Irene Bignardi
La Repubblica
Un merito almeno bisogna riconoscerlo a Fuoco cammina con me!: di aver lanciato l’idea di “prequel”. Ancora una volta originale, anziché andare avanti a raccontare in un sequel di che perversioni e cattiverie viva la piccola comunità di Twin Peaks immortalata nella serie tv, David Lynch, forse anche perché pochi, nella cittadina, erano i sopravvissuti e molti i cadaveri - e quindi difficile immaginare un seguito - ha pensato bene che fosse meglio andare a ritroso nel tempo, alla ricerca delle oscure ragioni, nevrosi e peccati della Peyton Place dell’era Bush.
Ma per quanto Lynch sia il meraviglioso regista, lo stilista di genio, l’uomo di spettacolo furbissimo che riconoscono, con due diverse valenze di giudizio, sia i suoi nemici sia i suoi ammiratori, sia quelli che amano The Elephant Man sia quelli che odiano Cuore selvaggio, Fuoco cammina con me! non ce la fa. Perché ha la profondità di ispirazione che ci si può aspettare dall’ennesima spremitura della saga di Twin Peaks. E neanche il gusto di Lynch nel mettere in scena l’orrore iperrealistico, visionario ed estremo, riesce a rendere credibile un impasto in cui diavoli antichi e sesso contemporaneo si accoppiano infelicemente.
Fuoco cammina con me! segue le macabre fantasie che Jennifer Lynch ha messo nel suo libro Il diario di Laura Palmer. Nella “small town” un tempo tanto amata dalla letteratura americana, ormai la vita quotidiana è fatta so-
lo di corruzione, sesso, droga, violenze familiari e qualche cadavere variamente massacrato e sfigurato. L’immaginettà religiosa che pende nella stanza della bella Laura sembrerebbe suggerire che tutta la colpa è di un angelo custode distratto. Nostalgia di Dio? La ragazza sotto le gonnelline scozzesi da ingenua porta guépière e calze di seta, si fa di coca prima di entrare in classe, si scopa un amichetto durante l’intervallo, e la notte, quando ha più tempo, o va a caccia di droga con il suo boy-friend ufficiale (e ci scappa il morto), o si fa trascinare in orge ribalde e pericolose oltre il confine canadese da terrificanti accompagnatori casuali trasudanti testosterone.
La storia comincia un anno prima degli eventi raccontati nel Twin Peaks tv, quando viene trovato il cadavere di una poveraccia, e si ricollega al momento della morte di Laura. David Lynch, che compare di persona nel ruolo di un detective sordo (forse per via delle assordanti musiche di Angelo Badalamenti?) per un quarto d’ora sembra divertirsi con un’esilarante commedia nera tutta autocitazioni e ironia, in cui gli danno man forte Kiefer Sutherland, Harry Dean Stanton, Kyle MacLachlan, David Bowie, tutti in scena per pochi minuti. Ma appena ricompare Laura Palmer (Sheryl Lee), Lynch torna purtroppo a prendere sul serio il suo ruolo di Gotico 2000. Lo humour cede alle fiamme, alle visioni, ai flash, agli incubi, agli esseri misteriosi come Bob, incarnazione del male: che farebbe molta paura se non avesse i capelli lunghi come il Casanova di Delon. E innegabile che Lynch sia bravissimo, che giri come pochi, che sappia quali nervi toccare. Ma si tratta di molto rumore sul nulla. Non c’è, questa volta, neanche quella fetta di sociologia della Peyton Place contemporanea che, con un po’ di buona volontà, si poteva rintracciare in Twin Peaks. Spreca, eccede, baroccheggia, reitera (anche i finali).
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996
di Irene Bignardi, 1996