La scelta di Sophie

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Il passato doloroso di una donna che riaffiora. Valutazione 3 stelle su cinque

di Great Steven


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sabato 29 gennaio 2022

LA SCELTA DI SOPHIE (USA, 1982) diretto da ALAN J. PAKULA. Interpretato da MERYL STREEP, KEVIN KLINE, PETER MACNICOL, RITA KARIN, STEPHEN D. NEWMAN, GRETA TURKEN, JOSH MOSTEL, MARCELL ROSENBLATT ● Nel 1947 giunge dal Sud degli USA a New York il 22enne Stingo, la cui ambizione è diventare un famoso scrittore. Sistematosi in un condominio a Brooklyn, fa subito la conoscenza dei suoi due più singolari vicini di casa, Sophie Zawistowka, donna polacca scampata al campo di Auschwitz, e il suo compagno Nathan Landau, intellettuale ebreo che dice di essere un biologo, ossessionato dall’Olocausto e con una personalità esuberante ai limiti del geniale. I tre diventano ben presto amici per la pelle, ma Stingo, man mano che viene coinvolto nella turbolenta relazione fra Nathan e Sophie, in cui il primo sfoga periodicamente sulla seconda accessi di rabbia e gelosia, arriva a scoprire un’amara verità: l’uomo non è un vero biologo e soffre di schizofrenia paranoide, la quale si manifesta per l’appunto alternando momenti di gioviale ragionevolezza a situazioni dominate da impulsi distruttivi e provocatori, mentre Sophie nasconde un terribile segreto riguardante la sua prigionia ad Auschwitz. La donna, infatti, costantemente ossessionata dai ricordi e alla ricerca di un senso in un presente sfuggevole, fu costretta a scegliere quale dei suoi due figli (una femminuccia e un maschietto) portare con sé nel lager da un tormentato gerarca nazista, finendo per sacrificare la bambina a un destino crudele; inoltre, suo padre, considerato da tutti un uomo integerrimo, era in realtà molto vicino alle posizioni ideologiche del Terzo Reich e favorevole alla "soluzione finale del problema ebraico". La stessa Sophie si sente colpevole, poiché aiutava il genitore, professore all’università di Cracovia, nello scrivere i suoi libelli antisemiti. Durante la prigionia nel campo di concentramento, riuscì a salvarsi concedendo i propri favori al comandante Rudolf Hoss, del quale era segretaria, il quale le promise anche il rilascio del figlio, salvo poi mancare alla parola data. Tutti questi eventi vengono raccontati da Sophie a Stingo una volta che i due sono maggiormente in confidenza; poco dopo, il rapporto a tre continua, talvolta tranquillo, talvolta tempestoso, a causa dei continui cambiamenti d’umore di Nathan, che fa pure uso di cocaina. La vicenda sembra volgersi al meglio quando, dopo l’ultima sfuriata di Nathan, Stingo e Sophie fuggono e il ragazzo le chiede di sposarlo: la donna trascorre una notte d’amore con lui, ma scappa di nuovo la mattina successiva per ricongiungersi a Nathan, insieme al quale si suicida avvelenandosi. Al giovane aspirante scrittore non resta che riflettere per elaborare il dolore di questa tragica storia. Traendo la fonte primaria dall’omonimo romanzo di William Styron, A. J. Pakula dirige e scrive un film che si caratterizza innanzitutto per una calda emotività con cui impregna il carattere dei personaggi, elemento che si aggancia in modo credibile e puntuale alle loro azioni violente e autolesive (se si esclude in parte il personaggio di Stingo, il più equilibrato ma anche il meno convinto), nonostante la struttura narrativa, nel suo complesso, appaia molto diseguale e a tratti abbacinante per come espone il pathos della vicenda. Il triangolo dei protagonisti è giustificato dai reciproci sentimenti di sopportazione ed educazione alla sofferenza o si basa invece su un desiderio di compattezza, o meglio, di stare insieme malgrado il mancato superamento di difficoltà comportamentali? Al di là di questo complicato dilemma, è il dolore il deus ex machina di questo film che si prende alquanto sul serio, modellando situazioni imperfette ma riuscendo comunque al contempo a realizzare il non facile obiettivo di restituire dignità alle vittime della Shoah, il tutto senza moti di pietà verso i carnefici, ma anche con una condanna implicita ai sensi di colpa provati da Sophie. Non è un inno all’amore disturbato, naturalmente, ma neppure un apologo indiscriminato sul perdono da concedere a chi si è salvato da orribili barbarie storiche. Bellissima fotografia di Néstor Almendros. Debutto al cinema di K. Kline. M. Streep conquistò, grazie a questa interpretazione, il suo secondo Oscar e il Golden Globe 1983 per la miglior attrice in un film drammatico.

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