Irene Bignardi
La Repubblica
Da un po’ di tempo gli angeli del focolare, tradizionalmente costretti a maturare e a macerare le loro crisi tra le pareti domestiche, hanno cominciato a invadere il territorio senza tetto né legge - della strada, del viaggio, della fuga senza fine - altrettanto tradizionalmente riservato agli uomini. Insomma, Penelope s’è desta, insegue Ulisse sul suo stesso campò e sfoga fuori casa le proprie irrequietezze.
Come Peter Fonda e Dennis Hopper in Easy Rider, come Barry Newman in Punto zero, come Mark Frechette in Zabriskie Point, come i ragazzi di Sugarland Express, dunque, anche Thelma e Louise, la ragazza un po’ scema e la donna intelligente, la mogliettina troppo quieta e la cameriera di ristorante arrivata al punto di rottura, la provinciale del profondo Sud e la sradicata che di esperienza ne ha avuta anche troppa, si mettono in strada per una piccola evasione dalla noia quotidiana - un week-end a pescare insieme -; e finiscono in fuga, dopo uno stupro e due pallottole nella pancia dello stupratore, attraverso il deserto dell’Arkansas e dintorni.
Ridley Scott, da bravo inglese espatriato, continua a guardare all’America con divertita stupefazione e, dopo una serie di film tanto affascinanti dal punto di vista strettamente cinematografico quanto deludenti nel complesso, firma un film-manifesto che è un trionfo dello spettacolo ma che coglie anche un’inquietudine diffusa e attualissima.
Scritto da una donna, Callie Khouri, che sa raccontare bene l’amicizia e la complicità di due solitarie, la dinamica delle provocazioni e delle ribellioni, Thelma & Louise è raccontato con un ritmo vertiginoso, incalzante, velocis8i-mo, in un remake pantografato di tutte le grandi fughe nel deserto di cui è costellato il sogno del cinema, e si traduce in un gigantesco e sfolgorante spot pubblicitario sulla curiosità, il malessere, la crudeltà, la violenza in agguato dietro ogni minima trasgressione femminile. Scott ci martella con la musica, strizza gli occhi a tutti, (quel ciclista resta in mezzo al deserto non potrebbe essere uscito da un film di Lynch?) e resta personalissimo nel gigantismo di un bombardamento di immagini che sarebbe virtuosistico se non avesse un nucleo profondamente doloroso.
Peccato che Thelma (Geena Davis) sia un po’ troppo tonta e irresponsabile persino per essere la sciocca provinciale dell’Arkansas che non è mai uscita di casa, che il suo prepotente marito sia caricaturale, che Harvey Keitel, il poliziotto buono che conduce la caccia alle due involontarie fuorilegge fin sull’orlo del Grand Canyon, sia troppo
sentimentale. E peccato che ci sia qualche battuta didascalica di troppo, come quando Louise, la sempre bravissima Susan Sarandon, dice a Thelma, che ha rivelato un’insospettabile disposizione a delinquere: “Ora finalmente puoi esprimerti”. Ma sotto la sua andatura mozzafiato, lo spettacolo e il grande carnevale che fa esplodere nel deserto, Thelma & Louise è un manifesto di libertà al femminile con un’anima anarchica: meglio tre giorni da leonesse e un salto nel vuoto che sessant’anni da pecore al servizio dei mariti e dei clienti.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996
di Irene Bignardi, 1996