Amistad

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Un film di Steven Spielberg. Con Morgan Freeman, Matthew McConaughey, Anthony Hopkins, Djimon Hounsou, Stellan Skarsgård.
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Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 155 min. - USA 1997. - UIP - United International Pictures uscita venerdì 13 marzo 1998. MYMONETRO Amistad * * * - - valutazione media: 3,40 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

La lotta d'una tribù di schiavi contro i tribunali Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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lunedì 6 giugno 2016

AMISTAD (USA, 1997) diretto da STEVEN SPIELBERG. Interpretato da ANTHONY HOPKINS, MORGAN FREEMAN, STELLAN SKARSGARD, NIGEL HAWTHORNE, DJIMON HOUNSOU, MATTHEW MCCONAUGHEY, DAVID PAYMER, PETE POSTLETHWAITE, PETER FIRTH, JEREMY NORTHAM, ARLISS HOWARD, ANNA PAQUIN, TOMAS MILIAN, CHIWETEL EJIOFOR, PAUL GUILFOYLE
La Amistad è una negriera spagnola che trasporta gli schiavi africani dalla madrepatria nel paese europeo, finché, nel corso di una notte tempestosa, questi ultimi non decidono di insorgere e, ucciso tutto l’equipaggio meno i due mercanti di schiavi, prendono possesso della nave. Ma vengono intercettati da un’ammiraglia statunitense, messi in catene e accusati di pirateria e omicidio. Non resta loro che attendere il giudizio della Corte Suprema degli Stati Uniti, che sceglierà in merito al loro destino. Il caso giudiziario attira l’attenzione dell’opinione pubblica dell’intera nazione, e i due uomini politici Theodore Joadson e Lewis Tappan, il primo nero e il secondo bianco, si interessano alla querelle, sperando che i ribelli africani non vengano giustiziati e si salvino. Un giovane, ambizioso e motivato avvocato, Roger Baldwin, si interessa alla questione e offre il proprio appoggio ai due politici, i quali tentano, in un primo momento, di coinvolgere nella risoluzione della sorte degli schiavi anche il vecchio e disilluso John Quincy Adams, ex presidente degli Stati Uniti, notoriamente sbeffeggiato alle sedute del Congresso per la noncuranza che prova nei confronti delle decisioni del parlamento USA. Ma quando Adams ci ripensa e, stringendo amicizia con Cinqué, colui che in qualche modo è il capo della tribù africana schiavizzata, prende in mano il caso con sicurezza ed eloquenza incrollabile, la fortuna arride finalmente a Baldwin e Joadson (Tappan, all’ultimo, si tira indietro): gli africani vengono assolti dai capi d’accusa e rispediti nella terra natale. Candidato a 4 premi Oscar e ad altrettanti Golden Globe, è l’opera più compiuta di Spielberg negli anni 1990: un autentico inno alla libertà di pensiero e d’azione, incarnata dalla fatica spesa dagli uomini di legge per dimostrare l’effettiva innocenza di un gruppo di esseri umani perseguitati dalla sfortuna e, ancor peggio, da governi che non riconoscono l’uguaglianza fra bianchi e neri e utilizzano questo millenario pregiudizio per giustificare la schiavitù e costringere chi non può difendersi al lavoro forzato (non solo nelle piantagioni). Spielberg aveva già trattato il tema dei diritti dei neri in Il colore viola (1985), e più avanti lo recupererà col magnifico Lincoln (2013), ma con questa superba pellicola tocca un apice ben difficilmente ripetibile: oltre a denunciare le illegalità, le arroganze e gli enormi errori del Congresso statunitense, nel periodo precedente alla Guerra di Secessione, il film apre uno spiraglio gigantesco e lucentissimo di speranza per un problema che interessa l’umanità fin dalla notte dei tempi, e che neanche un milione di processi e altre azioni legali riuscirà mai a risolvere. Ma con un’opera cinematografica si possono raccontare e affermare molte cose, e di questo il regista è ben conscio, tant’è vero che il suo profondo e sincero messaggio di affetto nei riguardi di questi personaggi realmente vissuti (il fatto è incontestabilmente storico, come riferiscono gli stessi titoli di testa) non fa sconti a nessuno, riconosce le colpe da ambo le parti (attori dei soprusi e relative vittime), analizza tutt’altro che in superficie le motivazioni che spingono a determinati comportamenti (senza per forza partire dalla loro intrinseca positività o negatività) e si schiera decisamente dalla parte della Giustizia, ovvero a favore di chi non pretende altro che la propria libertà venga rispettata e incentivata da chi è ben felice che essa possa mantenersi col progredire del tempo. Attori da applauso, specialmente un A. Hopkins in forma smagliante che ritrae un John Adams, 6° presidente nella storia del Paese d’oltreoceano, come se interpretasse un istrione consapevole del proprio atteggiamento istrionico, e che adopera con saggezza e lungimiranza le proprie straordinarie doti di oratore e soprattutto di uomo che sa convincere chi non è d’accordo con lui con discorsi umanitari che gli sgorgano dal cuore e dei quali sa argomentare in modo estremamente efficace la veridicità. Ma la vera sorpresa (e rivelazione) del film è D. Hounsou: il suo Cinqué, che si esprime nella lingua Mende, è di un’intensità per la quale non esistono vocaboli verbali, se si cerca di descriverla nei suoi intimi dettagli di correttezza, ardore e coraggio. Fra i personaggi, l’unico anello debole è rappresentato da S. Skarsgard: non che il suo carattere pecchi o manchi di qualcosa, ma la sua ritrattazione morale fatta all’ultimo minuto è quantomeno sospetta o, addirittura, incomprensibile. Ma compensano questo difetto gli stupefacenti M. Freeman e M. McConaughey: il primo ricorre alla sua abituale e infallibile mistura di candore e perseveranza, mentre il secondo mette a segno la prima interpretazione memorabile della sua carriera, incidendo un giureconsulto onesto e incorruttibile che fa della sua professione un mezzo splendidamente liberatorio (in qualunque senso si intenda il termine). Fotografia e colonna sonora entrambe di prim’ordine, realizzate, come d’abitudine, dai due collaboratori inossidabili di Steven: Janusz Kaminski e John Williams. Avrebbe dovuto essere premiato da un maggiore e più coeso successo al botteghino.

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