Abel

   
   
   

commedia assurda del micro- e macrocosmo Valutazione 3 stelle su cinque

di Filippo Gini


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giovedì 16 febbraio 2012

“La famiglia è il posto peggiore dove nascere”: la frase deve essere credibile perché la disse Freud ma è ancora più vera a giudicare dalla prima parte di questo strano film (1986), dalle atmosfere olandesi inusuali verso le latitudini mediterranee. C’è una famiglia - molto benestante, pasteggia sempre con pietanze di mare, composta da mamma papà e il figlio quasi 32enne Abel che ancora non si decide ad andar via di casa - ma è piuttosto un crogiolo di aggressività, solitudine e sofferenza, come tutta la società del resto, sembra suggerire il regista Alex Van Warmerdam. Vengono anche accennati i pregiudizi che opprimono questa famiglia e che sono comuni a qualche strato sociale: la classe operaia che puzza, i pasti più parchi che sarebbero proletari.
 
Abel è estenuante nel creare discussioni con suo padre Victor, che non sopporta il figlio, se ne vergogna, lo ritiene incapace e desidera da tempo che abbandoni la casa. La mamma, Duif, lo protegge e giustifica, in fondo ne è gelosa e le piace occuparsi di lui, o averlo sotto il suo sguardo. Giustificazione di questo è la presunta agorafobia del figlio, che non esce mai di casa e osserva la realtà con un binocolo spiando l’intimità delle finestre che attorniano la loro casa. Il padre per giunta non vuole una tv in casa e così Abel non si crea nemmeno un’idea virtuale del mondo e della vita. Pare che nulla cambi, con psicologi che lo visitano a domicilio, ma avanzano il dubbio che il problema risieda nei genitori. Le tensioni che si creano sono surreali, si dicono le cose più aggressive con un tono normale di voce; silenzi indecifrabili e una patina artefatta e costrittiva di tranquillità sembrano dominare, un vulcano che dovrebbe scoppiare. Viene invitata Christine, giovane amica di Victor col quale recita in un gruppo teatrale, questo spera che qualcosa possa nascere con Abel e preparano bene l'avvenimento perché la cosa accada, ma la ragazza fugge piangendo: memorabile e godibile la mangiata di aringhe penzolanti a cui l’imbarazzata ospite non prende parte.
 
Nella seconda parte il film volge alla commedia, un umorismo olandese che conquista mano a mano: qui ha luogo l’iniziazione di Abel - poco dopo essere stato cacciato di casa in malo modo da suo papà - con la spogliarellista Zus (avrà a che fare con Jus, succo?) che lo conosce nella pasticceria dove, guarda caso, ha conosciuto anche il padre di Abel, che la frequenta con profitto per l’anima e naturalmente per il corpo. Bellissima la scena in cui l’amante maturo la guarda dall’auto attraverso la vetrina del negozio e la sua vista è disturbata da una coppia che litiga: i guai altrui infatti non ci interessano, dobbiamo perseguire l’oggetto dei nostri desideri. Mamma e spogliarellista, ancora guarda caso, un po’ si assomigliano: “in carne” entrambe, donne latte e burro di pura razza olandese … Che padre e figlio abbiano cercato un surrogato di moglie e madre, l’una più giovane e fertile, l’altra meno opprimente? 

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