gropius
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venerdì 8 gennaio 2010
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alvin...occhi poetici e malinconici
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La grandezza di questo film risiede nella sua semplicità,da non confondere con superficialità ma da associare per di più alla sua intensa e raffinata linearità di esecuzione.Tutto ciò è ribadito dal titolo originale:The Straight Story in cui la parola Straight oltre a ricordarci il vero cognome del protagonista realmente esistito Alvin Straight ,il quale si rese protagonista nel 1994 di un viaggio lunghissimo(circa 300km alla guida di unvecchio tagliaerbe per raggiungere il fratello malato che non vedeva da una decina di anni), sta ad indicarci le parole: “dritto”,”semplicità”…”linearità”.
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La grandezza di questo film risiede nella sua semplicità,da non confondere con superficialità ma da associare per di più alla sua intensa e raffinata linearità di esecuzione.Tutto ciò è ribadito dal titolo originale:The Straight Story in cui la parola Straight oltre a ricordarci il vero cognome del protagonista realmente esistito Alvin Straight ,il quale si rese protagonista nel 1994 di un viaggio lunghissimo(circa 300km alla guida di unvecchio tagliaerbe per raggiungere il fratello malato che non vedeva da una decina di anni), sta ad indicarci le parole: “dritto”,”semplicità”…”linearità”.Un film come dice lo stesso regista da guardare senza interruzioni..senza pause ,gustandosi gli incantevoli paesaggi di un’america remota ,assaporandone la luminosità e profondità dei suggestivi tramonti nonché il caldo ritratto della sconfinata campagna.Grazie ad un’accurata regia è con facile e spontanea immediatezza che ci si riesce a trasporre nella vita di Alvin Straight, immedesimandosi negli occhi e nello spirito di un vecchietto di 73 anni mai domo.La grandezza di David Lynch sta nel non anteporre alla storia una propria interpretazione di essa fatta, come spesso è accaduto in altri suoi film, di visionarie cupe e angoscianti psico-allucinazioni ma di raccontare in modo semplice,intenso e riflessivo lo stato d’animo che realmente albergava all’interno del protagonista durante il viaggio.Egli ci mostra le persone,gli oggetti,le forme con gli occhi malinconici di Alvin attraverso un’accurata lentezza delle riprese;facendo risaltare nel protagonista sia la malinconia che lo pervade per un passato trascorso che ancora lo tormenta(la guerra)sia uno stato d’animo in cui ad animare la sua tristezza latente per la consapevolezza di una vita che sta per finire si aggiunge una forza illuminante che lo porta a rimarginare i vecchi rancori del passato.Il tutto è rappresentato dal tagliaerbe il quale simboleggia la precarietà fisica del vecchio e che al tempo stesso identifica la voglia,seppure agli occhi di molti risulti quasi utopistica,di colmare attraverso l’intrapresa di questo viaggio, che a sua volta rappresenta una sorta di percorso a ritroso nella propria vita, le lacerazioni di un rapporto col fratello che una volta raggiunto lo renderà pago di codesta fatica.La scena finale rappresentata dell’intensità e della malinconica profondità degli sguardi dei due fratelli che dopo anni possono riguardare le stelle insieme come facevano da piccoli, è un ulteriore prova della straordinaria poesia che condisce questo “semplice” ma al tempo stessso “immenso” film.
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mahleriano
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sabato 16 maggio 2009
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una vicenda umana indimenticabile
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Difficile dimenticare un film poetico come questo. Per molte ragioni e una più bella dell'altra. Intanto per l'originalità di una storia in cui un vecchio e non patentato protagonista affronta un viaggio di 500 km a bordo di un tagliaerba, per andare a trovare il fratello infartuato e con cui è in rotta da molti anni. Poteva essere facile indulgere, durante il percorso, sulla bellezza indiscussa dei paesaggi, dei tramonti, delle albe o di quei cieli stellati più neri e profondi, visibili solo nelle campagne più lontane dalla civiltà. Ma l'occhio che ammira tutto ciò non è mai il nostro, ma solo quello del protagonista. Non può esistere spettatore in questo film, perché la sete di pace, di riconciliazione ed in fondo di amore che trabocca da questo nonno tenace e orgoglioso della propria indipendenza, trasforma in sé stesso, Alvin, qualunque spettatore.
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Difficile dimenticare un film poetico come questo. Per molte ragioni e una più bella dell'altra. Intanto per l'originalità di una storia in cui un vecchio e non patentato protagonista affronta un viaggio di 500 km a bordo di un tagliaerba, per andare a trovare il fratello infartuato e con cui è in rotta da molti anni. Poteva essere facile indulgere, durante il percorso, sulla bellezza indiscussa dei paesaggi, dei tramonti, delle albe o di quei cieli stellati più neri e profondi, visibili solo nelle campagne più lontane dalla civiltà. Ma l'occhio che ammira tutto ciò non è mai il nostro, ma solo quello del protagonista. Non può esistere spettatore in questo film, perché la sete di pace, di riconciliazione ed in fondo di amore che trabocca da questo nonno tenace e orgoglioso della propria indipendenza, trasforma in sé stesso, Alvin, qualunque spettatore. E con una partecipazione così coinvolgente, per l'incredibile intensità dell'attore, da rimanerne scossi. La stessa intensità che si ritrova negli sguardi della figlia, sognanti e amorevolissimi, che letteralmente parla con gli occhi in ogni inquadratura.
Durante il viaggio incontrerà diverse persone, ed ognuna sarà motivo di dialoghi densi ed evocativi. Ma c'è una domanda rivolta da un giovane: "ci sarà pur qualcosa di buono nella vecchiaia", a cui risponderà con una mezza verità. La prima mezza verità, amara, è che la cosa triste della vecchiaia è il ricordo di quando si era giovani. Ma l'altra mezza, ben più grandiosa, è riposta nell'intero suo viaggio, che con la sua cadenza lenta testimonia forse si una fisicità ormai lontana dalla vigoria giovanile, ma che ad ogni istante mostra una vecchiaia che non cede mai il passo alla rinuncia, in un'accettazione serena dei limiti da essa stessa imposti. E sarà il compimento di quel percorso a trasfigurare l'intero cammino proprio in quel cielo stellato proiezione di sogni, domande, desideri e ricordi di un affetto profondo ritrovato, che in fondo sono l'unica vera vittoria umana su qualunque fisicità ormai decadente.
Per i messaggi che vi si possono leggere, per la fotografia stupenda, per gli interpreti così reali da far dimenticare il concetto di attore, per il giusto dosaggio di ironia e meditazione e soprattutto per la poesia che lo permea da cima a fondo, non posso che dare a questo film il massimo possibile.
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(di matteo78)
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piernelweb
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venerdì 1 giugno 2007
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la poesia di david
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Nella più profonda provincia americana, terra di mendriani e agricoltori, dove i rapporti umani hanno ancora un valore, l'incredibile storia del vecchio Alvin Straight, che ad un passo dall'infermità fisica decide di intraprendere un singolare e lunghissimo viaggio per incontrare il fratello allo scopo di riconcigliarsi dopo 11 anni di assoluta assenza di rapporti. E' poesia allo stato puro questo inatteso e meraviglioso film di David Lynch; nelle immagini, nelle musiche, negli occhi e nelle parole del protagonista c'è la tutta la magia del cinema che sa scavare nell'intimo e risvegliare l'attenzione ai valori e al profondo senso delle cose. E' la storia della vita che si consuma come l'interminabile viaggio di Alvin, inevitabilmente segnato anche da cattivi ricordi ed errori ma che ha la neccesità di compiersi, di giungere ad una significativa meta.
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Nella più profonda provincia americana, terra di mendriani e agricoltori, dove i rapporti umani hanno ancora un valore, l'incredibile storia del vecchio Alvin Straight, che ad un passo dall'infermità fisica decide di intraprendere un singolare e lunghissimo viaggio per incontrare il fratello allo scopo di riconcigliarsi dopo 11 anni di assoluta assenza di rapporti. E' poesia allo stato puro questo inatteso e meraviglioso film di David Lynch; nelle immagini, nelle musiche, negli occhi e nelle parole del protagonista c'è la tutta la magia del cinema che sa scavare nell'intimo e risvegliare l'attenzione ai valori e al profondo senso delle cose. E' la storia della vita che si consuma come l'interminabile viaggio di Alvin, inevitabilmente segnato anche da cattivi ricordi ed errori ma che ha la neccesità di compiersi, di giungere ad una significativa meta. Eccezionale Richard Farnsworth, il suo sguardo è indimenticabile per profondità e intensità, ma bravissima è anche Sissy Spacek lacerante nel silenzioso dolore del suo personaggio. Lynch vola altissimo, realizzando uno dei maggiori capolavori degli ultimi ventanni; un lungo toccante brivido che coglie più che mai nel segno. Con le lacrime agli occhi...
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francesco manca
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martedì 22 luglio 2008
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"la storia che cancella"
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David Lynch compie un passo molto significativo per la sua carriera, costellata di incubi, allucinazioni visive e psicologiche e ossessioni. “The Straight Story” rappresenta per il regista una sorta di traguardo, di liberazione, di pace interiore che è riuscito momentaneamente a trovare, per poi nuovamente “scatenarsi” due anni più tardi con il viaggio metafisico di “Mulholland Dr.”. Fatto sta che quello a cui ci troviamo di fronte, è un ritratto di una cultura, di un paese, di una persona e di un entità dal valore inestimabile, ove si possono Non facilmente scorgere delle vene di tristezza e solitudine interiore, provocate da enormi ferite, sia fisiche che spirituali, di cui ci narrerà il protagonista Alvin Straight nel corso della pellicola.
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David Lynch compie un passo molto significativo per la sua carriera, costellata di incubi, allucinazioni visive e psicologiche e ossessioni. “The Straight Story” rappresenta per il regista una sorta di traguardo, di liberazione, di pace interiore che è riuscito momentaneamente a trovare, per poi nuovamente “scatenarsi” due anni più tardi con il viaggio metafisico di “Mulholland Dr.”. Fatto sta che quello a cui ci troviamo di fronte, è un ritratto di una cultura, di un paese, di una persona e di un entità dal valore inestimabile, ove si possono Non facilmente scorgere delle vene di tristezza e solitudine interiore, provocate da enormi ferite, sia fisiche che spirituali, di cui ci narrerà il protagonista Alvin Straight nel corso della pellicola. L’anomalia di questa opera estremamente ed insolitamente omogenea di David Lynch, è quella di non apparire neanche come un lavoro del regista, perché priva di tutte le caratteristiche che hanno contraddistinto titoli come “Eraserhead”, “The Elephant Man”, “Velluto Blu” e “Strade perdute”, difatti, “The Straight Story” è privo di qualsiasi allusione a tonalità cupe e dark che hanno sempre delineato la filmografia di Lynch. Però, c’è da fare molta attenzione ad un particolare: i demoni, i fantasmi, i conflitti interiori che ci ha sempre raccontato Lynch attraverso la sua “macabra” e vivida creatività, sono presenti anche in “The Straight Story”, solo che, a differenza di come accadeva nei titoli sopra citati, qui sono quasi invisibili. Alvin Straight, interpretato da un magistrale Richard Fansworth, conserva in sé i terribili ricordi del suo passato come soldato nella seconda Guerra Mondiale, della quale discuterà con un altro personaggio secondario incontrato durante il suo percorso; la figlia di Alvin, Rosie, la fantastica Sissy Spacek, balbuziente e “leggermente ritardata”, evoca sentimenti estremamente dolci e sottili, così come la storia stessa della pellicola, che racconta come Straight sia riuscito, lottando contro la fatica, a raggiungere il fratello Lyle (Harry Dean Stanton) improvvisamente colpito da un infarto, con il quale non si vede da dieci anni; il tagliaerba sul quale viaggia Alvin è un altro elemento che identifica la forza morale e la determinazione di questo grande uomo, che ha vissuto un’intera vita, solo per accorgersi che ne dovrà immediatamente iniziare un’altra, e forse, il messaggio che il finale del “film” di Lynch (metto le virgolette attorno alla parola film perché non considero le Opere di Lynch come veri e propri film, ma qualcosa di più complesso) ci vuole comunicare, perché probabilmente la pace di cui ho accennato in precedenza, sta proprio nella riconciliazione tra due fratelli, perché, come dice lo stesso Alvin, nessuno ti conosce meglio di un fratello...
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(di rraya)
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pinkblack9
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lunedì 12 novembre 2012
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come trasformare le emozioni in arte pura....
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David Lynch racconta, commuove e torna a far riflettere sui temi importanti della vita, in modo dolce e poetico come solo un genio dietro la macchina da presa sa affrontare. La vecchiaia, l'importanza della famiglia, i ricordi e la saggezza, la vita e la morte, il regista abbandona momentaneamente gli incubi, le sue ossessioni e lo studio dei sogni per affrontare temi più forti e allo stesso tempo delicati con una storia incredibilmente straordinaria, basata su un fatto realmente accaduto.
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David Lynch racconta, commuove e torna a far riflettere sui temi importanti della vita, in modo dolce e poetico come solo un genio dietro la macchina da presa sa affrontare. La vecchiaia, l'importanza della famiglia, i ricordi e la saggezza, la vita e la morte, il regista abbandona momentaneamente gli incubi, le sue ossessioni e lo studio dei sogni per affrontare temi più forti e allo stesso tempo delicati con una storia incredibilmente straordinaria, basata su un fatto realmente accaduto.
Alvin Straight ha settantatré anni, vive a Laurens nell'Iowa con la figlia Rose, una madre ritardata alla quale hanno portato via i figli. Le sue condizioni di salute sono pessime, oltre a non vedere bene (che non gli consente di avere la patente), convive con un principio di enfisema polmonare e un'artrite che lo costringe ad usare ben due bastoni. Presto viene a sapere che il fratello Lyle del Wisconsin è molto malato e si avvicina alla morte. Malgrado non si parlino da tanto tempo a causa di un banale litigio e le proibitive condizioni fisiche non glielo permettano, Alvin decide di mettere da parte l'orgoglio e di intraprendere un viaggio lungo più di 350 miglia (più di 560 km!) attraverso gli stati dell'Iowa e del Wisconsin, con un vecchio tosaerba che traina un piccolo rimorchio (che diventa la sua casa durante il viaggio). Tra lande sterminate e paesaggi mozzafiato nel cuore dell'America, ripresi da raffinate inquadrature panoramiche, Alvin trascorre quasi due mesi di viaggio e incontra tanta gente, dispensando autentica saggezza e suscitando infinita tenerezza. Un pellegrinaggio interiore dunque, che raggiunge il suo apice con il ricordo sbiadito e nostalgico di un cielo stellato. La pellicola è una grande metafora del tempo sottolineata magistralmente dalle scelte registiche, geniale in tal senso introdurre il gruppo di giovani ciclisti che sfrecciano ad alta velocità accanto al vecchio Alvin, in contrasto con la sua ponderatezza e la sua flemma, resa perfettamente con movimenti dolci dell'inquadratura e dalla splendida interpretazione di Farnsworth. Sembra quasi che questo voglia sottolineare la fretta e la furia di arrivare tipica di noi giovani d'oggi, che non ci fermiano mai, paragonata alla serenità e lentezza di chi conosce il valore del tempo. E il viaggio di Alvin, in una visione più generale, potrebbe essere comparato alla vita stessa, fatta d'incontri e di un gran numero d'esperienze, nella quale forse il punto d'arrivo non è importante quanto il percorso in sé. Non conta dove riusciamo ad arrivare, ma il panorama che il viaggio ci riserva.
Va sottolineata infine anche la perfetta simbiosi tra inquadrature e musiche, le quali si fondono con l’emotività dei personaggi e dei paesaggi, confermando (se ce ne fosse ancora bisogno) tutta la potenza comunicativa dei film di David Lynch, portando lo spettatore a quel coinvolgimento che fa diventare questo film una vera e propria esperienza visiva, sonora, emozionale. Un esperienza indimenticabile.
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luca scialò
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venerdì 1 gennaio 2010
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la famiglia è la cosa più preziosa
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Film sul valore della famiglia. Un 73enne, saputo dell'infarto subito dal fratello, decide di andarlo a trovare, benchè i due non si parlino da molti anni; e decide di farlo con un trattore, il mezzo che usava per lavorare essendo un contadino. Il viaggio sarà anche un modo per ripercorrere la propria vita, oltre che confrontarsi con i nuovi valori dominanti nella società. Evidente infatti la differenza tra il suo modo di vivere lento e pacato da un lato, la frenesia del Mondo che lo circonda dall'altro. Bella la metafora legata ai due fratelli meccanici che litigano tra loro, che egli riprende facendogli notare l'importanza dell'essere fratelli.
Una commedia piacevole, sui valori di un tempo che sembrano sempre più sbiadirsi.
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Film sul valore della famiglia. Un 73enne, saputo dell'infarto subito dal fratello, decide di andarlo a trovare, benchè i due non si parlino da molti anni; e decide di farlo con un trattore, il mezzo che usava per lavorare essendo un contadino. Il viaggio sarà anche un modo per ripercorrere la propria vita, oltre che confrontarsi con i nuovi valori dominanti nella società. Evidente infatti la differenza tra il suo modo di vivere lento e pacato da un lato, la frenesia del Mondo che lo circonda dall'altro. Bella la metafora legata ai due fratelli meccanici che litigano tra loro, che egli riprende facendogli notare l'importanza dell'essere fratelli.
Una commedia piacevole, sui valori di un tempo che sembrano sempre più sbiadirsi. Non manca nemmeno l'ironia. L'attore protagonista, Richard Farnsworth, morì poco dopo che il film fu portato a termine.
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penelope
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giovedì 30 maggio 2013
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un tagliaerba: simbolo di riscatto e perdono
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Un tagliaerba che avanza a fatica come simbolo di una vita sulle spalle, dello scorrere del tempo, del moltiplicarsi dei ricordi negli occhi del protagonista che cerca il proprio riscatto, quando ancora non è troppo tardi per dare e ricevere il perdono. Una regia lenta, come i movimenti di Alvin, che faticosamente si muove con l'aiuto dei suoi due bastoni, ma che al contempo non si arrende, e la sua forza d'animo si evince da quegli occhi, affaticati, stanchi, vaganti, ma sempre vivi. Dialoghi brevi, panoramiche quasi infinite, dove le parole sono sapientemente sostituite da note malinconiche,profonde, a tratti molto tristi,ma di certo commoventi. Un film senza artefici, che mostra la complessità di certe emozioni senza effetti speciali o battute d'impatto, a semplice testimonianza che la vita, anche solo nel suo ultimo tratto, può essere grandiosa, eroica.
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Un tagliaerba che avanza a fatica come simbolo di una vita sulle spalle, dello scorrere del tempo, del moltiplicarsi dei ricordi negli occhi del protagonista che cerca il proprio riscatto, quando ancora non è troppo tardi per dare e ricevere il perdono. Una regia lenta, come i movimenti di Alvin, che faticosamente si muove con l'aiuto dei suoi due bastoni, ma che al contempo non si arrende, e la sua forza d'animo si evince da quegli occhi, affaticati, stanchi, vaganti, ma sempre vivi. Dialoghi brevi, panoramiche quasi infinite, dove le parole sono sapientemente sostituite da note malinconiche,profonde, a tratti molto tristi,ma di certo commoventi. Un film senza artefici, che mostra la complessità di certe emozioni senza effetti speciali o battute d'impatto, a semplice testimonianza che la vita, anche solo nel suo ultimo tratto, può essere grandiosa, eroica.
Il valore della famiglia, gli orrori della guerra, i rimpianti, i sensi di colpa e le amarezze di un affetto negato, lontano, ma non ancora perduto, sono sovrastati da un cielo stellato, immenso, dove ogni stella è "preziosa".
Un film, questo, che sui titoli di coda ti porta ad alzare gli occhi al cielo e chiedersi: "Avrei, io, il coraggio di Alvin?".
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blackdragon89
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martedì 8 maggio 2012
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un progetto che incrocia realtà e metafora
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Sin dal principio una diversa atmosfera aleggia nella cornice cinematografica di quest'opera; non c'è nè un incipit visionario nè una scossa adrenalinica ad aprire le danze. La storia narra di un contadino dell'Iowa, Alvin Straight, che all'età di 73 decide di far visita al fratello, reduce da un infarto, spinto da un riscoperto senso di solidarietà malgrado i due non si rivolgano la parola da più di un decennio. Questa volta nessuna volontà puramente metaforica rientra nelle mire del regista, trattandosi di un fatto realmente accaduto nel settembre del 1994. La particolarità del Road Movie, che di fatto può aver attratto l'interesse di Lynch nel ricostruirne una versione, sta proprio nelle modalità del viaggio; il diabete ha quasi reso cieco Alvin, negandogli la guida, e l'unico modo per coprire le distanze sembra quello di utilizzare un trattorino rasaerba munito di rimorchio.
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Sin dal principio una diversa atmosfera aleggia nella cornice cinematografica di quest'opera; non c'è nè un incipit visionario nè una scossa adrenalinica ad aprire le danze. La storia narra di un contadino dell'Iowa, Alvin Straight, che all'età di 73 decide di far visita al fratello, reduce da un infarto, spinto da un riscoperto senso di solidarietà malgrado i due non si rivolgano la parola da più di un decennio. Questa volta nessuna volontà puramente metaforica rientra nelle mire del regista, trattandosi di un fatto realmente accaduto nel settembre del 1994. La particolarità del Road Movie, che di fatto può aver attratto l'interesse di Lynch nel ricostruirne una versione, sta proprio nelle modalità del viaggio; il diabete ha quasi reso cieco Alvin, negandogli la guida, e l'unico modo per coprire le distanze sembra quello di utilizzare un trattorino rasaerba munito di rimorchio. Nonostante le impedenze dovute alla tarda età e alle preoccupazioni della figlia, il vecchio e testardo agricoltore intraprende un lungo viaggio che durerà ben sei settimane, collezionando ogni sorta di incontro e ripercorrendo simbolicamente la sua intera vita.
Perchè un Road Movie sia ben strutturato la narrazione deve proseguire di pari passo con le vicende. Con questi presupposti Lynch realizza un itinerario completo e lineare, senza bruciare alcuna tappa, che essa contenga stralci di difficoltà o di successo. Certo il tutto ciò può risultare alla lunga monotono, trattandosi per forza di cose di un percorso per lo più lineare e quasi statico, che non contiene eventi di particolare rilievo. La novità sta nella trattazione di un film che non si focalizza sugli avvenimenti come accade per gli altri lavori appartenenti al genere, bensì sulle diverse personalità che Alvin avrà modo di incontrare durante il viaggio. Del resto si sa, a premere il cuore del regista sono i molteplici aspetti della psiche umana, tanto che la traversata Iowa-Wisconsin diviene metafora di una vita vissuta a pieno, alla quale manca solamente lo spunto finale. E così un vecchio trattore è immagine di un animo che rimane strenue, seppure a fatica, mentre gli esistenti, muniti del loro classico tratto di naturalezza e quotidianità che non può mancare nei canoni del genio statunitense, rappresentano la varietà a volte cauta e a volte rigida delle fasi di una lunga esistenza. Che poi il montaggio grafico e sonoro non pecchino in nessun aspetto è ormai un'abitudine nella tabella di marcia, con colonne altresì piacevoli in stile Country, sebbene i dizionari manchino di quella decisiva brillantezza.
"Una storia vera" è una scommessa in gran parte riuscita; commovente, sentito, su tutta un'altra linea, il film rappresenta la prova ultima del talento panoramico di Lynch, i cui lavori alle volte possono permettersi di uscire dal contorno grottesco e stravagante ai quali siamo abituati.
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evildevin87
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lunedì 18 novembre 2013
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un piccolo capolavoro
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Un uomo anziano privo di patente decide di intraprendere un viaggio di circa 400 chilometri col suo tagliaerba per andare a trovare il fratello, che non vede da tanti anni e col quale non è in bei rapporti, in seguito a un malanno di quest'ultimo. A sentire il soggetto di questo film può venire quasi da ridere. E invece il maestro David Lynch confeziona un film più che ottimo che ci mostra un uomo che seppur bizzarro, mostra grande determinazione e profondità d'animo. Nel corso del suo viaggio farà svariati incontri, grazie ai quali capiremo meglio lui e le sue ragioni. Un film che nella sua semplicità affascina, riesce ad essere originale e non si lascia dimenticare facilmente.
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Un uomo anziano privo di patente decide di intraprendere un viaggio di circa 400 chilometri col suo tagliaerba per andare a trovare il fratello, che non vede da tanti anni e col quale non è in bei rapporti, in seguito a un malanno di quest'ultimo. A sentire il soggetto di questo film può venire quasi da ridere. E invece il maestro David Lynch confeziona un film più che ottimo che ci mostra un uomo che seppur bizzarro, mostra grande determinazione e profondità d'animo. Nel corso del suo viaggio farà svariati incontri, grazie ai quali capiremo meglio lui e le sue ragioni. Un film che nella sua semplicità affascina, riesce ad essere originale e non si lascia dimenticare facilmente. Grande prova Lynch!
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ilaskywalker
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venerdì 29 luglio 2011
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gita in campagna con lynch
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David Lynch puo' dirigere tutto, anche i filmini delle vacanze o dei matrimoni.
Storia allegra e malinconica insieme, pervasa dalla freschezza delle terre del midwest americano ora deserte ed assolate, ora piovose e minacciose. Tutto orchestrato con molta tranquillità, al ritmo delle musiche suggestive del mai abbastanza osannato Angelo Badalamenti (spalla fissa del team lynchiano). Accompagnamo questo simpatico anziano nel suo viaggio verso il fratello, molto malato, forse già morto. Un viaggio lento. E quindi introspettivo, di formazione, più per i personaggi che egli incontra sulla strada che per sé stesso.
Tolto un frangente spiazzante in cui il protagonista rischia un incidente (accompagnato dallo zoom disperato in primissimo piano su di lui, senza lasciarci vedere cosa succede in strada - questo è il vero elemento disturbante, il vero inconfondibile Lynch), la pellicola è rilassante e non contiene le solite presenze fantastico-misteriose della filmografia del regista, e per questo credo non faticherà ad incontrare il gusto di tutti.
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