Dancer in the Dark

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Un film di Lars von Trier. Con Catherine Deneuve, David Morse, Björk, Peter Starnmare, Peter Stormare Musical, durata 140 min. - Danimarca 2000. MYMONETRO Dancer in the Dark * * * * - valutazione media: 4,04 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

Irene Bignardi

La Repubblica

Non ci vuole la palla di cristallo per prevederlo: è successo a Cannes, dove la scorsa primavera il film di von Trier ha fatto incetta di premi, di lodi e di ripulse, è successo in America, dove è uscito tra osanna e sberleffi, e lo stesso in Inghilterra. Dancer in the Dark è un film che molti ameranno, che travolgerà molti nel suo fiume di emozioni. Mentre molti, irritati, decreteranno che si tratta di un'operazione furba e ambigua. In ogni caso Dancer in the Dark è un film da vedere: originale, strano, innovativo (per la commistione dei generi, per la libertà delle telecamere utilizzate da Robby Mueller, per l'uso delle voci al naturale, per la fluidità delle riprese) anche nei suoi difetti. Di cui - reparto ideologia, reparto concezione del mondo, reparto manipolazione dello spettatore - abbonda. Ma in maniera così vitale, sconvolgente ed eccentrica da colpire comunque, nelle due direzioni. E, di questi tempi tecnologici, in cui le massime emozioni vengono dall'orrore digitale, non si può chiedere al cinema di più. Già a partire dalla ouverture sui titoli di testa Dancer in the Dark si annuncia per quello che è, un melodramma. E già a partire dai generi apparentemente contrastanti in cui si iscrive - il musical e il dramma, il musical in forma di tragedia o la tragedia in forma di musical - si propone come una sfida. Von Trier ambienta in un'America ricostruita in Svezia una storia contemporanea di umiliati e offesi, il cui ultimo e solo confine è l'amore. E ha scelto come interprete una cantante che non è mai stata attrice ma si rivela strepitosa per forza e intensità: Björk, l'elfo bizzoso che sembra uscito da una fiaba nordica, si trasforma davanti all'obiettivo di von Trier in un'occhialuta piccola fiammiferaia con un dono celeste nella voce. Selma, immigrata dalla Cecoslovacchia nell'America degli anni 50, operaia in una fabbrica, adora il musical, che l'aiuta a superare le asprezze della vita di ogni giorno - nei momenti più duri della giornata la sua fantasia fa esplodere dei bellissimi e liberatori numeri musicali - ha un figlio di dieci anni che adora e un segreto: sta per diventare cieca, come succederà al ragazzino se lei non riesce a mettere da parte i soldi per l'operazione che solo lì, nell'America dei sogni, si può fare. Per fortuna tutti le vogliono bene. L'amica Catherine Deneuve (che è a dire il vero troppo bella e racée per sembrare un'operaia) l'aiuta sul lavoro, e nel tempo libero prova con lei la commedia musicale che stanno preparando. Jeff (Peter Stormare) forse proprio la ama. I proprietari del caravan in cui vive sembrano brave persone. Sembrano. Perché si scoprirà che lei è una casalinga vanitosa e suo marito, poliziotto, pur di far fronte ai debiti, è pronto a rubare alla povera Selma i soldi per l'operazione che la ragazza accumula in una scatola - e scatena una tragedia che fa virare il film al caso giudiziario. Von Trier prega di non diffondere il finale: ma spero non sia considerato un tradimento dire che Dancer in the Dark - il buio degli occhi di Selma, il buio dell'ingiustizia - è anche una dura perorazione contro un sistema giudiziario indifferente e contro la pena di morte. In questa vertiginosa altalena emotiva tra la magia della fiaba e la tragedia, tra il sogno liberatorio del musical e la cronaca della miseria quotidiana, tra la sperimentazione tecnica secondo i dogmi del Dogma e gli acuti emotivi del melodramma, von Trier manipola i sentimenti dello spettatore - se non gli si fa resistenza, se ci si lascia andare alle emozioni - fino allo strazio: la storia che racconta, diranno i critici razionali, è, come in Le onde del destino, improntata alla rassegnazione, a una visione "cattolica" della maternità e del sacrificio femminile. Obiezione: è soprattutto una grande storia umana, un'appassionata requisitoria contro l'indifferenza, una favola nera per ricordarci che il mondo è popolato di gente indifesa la cui unica arma è l'amore.
Da La Repubblica, 18 ottobre 2000


di Irene Bignardi, 18 ottobre 2000

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