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Robert Harmon, al suo primo lungometraggio, firma un film che diventerà un cult degli anni '80. È un road-movie che ricorda " Duel" di Spielberg, ma con meno approfondimento psicologico e meno simbolismo. Anche " The Hitcher" può essere letto in maniera simbolica, poiché vi è la materializzazione di un incubo che perseguita fino a costringeri alla soluzione più radicale. Come in "Duel" anche qui gli atti persecutori non hanno una spiegazione logica e razionale. Solo attraverso esperienze agghiaccianti e dolorose il protagonista riuscirà a trovare quella determinazione, tipica di chi è diventato uomo, che gli permetterà di liberarsi da questo incubo. Non si può dire che questo film non risenta del passare del tempo, tanto che, soprattutto nella prima parte, vuoi per alcune espressioni del giovane, vuoi per la musichetta di sottofondo, più che suscitare paura, alcune scene risultano un po' ridicole. La seconda parte è più incalzante, perché la situazione per il giovane sembra compromessa e dovrà trovare quelle risorse interiori che gli consentiranno, anche grazie all'aiuto di una cameriera, di ribaltare la situazione. Il suo incubo, che può anche essere considerata l'incarnazione del male, ha il volto molto espressivo di un Rutger Hauer che, col suo ghigno irridente e diabolico, dà al film i connotati dell'horror. Ma la paura che si provo' all'uscita del film, è un lontano ricordo.
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