriamente cinematografica (l’uso ricorrente dei primi piani, la sobrietà del trucco, la manipolazione della fotografia, il montaggio in funzione ‘esplicativa’) contribuisce in modo determinante al disegno dell’orizzonte introspettivo entro cui il regista distribuisce il proprio materiale narrativo. Anche la scelta dell’articolazione del film secondo il ritmo di una scansione episodica appare felice, per la fluidità che ne deriva al racconto, recuperato, alla sua unità, dalle frequenti ‘incursioni’ dei personaggi dall’uno all’altro capitolo. In questo senso, ciascuna esperienza narrata costituisce la tessera irripetibile del più vasto mosaico che Garcia appare voler comporre attraverso l’osservazione delle sue donne, per coglierne la singolarità dei tratti, senza ambizioni di valenze significative universali. Risulterebbe, invero, vana una ricerca che pensasse di individuare, nel film del regista colombiano, una pretesa di coerenza simbolica, suscettibile di uniformare l’insieme delle storie rappresentate nella comprensività di un paradigma. Sullo sfondo di una comune esperienza di solitudine, le donne di Garcia percorrono un graduale cammino di chiarificazione esistenziale e morale – si direbbe una ‘crisi’, che affiora alla coscienza, e si fa presente, nel contatto, talora casuale o meramente accidentale, con la sofferenza concreta, il limite, fisico o materiale, che affligge i personaggi/rivelatori del dolore morale delle protagoniste. E così, la figura ormai devastata dall’età dell’anziana madre; la lucida follia ‘barbona’ della vecchia mendicante; l’umiliazione del corpo ‘mortificato’ del nano della casa di fronte; l’agonia atroce della compagna prossima alla prematura scomparsa; il ‘buio cieco’ della sorella priva della vista. Ciascuna sofferenza ‘visibile’, ‘materiale’, ‘ingombrante’, gioca da contrappunto all’esperienza impalpabile e dolorosa della solitudine e della percezione del fallimento esistenziale; ma insieme sollecita, almeno in alcune delle storie che si intrecciano lungo il film, la ricerca di una via di uscita, il tenue progetto di una possibile speranza. Quello che un uomo sa di una donna è una storia difficile da raccontare; o forse è solo il mistero di un dolore profondo e inaccessibile, affamato d’amore e insieme velato del suo muto travestimento; del silenzio, quindi, categoria ‘femmina’ quant’altre mai (perché - al pari dei canarini - “ai soli maschi è dato cantare”): il silenzio acre della vecchia madre che apre il film, e quello - lugubre e impenetrabile – della morte che lo percorre.
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