Oltre il giardino

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Being there, nothing Valutazione 5 stelle su cinque

di Lisbeth


Feedback: 15 | altri commenti e recensioni di Lisbeth
martedì 15 settembre 2009

Chance Giardiniere è un impeccabile cinquantenne,si muove compassato,si veste come un lord inglese con perfetto aplomb da high class,bombetta e ombrello sempre a portata di mano.Per gradi di avvicinamento successivi,capiamo infine trattarsi di un minus habens.Si occupa del giardino nella casa del benefattore, che l’ha accolto bambino e da dove non si è mai mosso.Tutta la sua esperienza del mondo passa dalla televisione, da cui raccoglie messaggi elementari e apprende una gestualità che applica poi meticolosamente alle varie situazioni.La morte del padrone lo proietta nel mondo esterno, di cui dovrebbe capire le regole mai apprese nel guscio ovattato della casa e del giardino.In realtà saranno gli altri a misurarsi con lui,immobile nella sua serena fissità,sempre sorridente o appena perplesso quando qualcuno o qualcosa sembrano spiazzarlo, ma è solo un attimo,subito la sua tranquilla e leggera immersione nel reale riprende e sono gli altri a chiedersi come mai non capiscono niente e lui invece sì.Scattano qui tutti i paradossi del film,che una regia raffinata conduce con mano leggera,il gioco metaforico è chiaro ma non scoperto,lascia godere del reale trascorrere della vicenda e l’accompagnamento sonoro,con vibrazioni alla Debussy,su cui a tratti si espande l’arrangiamento dell’Also sprach Zarathustra di Eumir Deodato,contrappuntano la pérformance di questa figura non sense,schizzata in puro stile magrittiano.Coerente con i suoi semplici schemi mentali,Chance vive relazioni sociali che filtra,depura, destruttura e riporta alla elementarità di un modo di interazione verbale assolutamente straniante per un mondo in cui le parole sono usate più per nascondere che per rivelare.Il caso lo mette sulla strada della moglie di Ben,magnate d’industria,consigliere del Presidente.Accolto nella loro casa, a contatto con le più alte sfere della finanza e della politica,Chance è un Candide che attraversa con l’ingenuità disarmante di chi ridà il vero nome alle cose tutto quello che gli si para davanti,fino addirittura a camminare,memorabile scena finale,sull’acqua di un laghetto che,dovendo essere attraversato,non gli crea problemi sul“come”,basta fare un passo dopo l’altro,magari girandosi verso lo spettatore,a metà strada,immergendo l’ombrello nell’acqua, quasi a dire “Cosa credete? E’ tutto vero”. Crede infatti,e punta le sue carte su Chance,tutto l’establishment di politici, finanzieri, teste quadre del giornalismo,un milieu di potenti a cui il nostro dice con assoluta naturalezza di non saper né leggere né scrivere,cosa interpretata come segno di saggezza e supremo distacco, studiato autocontrollo,promessa di grande avvenire.Ma il guscio è vuoto, oltre il giardino, being there,non c’è nulla,lo sguardo di Chance si accende di minime pulsazioni solo quando s’impadronisce di un telecomando.Compassato,educato e gentile,in realtà è un manichino cloroformizzato che trent’anni fa forse faceva sorridere,oggi fa paura.La sottile arguzia,l’ironia dei dialoghi,l’eleganza nel cogliere minime sfumature di volti e voci sono un lusso che non possiamo più permetterci,oggi che il massiccio condizionamento delle coscienze ad opera dei mass media e dei centri occulti del potere è fatto compiuto,non possiamo che ribadire, ancora una volta,che solo l’arte può interpretare e precorrere i tempi,a noi semplici uomini tocca subirli.Le ultime parole di Ben,pronunciate dal Presidente al suo funerale, “La vita è uno stato mentale”chiudono il film come un sigillo

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tarzanboy mercoledì 17 febbraio 2010
critica
67%
No
33%

Perché raccontare la trama fino a scoprire i dettagli che dovrebbero invece sorprendere piacevolmente lo spettatore? Perché svelare il bellissimo finale, ad esempio, ossia la "passeggiata" sull'acqua? Una recensione dovrebbe stimolare la curiosità, non raccontare tutto.

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