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albert
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sabato 15 febbraio 2025
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misteriosa india
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David Lean,nel 1984, ormai a fine carriera, si è misurato col romanzo di E. M. Forster "Passaggio in India", compito piuttosto arduo. Il film si basa sul raffronto tra due culture molto differenti, quella dei dominatori inglesi che perlopiù usa la forza per mantenere sottomessa l'India, con la sua cultura che si basa su una forte spiritualità. Due donne arrivano in India per andare a trovare un magistrato del tutto intollerante che ritiene che l'unico metodo per interagire con la popolazione sia far sentire la loro superiorità. L'una è sua madre, l'altra ne è la fidanzata. Da qui nasce in loro una forte curiosità di conoscere a fondo l'India più autentica.
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David Lean,nel 1984, ormai a fine carriera, si è misurato col romanzo di E. M. Forster "Passaggio in India", compito piuttosto arduo. Il film si basa sul raffronto tra due culture molto differenti, quella dei dominatori inglesi che perlopiù usa la forza per mantenere sottomessa l'India, con la sua cultura che si basa su una forte spiritualità. Due donne arrivano in India per andare a trovare un magistrato del tutto intollerante che ritiene che l'unico metodo per interagire con la popolazione sia far sentire la loro superiorità. L'una è sua madre, l'altra ne è la fidanzata. Da qui nasce in loro una forte curiosità di conoscere a fondo l'India più autentica. È un film molto solido, diretto con grande sicurezza e maestria da Lean. Anche grazie al dottor Aziz, le due donne sono molto affascinate da tutto quello che vedono, ma mentre l'anziana madre, interpretata da un'ineccepibile Peggy Ashcroft, solidarizza razionalmente con la gente del luogo, la giovane si suggestiona a tal punto, da perdere totalmente il senso della realtà e accusa, momentaneamente, il dottor Aziz di tentato stupro, per poi ritrattare. È un film costituito da atmosfere di mistero che vanno in crescendo, con lo scandagliare la psicologia dei personaggi, alle prese con una realtà sconosciuta. Aziz nella prima parte è zelante, molto sensibile alle gentilezze, a cui non era abituato, che riceve dalle donne, ma soprattutto da Fielding, insegnante di un college, il personaggio più progressista e umano della vicenda, poi, dopo l'accusa della giovane donna, appare risentito e non sembra più lui. Per una gran parte, il film scorre molto bene con un rifarsi al romanzo in modo da far emergere tutta quella tensione dovuta alla fascinazione di qualcosa di misterioso che nella giovane diventerà parossistico e immaginifico. Nel finale vi è un calo qualitativo causato da alcune scene poco riuscite, come quando viene scandito il nome dell'anziana signora, che nel frattempo è morta durante il ritorno in nave. Sembra che si sia un po' esaurita la verve narrativa e il racconto si banalizza nell'ultima mezz'ora circa, tanto che la valutazione più corretta sarebbe tre stelle e mezzo. Nel complesso si può parlare, però, di un bel film che in 2h 45' riesce a tenere desta l'attenzione, anche grazie a una bella fotografia che rende molto bene il mondo indiano coi suoi colori.
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marco michielis
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lunedì 21 dicembre 2015
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meraviglioso
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La grandezza di "Passaggio in India" sta tutta nel sapere coniugare alla perfezione il progresso e l'evolversi della Storia con il manifestarsi e lo schiudersi a poco a poco del sentimento e del conseguente dramma interiore. Questa convivenza di aspetti così distanti è, del resto, favorita e incoraggiata dal ruolo simbolico che i protagonisti si trovano ad assumere all'interno della vicenda: dalla signora e signorina inglesi, le splendide Peggy Ashcroft e Judy Davis, che, partite piene di speranze alla volta dell'India, come giustamente osserva Mereghetti, subiscono «la fascinazione sensuale esercitata dalla cultura esotica sull'animo britannico», al dottor Aziz, un colonizzato che neanche troppo inconsciamente aspira ad assomigliare ai colonizzatori, passando dal Professor Godbhole, il quale incarna proprio quell'esoterismo che tanto attrae le due donne e sembra quasi conoscere gli sviluppi del futuro, barricato nei suoi dogmi legati alla reincarnazione e al nirvana.
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La grandezza di "Passaggio in India" sta tutta nel sapere coniugare alla perfezione il progresso e l'evolversi della Storia con il manifestarsi e lo schiudersi a poco a poco del sentimento e del conseguente dramma interiore. Questa convivenza di aspetti così distanti è, del resto, favorita e incoraggiata dal ruolo simbolico che i protagonisti si trovano ad assumere all'interno della vicenda: dalla signora e signorina inglesi, le splendide Peggy Ashcroft e Judy Davis, che, partite piene di speranze alla volta dell'India, come giustamente osserva Mereghetti, subiscono «la fascinazione sensuale esercitata dalla cultura esotica sull'animo britannico», al dottor Aziz, un colonizzato che neanche troppo inconsciamente aspira ad assomigliare ai colonizzatori, passando dal Professor Godbhole, il quale incarna proprio quell'esoterismo che tanto attrae le due donne e sembra quasi conoscere gli sviluppi del futuro, barricato nei suoi dogmi legati alla reincarnazione e al nirvana.
Non è forse il più universalmente noto dei capolavori di David Lean, ma di certo uno di quelli che più si avvicinano a tale definizione, con la sua prodigiosa precisione e facilità di passaggio dalle classiche e magnifiche riprese paesaggistiche in panoramico ai primi piani ravvicinati che sanno descrivere i turbamenti emotivi in atto nell'animo dei personaggi, aiutati in questo anche dall'espressività e dal talento degli interpreti. Come dimenticare, infatti, Adela in lacrime all'interno della grotta che spegne con un soffio il fiammifero e osserva con il cuore gonfio di stupore e dolore per il sentimento nascente Aziz all'ingresso, oppure Mrs. Moore che si accascia dolcemente sulla via del ritorno in patria in una sorta di panismo che abbraccia anche le onde del mare e il cielo stellato...
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goldy
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sabato 11 aprile 2015
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una diversa lettura del mondo
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Tratto dal famoso romanzo di E.M. Forster, il libro fu pubblicato in Inghilterra negli anni '20 con l'intento di condannare il sarcasmo e la tronfia arroganza inglese. L'ideologia imperialista considera i paesi sottomessi come luoghi disabitati invece che abitati da popoli con una propria tradizione, una propria stopria, una propria dignità. Fioster che soggiornò a lungo in India fu conquistato dala cruda realtà indiana e dalla dolcezza dei musulmani di cui divenne amico. Il regista apporta qualche cambiamento rispetto al libro attenuando il risentimento verso i propri connazionali sottolinenado invece aspetti che hanno maggior rilevanza per la realtà contemporanea quali le difficoltà a superare le barriere razziali, culturali e religiose che invece la globalizzazione richiede e induce a riflettere su quanto pesanti siano i vincoli storici, geografici , razziali che rendono così problematici l'integrazione tra i popoli.
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Tratto dal famoso romanzo di E.M. Forster, il libro fu pubblicato in Inghilterra negli anni '20 con l'intento di condannare il sarcasmo e la tronfia arroganza inglese. L'ideologia imperialista considera i paesi sottomessi come luoghi disabitati invece che abitati da popoli con una propria tradizione, una propria stopria, una propria dignità. Fioster che soggiornò a lungo in India fu conquistato dala cruda realtà indiana e dalla dolcezza dei musulmani di cui divenne amico. Il regista apporta qualche cambiamento rispetto al libro attenuando il risentimento verso i propri connazionali sottolinenado invece aspetti che hanno maggior rilevanza per la realtà contemporanea quali le difficoltà a superare le barriere razziali, culturali e religiose che invece la globalizzazione richiede e induce a riflettere su quanto pesanti siano i vincoli storici, geografici , razziali che rendono così problematici l'integrazione tra i popoli.
Particolarmente mortificante è la definizione del personaggio interpretato da Alec Guinnes che nel film appare come personaggio insipiente e minore mentre nel libro è personaggio chiave per capire la complessità e la peculiarità della cultura indiana. Quando Mr Fielding gli chiede se ritiene Aziz colpevole o meno Godbole non ersprime alcun giudizio, non alza nemmeno un dito per l'amico che potrebbe essere salvato con il suo aiuto. Per un occidentale il suo sarebbe un compofrtamento ritenuto riprovevole. Non è così per un induista che ritiene che l'uomo non debba agire per cambiare il mondo. La condizione terrena è solo il necessario passaggio per ricongiungersi con una realtà spirituale al di sopra e al di fuori di noi. Inutili sono gli affanni e le preoccupazioni rispetto a una realtà il cui andamento viene deciso da forze a noi estranee e non condizionabili. Questo atteggiamento aiuta molto a capire il perchè della molta miseria e dell'indifferenza verso l'ambiente che caratterizza ancora oggi l'India.
Il film , rivisto oggi, recupera una sua freschezza proprio per l'attualità degli argomenti e per le riflessioni sulle difficoltà che rendonio i rapporti interculturali così complessi la cui soluzione fatica a fare appello alla razionalità e all'accettazione piuttosto che al rifiuto e al separatismo.
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mondolariano
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mercoledì 27 aprile 2011
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superiore al romanzo
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Film-fiume concepito come un colossal, che passando in India ha lasciato un segno anche nella storia del cinema. L’opulenza dei mezzi è solo un fondale che fa da cornice ad un complesso psicologico variegato, grandioso affresco storico e di costume, spinto nella marea montante di una natura selvaggia che a poco a poco si fa dramma. Superiore al romanzo originale (che è poco avvincente nel momento culminante nella grotta), esotico, plateale, impreziosito da centinaia di comparse autenticamente indiane e da un ottimo terzetto di protagonisti. Il medico Aziz, prima di tutto, cui lo sconosciuto Victor Banerjee fornisce una prova indimenticabile di recitazione. Il direttore del college Fielding (non il più celebre Alec Guinness, che interpreta invece la parte secondaria del filosofo), solidissimo nel ruolo di amico degli oppressi quale tagliente autocritica all’imperialismo britannico.
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Film-fiume concepito come un colossal, che passando in India ha lasciato un segno anche nella storia del cinema. L’opulenza dei mezzi è solo un fondale che fa da cornice ad un complesso psicologico variegato, grandioso affresco storico e di costume, spinto nella marea montante di una natura selvaggia che a poco a poco si fa dramma. Superiore al romanzo originale (che è poco avvincente nel momento culminante nella grotta), esotico, plateale, impreziosito da centinaia di comparse autenticamente indiane e da un ottimo terzetto di protagonisti. Il medico Aziz, prima di tutto, cui lo sconosciuto Victor Banerjee fornisce una prova indimenticabile di recitazione. Il direttore del college Fielding (non il più celebre Alec Guinness, che interpreta invece la parte secondaria del filosofo), solidissimo nel ruolo di amico degli oppressi quale tagliente autocritica all’imperialismo britannico. L’australiana Judy Davis, infine, dal viso carino non immune dal fascino dell’India misteriosa capace di evocare gli spiriti e confondere le idee (il terribile rimbombo delle grotte, le scimmie, l’incubo dello stupro, l’incontro onirico tra Aziz e l’anziana signora, il tutto suggellato dall’apparizione sporadica della figlia Stella prima dell’ultimo addio).
Da conservare in cineteca. Quattro stelle e mezzo.
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francesco2
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mercoledì 8 giugno 2011
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il raggio indiano
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In pieni anni '80, gli anni degli ivoriani "Camera con vista" e "Maurice", ma anche del "Raggio verde" rohmeriano, nasce questo (Vero?) cult-movie d'autore, che secondo qualcuno Ivory avrebbe girato meglio. Dal punto di vista della messinscena, talora approssimativa,forse è vero, ma ho i miei dubbi quanto ad implicazioni psicologiche.
La protagonista si affaccia per la prima volta ad un altro mondo (Geografico, ancora prima che culturale), accompagnata da una figura un pò convenzionale ma anche britannicamente sottile come la zia, proprio in un momento in cui deve fare luce sul SUO mondo, su cosa la spinga veramente a prendere certe decisioni,ammesso vadano prese. In realtà l'ALTRO non è neanch'esso originale in termini di personaggi,data la figura fondamentale dell' indiano mite ed innocente, che poi -Plausibilmente- nell'India degli anni'20 rischierà di essere vittima dell'arroganza degli stranieri.
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In pieni anni '80, gli anni degli ivoriani "Camera con vista" e "Maurice", ma anche del "Raggio verde" rohmeriano, nasce questo (Vero?) cult-movie d'autore, che secondo qualcuno Ivory avrebbe girato meglio. Dal punto di vista della messinscena, talora approssimativa,forse è vero, ma ho i miei dubbi quanto ad implicazioni psicologiche.
La protagonista si affaccia per la prima volta ad un altro mondo (Geografico, ancora prima che culturale), accompagnata da una figura un pò convenzionale ma anche britannicamente sottile come la zia, proprio in un momento in cui deve fare luce sul SUO mondo, su cosa la spinga veramente a prendere certe decisioni,ammesso vadano prese. In realtà l'ALTRO non è neanch'esso originale in termini di personaggi,data la figura fondamentale dell' indiano mite ed innocente, che poi -Plausibilmente- nell'India degli anni'20 rischierà di essere vittima dell'arroganza degli stranieri. In realtà, comunque, in quel contesto un pò prevedibile e bozzettistico emergono i fermenti della tensione, sia limitatamente al travaglio interiore della protagonista (Si pensi a quella scena, forse piuttosto plateale, dell'incontro (Sfiorato) scontro con le scimmie), sia a momenti in cui i cadaveri cui si era accennato sembrano veramente galleggiare nell'acqua.
Questa inquietudine del personaggio femminile mi ha suggerito il titolo per questa recensione: è come se per lei, come per la protagonista del bellissimo ed immortale film rohmeriano, il contatto con gli altri fosse un collage di momenti ed esperienze che la spingono a conoscere meglio sé stessa. Ciò che la distingue, però, è un'inspiegata ma magari non inspiegabile scelta di un capro espiatorio per trovarsi al centro dell'attenzione (Forse), o per sfogare su un rappresentante del sesso forte (Sic!) il disagio verso gli uomini: sarà per questo che cambia spesso idea sul proposito di sposarsi, o piuttosto come ho detto l'inquietudine che trapela all'esterno è una metafora dei tormenti che l'assillano?
E' a quel punto che l'opera di Lean assume un significato -Parzialmente- più esplicitamente sociale, dove la giovane inglese sperimenta (Quasi) sulla propria pelle i connotati di bestia che le persone possono assumere, come quelle scimmie che avevano rischiato seriamente di aggredirla, aggrediti a loro volta da uomini ancora più bestie di loro. Non mancano scene eccessivamente plateali, o parole di denuncia un pò retorica affibbiate all'indiano ("Lo so perché è venuto qua: voi indiani siete tutti uguali!", e il racconto appare un pò dilatato. Un esempio comunque di cinema che trasmette un messaggio e lo fa sostanzialmente bene,lasciando però il sospetto che "La mia Africa" fosse un esempio migliore, quanto a presa di coscienza e conoscenza femminilmente parlando, nei primi decenni del secolo scorso.
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