Central do Brasil

Prima di incontrare Josuè, Dora è una donna disillusa, cinica e indurita dalla vita, ha perso fiducia in particolare negli uomini, che vede come un branco di ubriaconi, tutti come suo padre. L'incontro con il suo alter-ego Josuè (sua madre muore come quella di Dora, all'inzio del film, quando è ancora bambino, e il padre l'ha abbandonato) porta Dora a rimettere in discussione se stessa e la sua vita triste, monotona, buia, senza speranza e senza affetti per aiutare questo bambino abbandonato a se stesso e alla sua disgrazia. Il cuore di Dora, rafreddatosi da anni, non si scalda subito,(tenta all'inizio di vendere Josue per soldi ad un organizzazione poco raccomandabile) ma lentamente si impone in lei ciò che è più giusto fare; così si mettono in viaggio alla ricerca del padre, con un indirizzo irragiungibile, che si muove nelle grandi pianure del Brasile portando i due nelle profondità dei loro cuori. Questo film parla, grazie alla maestria del regista e dei due eccezionali protagonisti, con il linguaggio dei volti; volti lunatici che viaggiano continuamente sul filo teso tra speranza e disperazione; tra sopravvivenza e morte, nel Brasile dove la vita si conquista ogni giorno sul campo e dove il pasto non è assicurato da nessuno, i protagonisti si trovano continuamente di fronte al dubbio morale, di fronte a ciò che ha un prezzo da una parte e ciò che non ne ha dall'altra. Il film ci dice in fondo che anche, e forse soprattutto, nella povertà e nella disperazione, può nascere e crescere la redenzione; che nel momento del bisogno, a costo di gravi rischi e della vita stessa, chi è giusto farà il bene, mettendo in gioco tutto se stesso. E questo lo arrichirà e lo farà crescere più di qualsiasi vita passata nella mediocrità di una vita sicura ma senza sentimenti.