danko188
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mercoledì 9 marzo 2016
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storia di una ninfomane nell'impero giapponese
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Ecco l'impero dei sensi è tratto da un curioso fatto di cronaca avvenuto nel '36 secondo cui la vera protagonista Sada Abe (nel film Eiko Matsuda), avrebbe avuto una trascendente storia d'amore col padrone dello spizio in cui presta servizio (scusate il gioco di parole), Kiki Sam (Tatsuya Fukji).
Tutto il film nell'arco dei suoi 100 minuti di durata compie la rappresentazione sublimata di questo tumultuoso rapporto di coppia, senza che le immagini ci risparmino niente, tant'è che Oshima venne accusato di aver prodotto un autentico film porno da sempre ripudiato in patria, mentre da noi uscì nel' 78 una versione che quanto a doppiaggio lascia ampiamente a desiderare, ma veniamo al dunque.
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Ecco l'impero dei sensi è tratto da un curioso fatto di cronaca avvenuto nel '36 secondo cui la vera protagonista Sada Abe (nel film Eiko Matsuda), avrebbe avuto una trascendente storia d'amore col padrone dello spizio in cui presta servizio (scusate il gioco di parole), Kiki Sam (Tatsuya Fukji).
Tutto il film nell'arco dei suoi 100 minuti di durata compie la rappresentazione sublimata di questo tumultuoso rapporto di coppia, senza che le immagini ci risparmino niente, tant'è che Oshima venne accusato di aver prodotto un autentico film porno da sempre ripudiato in patria, mentre da noi uscì nel' 78 una versione che quanto a doppiaggio lascia ampiamente a desiderare, ma veniamo al dunque.
Dei due protagonisti non si sa granchè, anzi si sa quanto basta per far sì che la narrazione scorra senza intoppi: lei è una donna dal passato difficile, una geisha o prostituta o forse tutte e due le cose insieme; lui è il Johnny Depp del Sol Levante, marito infedele che gestisce la sua pensioncina riservando a chiunque gli capiti le proprie spudorate avances.
Il motivo che spiegherebbe in parte il rumoroso clamore di questo film credo sia da ritrovare nel fatto che essendo uscito nel lontano '76 aveva da mostrare effettivamente qualcosa a cui il pubblico orientale dell'epoca non era abituato, si ricordino in Europa gli allora scandalosi Ultimo tango a Parigi (1972) di Bertolucci e Salò (1976) di Pasolini.
Penso sia inutile parlare delle scene di sesso singolarmente dato che sono numerosissime e rivestono un ruolo di primo ordine, il film in sè è un continuo susseguirsi di immagini più o meno esplicite e sfrenate che danno vita a situazioni di grottesco voyeurismo come quella della vecchia che vernicia la staccionata.
La cura delle immagini l'ho trovata stranamente ben fatta, dico "stranamente" perchè in un film di questo genere passa in secondo piano, invece Oshima non ha preso nulla sotto gamba ed ha confezionato un film di tutto rispetto sotto questo punto di vista. L'ambientazione tipica nipponica è adorabile in ogni variazione cromatica, dagli esterni freddi agli interni caldi dove i protagonisti possono, incuranti di ogni cosa li circonda, impegnarsi in amplessi che definirei molto ben coreografati: in particolare uno nella sua semplicità, in cui lei gli sta sopra suonando allo shamisen una graziosa melodia giapponese, che un film con questo nome non può essere un valore aggiunto.
Come recitazione ho preferito nettamente lei a lui, che con quei sorrisini tutti uguali e prevedibili m'ha un po' scocciato. Tra le scene indimenticabili ne se sono almeno un paio, escluso il mirabolante finale, degne di essere omaggiate, quella in cui lei gioca con due bambini nudi e la si vede stringere psicoticamente il pene del piccolo pargolo inerme; e quella in cui Kiki Sam si addentra nelle lande desolate di una geisha 68enne dopo averne sentito audacemente il sapore.
La claustrofobia derivata da quegli spazi stretti e chiusi, pervasi dall'odore di sesso a cui i protagonisti sono abituati, è difficile che non generi idiosincrasia in chi è spettatore, si sente la mancanza di inquadrature larghe in spazi aperti a volte, ma non per una qualche eccessiva trasgressione o volgarità degli avvenimenti che non lo sono affatto, quanto della loro estenuante ripetitività. Sicuramente un fattore ricercato, però di gusto altamente discutibile, due scene in meno non avrebbero tolto nulla a mio avviso e la ninfomania della protagonista e l'ossessione per il membro del suo compagno, sin dalla scena in cui lui la accompagna stringendogli l'affare a mò di guinzaglio fa capire già tutto.
Voto 7.5
Danko188
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paolo 67
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domenica 6 novembre 2011
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la mistica dell'hard giapponese
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La parabola di Nagisa Oshima dalla ribellione ai padri della cultura giapponese ad una morale di saggezza e tolleranza comincia alla fine degli anni '50 e prosegue nelle fila dell'estrema sinistra fino al'68, nel quale però confluiscono già elementi della tradizione nipponica, come il fatalismo che Oshima individua nell'oscuro liberato da quel movomento, accumulato nell'inconscio da una generazione frustrata. A questa tradizione, dopo il fallimento delle pulsioni rivoluzionarie, ritorna Oshima pervenendo ad un'evocazione algida e suggestiva del passato con "L'impero dei sensi". Scambiato per un pornofilm, gli procura noie con la giustizia (non è mai uscito in Giappone).
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La parabola di Nagisa Oshima dalla ribellione ai padri della cultura giapponese ad una morale di saggezza e tolleranza comincia alla fine degli anni '50 e prosegue nelle fila dell'estrema sinistra fino al'68, nel quale però confluiscono già elementi della tradizione nipponica, come il fatalismo che Oshima individua nell'oscuro liberato da quel movomento, accumulato nell'inconscio da una generazione frustrata. A questa tradizione, dopo il fallimento delle pulsioni rivoluzionarie, ritorna Oshima pervenendo ad un'evocazione algida e suggestiva del passato con "L'impero dei sensi". Scambiato per un pornofilm, gli procura noie con la giustizia (non è mai uscito in Giappone). La sua claustrofobia dimostra la polemica assenza di realtà storica, il rifiuto di ogni dialettica con la storia in un Eros totale e totalizzante che si muove nel senso del recupero "maledetto" di una parte non recuperabile della ragione borghese, ma, forse, recuperabile dall'industria dello spettacolo: il film ebbe successo di scandalo al Festival di Cannes 1976 e poi in tutto il mondo, conquistandosi la patente di film pornografico "d'arte", di hard-core di lusso. In Giappone uscì solo in versione deformata come pornofilm d'importazione ed ebbe un processo (che Oshima vinse) per oscenità. L'interesse del pubblico medio (e della censura) fu attirato dall'hard in sè, non tanto dal visionario e dal delirante, elementi di continuità rispetto alla filmografia di Oshima che, questa volta in forma di hard-core, prosegue il suo discorso sull'alienazione sociale. Influenzato da Bataille riletto attraverso le componenti più sado-masochistiche della cultura giapponese, il film illustra minuziosamente, in maniera affascinante i rituali di possesso sessuale di quella realtà storica che il film polemicamente rifiuta. Tratto da un fatto di cronaca del 1936, il film è realistico ma non volgare e conserva una forza e un fascino nell'edizione integrale (in home video) superiori a quella manipolata uscita sugli schermi cinematografici.
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ilaskywalker
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venerdì 29 luglio 2011
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un film che non resterà 'dentro di me'
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Mah. Un film del genere non suscita in me coinvolgimento/empatia passionale, eccitazione, dolore: nulla. Comunica invece certamente in pieno lo svilimento del sesso, la consunzione, l'abitudine, il punto limite. Quasi la repulsione dall'atto, un ingranaggio più mentale che fisico che non puo' essere fermato. Apprezzabili un paio di frammenti senza audio, tra cui un primo brevissimo flash di omicidio immaginato dalla protagonista; al mio occhio risultano più poetici dell'intero insieme.
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paride86
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venerdì 8 ottobre 2010
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solo per lo scandalo...
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Andrò controcorrente, ma a me non è piaciuto per niente. E' un film porno, girato come un film porno, appunto, senza drammaticità e sentimenti, indipendentemente dalle scene esplicite.
Sarà anche ispirato ad una storia realmente accaduta, ma questo non cambia il valore del prodotto finale.
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paola di giuseppe
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sabato 21 agosto 2010
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"pratica della gioia dinanzi alla morte”.
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Oshima gira il film nel ’76 traendo da un fatto di cronaca del ’36 di una donna che tagliò il pene all’amante.Tanaka aveva girato due anni prima Abesada,l’abisso dei sensi,Bertolucci faceva uscire nel’72 Ultimo tango e il tema dell’amour fou investì l’occidente con conseguenze prevedibili sul piano censorio.La liberazione dai tabù sessuali era ancora lontana,anzi quelli furono anni più che mai inclini ad involuzioni moralizzatrici(ricordiamo il calvario di Pasolini). Bisogna tornare molto indietro per trovare nell’espressione artistica momenti di autentica libertà e riflessioni d’avanguardia sul tema della rappresentazione,pensiamo all’opera di George Bataille e alla teorizzazione dell’uomo come “separazione dalla totalità della natura”,e dunque la necessità del recupero di un’unità che passi attraverso la trasgressione.
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Oshima gira il film nel ’76 traendo da un fatto di cronaca del ’36 di una donna che tagliò il pene all’amante.Tanaka aveva girato due anni prima Abesada,l’abisso dei sensi,Bertolucci faceva uscire nel’72 Ultimo tango e il tema dell’amour fou investì l’occidente con conseguenze prevedibili sul piano censorio.La liberazione dai tabù sessuali era ancora lontana,anzi quelli furono anni più che mai inclini ad involuzioni moralizzatrici(ricordiamo il calvario di Pasolini). Bisogna tornare molto indietro per trovare nell’espressione artistica momenti di autentica libertà e riflessioni d’avanguardia sul tema della rappresentazione,pensiamo all’opera di George Bataille e alla teorizzazione dell’uomo come “separazione dalla totalità della natura”,e dunque la necessità del recupero di un’unità che passi attraverso la trasgressione.L’ordine stabilito dalla società è funzionale all’accumulo del capitale,trasgredirlo nell’eccesso di piacere e dolore assume le forme di un erotismo tragico che è “pratica della gioia dinanzi alla morte”.Una lettura del film di Oshima non può prescindere da queste considerazioni,pur tenendo conto del modo più libero rispetto agli schemi occidentali con cui l’oriente ha sempre trattato il tema erotico,non solo nel cinema.Si tratta dunque di reperire matrici unificanti all’interno di una problematica universale, che travalica il tempo e lo spazio.Oshima si pone su questo crinale con un film cruento e liberatorio, lento e ripetitivo nella ritualità del gesto amoroso.L’universo di Abe Sada e Kichi san si sviluppa in una camera chiusa e si restringe in una progressione erotica sempre più devastante,l’eros li domina in un’estasi ossessivo-compulsiva che non può che culminare nella morte,di lui,ma in fondo anche di lei,mantide che divora l’amante e si appropria del suo feticcio (il sesso di lui) con una cerimonia di evirazione celebrata con la necessaria compostezza di chi compie un rito,dopo il quale riposerà appagata al suo fianco,splendida nel lucido kimono grigio-argento,in un quadro di calda luminosità,equilibrio di linee, volumi e colori.I due amanti si isolano dal mondo in un’esperienza che non può coinvolgere altri se non inglobandoli (il rapporto sessuale con altre donne che attraversano quello spazio e che vengono come risucchiate dall’energia che da lì si sprigiona) “imperium” è parola che non lascia vie di fuga, è dominio totale e dunque l’esperienza dei sensi deve procedere fino in fondo.Cosa vuol comunicare Oshima?Ci sollecita ad una nuova morale presentandoci il sesso come esasperazione della solitudine dell’uomo?Denuncia l’illusoria convinzione di controllare la persona desiderata?Intende usarlo esclusivamente nella valenza simbolica di espressione dell’eterno scontro tra le pulsioni di vita e di morte?Forse tutto questo.Nel discorso di Oshima vanno anche reperite chiavi di lettura socio-politiche (forse non è un caso che il 1936,invasione della Manciuria da parte del Giappone,sia la data ricorrente anche in Furyo come momento significativo per la formazione del comandante Yonoi) ma qui la realtà storica sembra fagocitata dall’ individualismo,esasperato dalla ricerca di un piacere che supera di volta in volta i propri confini.Gli esterni,il mendicante,il vecchio preside con cui Abe si prostituisce,perfino la presenza dell’elemento infantile,ruotano intorno all’unico centro,la coppia e il loro congiungersi,che l’uso esasperato del primo e primissimo piano impongono continuamente.L’impero dei sensi,appunto.
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marco
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domenica 31 gennaio 2010
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onore al grande maestro
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ONORE A NAGISHA OSHIMA SONO LE PAROLE PER RINGRAZIARLO PER QUEL CHE LA SUA CINEMATOGRAFIA CI HA REGALATO.
L'IMPERO DEI SENSI E' UNO DEI TANTI CAPOLAVORI DEL GRANDE MAESTRO, ANCHE SE IL MIO PREFERITO RISULTA ESSERE "RACCONTO CUDELE DI UNA GIOVINEZZA".
DA UN FATTO DI CRONACA DEL 1936, IL REGISTA REALIZZA UN FILM INTIMO O MEGLIO UN SOGNO AD OCCHI APERTI.
UN SOGNO I CUI RICORDI DA SVEGLIO SONO GLI SCHIZZI DI PITTURA ALL'INTERNO DI UN QUADRO VIVENTE.
QUADRO VIVENTE E' IL GIUSTO ATTRIBUTO PER POTER PARLARE DELLE SUE PENNELLATE I CUI COLORI SONO FRUTTO DELLA SUA SUGGESTIVA INTIMA VISIONE.
IL SOGGETTO AL CENTRO DEL QUADRO E' LA PRESENZA SOFFOCANTE DEI CORPI NUDI DEI DUE AMANTI.
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ONORE A NAGISHA OSHIMA SONO LE PAROLE PER RINGRAZIARLO PER QUEL CHE LA SUA CINEMATOGRAFIA CI HA REGALATO.
L'IMPERO DEI SENSI E' UNO DEI TANTI CAPOLAVORI DEL GRANDE MAESTRO, ANCHE SE IL MIO PREFERITO RISULTA ESSERE "RACCONTO CUDELE DI UNA GIOVINEZZA".
DA UN FATTO DI CRONACA DEL 1936, IL REGISTA REALIZZA UN FILM INTIMO O MEGLIO UN SOGNO AD OCCHI APERTI.
UN SOGNO I CUI RICORDI DA SVEGLIO SONO GLI SCHIZZI DI PITTURA ALL'INTERNO DI UN QUADRO VIVENTE.
QUADRO VIVENTE E' IL GIUSTO ATTRIBUTO PER POTER PARLARE DELLE SUE PENNELLATE I CUI COLORI SONO FRUTTO DELLA SUA SUGGESTIVA INTIMA VISIONE.
IL SOGGETTO AL CENTRO DEL QUADRO E' LA PRESENZA SOFFOCANTE DEI CORPI NUDI DEI DUE AMANTI.
VISIONE CHE L'OCCHIO FILMICO PREDILIGE FINO QUASI A CANCELLARE TUTTO QUEL CHE VI E' INTORNO, DOVE L'APPETTITO SESSUALE NELLA SUA ESTREMA VERSIONE TENDE A DIVORARE L'INTERO SPAZIO SCENICO.
IL TURBINE SESSUALE E' IL VERO FULCRO DEL FILM, LA SOSTANZA CONCRETA DELLA PELLICOLA, DOVE LA STORIA DI CRONACA E' SOLO UN PRETESTO PER METTERE DIETRO LA MACCHINA DA PRESA UN CONCETTO DEL SESSO AUTODISTRUTTIVO IN CHIAVE ARTISTICA.
IL SENSO DI CLAUSTOFOBIA, LE INQUADRATURE QUASI TUTTE IN INTERNI SONO IL PREZZO PER METTERE IN RISALTO L'ATTO SESSUALE NELLA SUA TOTALITA'.
DAVANTI LA MACCHINA DA PRESA IMMOBILE, DIETRO L' OCCHIO VOYERISTICO DELLO SPETTATORE CHE NEL FILM SI IDENTIFICA CON QUELLO DELLE GHEISCHE CHE CANTANO E SPIANO NELLO STESSO TEMPO, SI CONSUMA LA GRANDE CERIOMIA DEL SESSO.
IL SESSO VISTO COME UN RITUALE, VISTO SENZA SBAVATURE, HA MOMENTI POETICI DI GRANDE VALORE, COME QUANDO LA BELLISSIMA EIKO MATSUDA CANTA CON VOCE MELODICA VICINO IL PENE DEL SUO AMANTE.
I FILM PERMISE AL REGISTA DI AFFACCIARSI ANCE NEL PUBBLICO EUROPEO, IN ITALIA VENNE CENSURATO IN MANIERA IGNOBILE.
"l'IMPERO DEI SENSI" E' FORSE IL FILM CHE MAGGIORMENTE METTE IN LUCE IL CARATTERE RIBELLE DEL REGISTA CHE CON IMMAGINI PROVOCANTI MA NELLO STESSO TEMPO VERI CAPOLAVORI ARTISTICI SFIDA NON SOLO IL VECCHIO CINEMA NIPPONICO COME QUELLO DI OZU, MA LA PROFONDA ANTICA TRADIZIONE DI VALORI DEL SOL LEVANTE.
IL PIU' IMPORTANTE E' IL RUOLO FEMMINILE ASSEGNATO A EIKO MATSUDA.
IN TALE RUOLO VEDIAMO SORGERE CON PREPOTENZA UN NUOVO MONDO CHE E' QUELLO FEMMINILE, CONCETTO QUASI IMPOSSIBILE DA CONCEPIRE NEL VECCHIO GIAPPONE DOVE LA FIGURA DELLA DONNA ERA TUTTA ALTRA COSA.
L'ESEMPIO E' PROPRIO NELLLA GRANDIOSA INQUADRATURA DELLO STRANGOLAMENTO.
INQUADRATURA CHE PERMETTE DI METTERE IN LUCE IL CONCETTO DI ROVESCIAMENTO DI RUOLI, VISIBILI NELLE POSIZIONI DOVE LA DONNA E' QUASI SEMPRE SOPRA L'UOMO CHE RIESCE A SOTTOMETTERE QUASI COME SUO SERVO.
IL RISCATTO DELLA FIGURA DELLA FEMMINA PADRONA, CHE VEDIAMO IN PREDA AL'ORGASMO, CHE GESTISCE IL RAPPORTO A SUO PIACIMENTO E' ILFULCRO PER MEGLIO COMPRENDERE QUESTO CAPOLAVORO
E' IL FILM CHE RIFLETTE ANCHE MAGGIORMENTE LO SPIRITO RIBELLE
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magpbi
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giovedì 28 gennaio 2010
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una bella metafora
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Film molto bello e terribile e direi ancora molto attuale.
Mi è parso un film «filosofico» quasi «sperimentale» dove lo scopo non era fare «cassetta» ma puntare l’indice contro lo spettatore che avesse avuto il coraggio di visionarlo (per non parlare di quelli che non lo vorranno vedere, come dirò più sotto). Non è certamente un film per tutti e non lo dico per le scene hard.
Il film si presenta ben presto, volutamente noiosissimo perché è di questo «mal dell’anima» che Oshima vuol parlarci e non solo!
C’è un giudizio severo verso le proprie radici culturali: più o meno il giudizio è «se si è arrivati a tanto, non è tanto perché si sono persi dei valori, ma perché non si è mai smesso di coltivare antiche ipocrisie».
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Film molto bello e terribile e direi ancora molto attuale.
Mi è parso un film «filosofico» quasi «sperimentale» dove lo scopo non era fare «cassetta» ma puntare l’indice contro lo spettatore che avesse avuto il coraggio di visionarlo (per non parlare di quelli che non lo vorranno vedere, come dirò più sotto). Non è certamente un film per tutti e non lo dico per le scene hard.
Il film si presenta ben presto, volutamente noiosissimo perché è di questo «mal dell’anima» che Oshima vuol parlarci e non solo!
C’è un giudizio severo verso le proprie radici culturali: più o meno il giudizio è «se si è arrivati a tanto, non è tanto perché si sono persi dei valori, ma perché non si è mai smesso di coltivare antiche ipocrisie».
C’è un contrasto tra l’ordine esterno e il disordine interno... tra la precisione maniacale della cura degli arredi e il capriccio maniacale della pulsione dei se(n/s)si! A ben pensarci un indizio lo dava proprio il titolo: impero! Come a dire «Signore e Signori, ecco la dittatura dei sensi»… «I sensi quando non sono controllati (da leggi superiori? costituzione? morale? valori autentici? ecc.) sono destinati a distruggere coloro che se ne lasciano guidare». In fondo è questo che accade con ogni totalitarismo: al suo “ordine esteriore” corrisponde un distruttivo “disordine interiore”! E tutto qui è espresso con una metafora presa in prestito da quanto più intimo col corpo (individuo, gruppo, società, nazione!), un uomo e una donna possano esprimere: il sesso! Così l’espressione dell’amore diventa l’espressione dell’odio; l’espressione della vita diventa la forma della morte; la forma dell’ordine (cosmos, cosmesi) diventa forma del caos. E qui la filosofia antica c’entra solo nominalmente!
Una bella provocazione al limite dell’insulto e forse ideologicamente va persino oltre con una condanna senza appello!
Non mi sorprende che a molti non piaccia: la “verità” (anche quella opinabile di un regista) fa male… e non mi stupisce che – con la scusa del porno – per quanto a mia conoscenza, a tutt’oggi in Giappone non conoscono la versione integrale ma solo quella censurata con una banda nera sulle scene hard!.
Qui mi viene un dubbio, forse con una probabilità di essere fondato vista la profonda conoscenza del regista della propria cultura e delle proprie leggi (vedi sopra il discorso sulla “legge”): può darsi che per scusare i propri connazionali (o per infierire ulteriormente?) Oshima abbia voluto fare un film palesemente “non visionabile” nel proprio Paese e in quelli che ne condividono l’ipocrisia perbenista che il film stigmatizza. Quasi a dire: «Io ve lo dico e ve lo mostro, ma voi non potrete (finché sarete quel che siete) né vederlo né sentirlo!». Anche in questo è a dir poco geniale e molto... biblico!
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paolo castracane
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sabato 15 marzo 2008
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l'impero dei sensi
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ottimo film dove si conosce la sensualità del paese del sol levante, cosa impensabile nel nostro paese.
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black dahlia
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giovedì 26 luglio 2007
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..il piacere di dare il piacere...
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Sulla base di un fatto di cronaca che sconvolse la Tokjo del 1936, il maestro Nagisa Oshima mette in scena l’eros estremo tra Kichi e la giovane cameriera Abe Sada, che riesce a realizzare il desiderio di possesso totale dell’amante/amato attraverso la sua morte, cui fa seguito l’ appropriazione delle parti virili .
Sin dalle prime sequenze del film, appare chiaro come le intenzioni del regista non siano quelle di rendere la trasposizione cinematografica meno estrema della storia reale. La pellicola ha un tocco spiccatamente erotico che, in alcuni tratti, potrebbe avere un retrogusto pornografico. La raffinatezza e la maestria della regia di Nagisa Oshima, tuttavia, sono tali da minimizzare questo effetto, esaltando, invece, il carattere sensuale, più che solo meramente sessuale, della relazione, probabilmente anche grazie ad una ambientazione intima di richiamo teatrale.
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Sulla base di un fatto di cronaca che sconvolse la Tokjo del 1936, il maestro Nagisa Oshima mette in scena l’eros estremo tra Kichi e la giovane cameriera Abe Sada, che riesce a realizzare il desiderio di possesso totale dell’amante/amato attraverso la sua morte, cui fa seguito l’ appropriazione delle parti virili .
Sin dalle prime sequenze del film, appare chiaro come le intenzioni del regista non siano quelle di rendere la trasposizione cinematografica meno estrema della storia reale. La pellicola ha un tocco spiccatamente erotico che, in alcuni tratti, potrebbe avere un retrogusto pornografico. La raffinatezza e la maestria della regia di Nagisa Oshima, tuttavia, sono tali da minimizzare questo effetto, esaltando, invece, il carattere sensuale, più che solo meramente sessuale, della relazione, probabilmente anche grazie ad una ambientazione intima di richiamo teatrale.
I sensi sono il tema dominante de “L’impero dei sensi” ed è giusto che ogni singolo elemento del film ne sia pervaso: attori che prestano il proprio corpo senza lesinare su nulla, musica, fotografia palpitante . Anche lo spettatore, durante la visione, potrebbe cominciare ad “ammalarsi” di sensualità.
L’obiettivo della macchina da presa è rapito principalmente da Abe Sada, dal suo viso, dal suo corpo, animati da un desiderio perpetuo che non conosce il significato della parola appagamento, il che la rende, in un certo senso, più protagonista rispetto a Kichi.
Inizialmente la coppia agisce come coppia, in una dimensione esclusiva creata dalla passione sfrenata che lega i due amanti. In un secondo momento Abe Sada si trasforma nell’amante che ambisce al possesso totale dell’altro. L’ossessivo ripetersi del rito carnale altro non è che un tentativo di essere totalmente e perennemente dentro Kichi, di afferrare ciò che dell’altro rimane inafferrabile, misterioso, esclusivo, individuale. L’omicidio e la recisione dei genitali sono due azioni fortemente simboliche mediante le quali la donna cerca di raggiungere qualcosa che le è precluso e che le è di ostacolo.
Kichi, d’altra parte, si adegua al percorso senza ritorno intrapreso da Abe Sada, offrendo tutto se stesso nel sacrificio estremo, animato solo dal piacere di dare piacere all’amante. L’incastro delle due personalità li rende una coppia perfetta, in cui nessuno lotta per assumere nuovi e diversi ruoli.
Abe Sada ama tanto Kichi da ammazzarlo e da appropriarsi dei suoi genitali di cui può, infine, essere unica padrona e custode e Kichi ama tanto Abe Sada da acconsentire di giacere con lei in un infinito abbraccio di sangue.
Merita un’ ultima considerazione, infine, la decisione del regista di inserire nel film una scena con chiaro riferimento politico, precisamente quella in cui Kichi cammina per strada diretto dall’amante e nella direzione della macchina da presa, mentre l’armata giapponese viene inquadrata di spalle mentre marcia nel verso opposto. Nagisa Oshima, regista molto impegnato politicamente e schierato a sinistra in opposizione al regime, non rinuncia a fare di questo film, che in ogni caso ha una dimensione individuale ed intima, un simbolo contro un sistema all’interno del quale una relazione dominata da amore, morte, eros e follia, non può trovare il giusto spazio.
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nazza
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venerdì 4 agosto 2006
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un autentico mostro sacro
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Raffinatezza, spettacolarità, estetismo, edonismo, eros: è una miscela esplosiva il film di Oshima. Questa pellicola è la massima espressione della consapevolezza artistica del regista giapponese, le sue scene possono risultare crude, forti ma mai volgari. Oshima cerca in tutti i modi di approfondire l'evoluzione erotica dei due personaggi coinvolti in un menage estenuante e libidinoso. Il film acquisisce quasi il valore di uno dei famosissimi horror di Dreyer; il giapponese, infatti, sfruttando le paure di un'intera società, tagliando i preconcetti del bigottismo e dell'ignoranza, prova a rifondare degli schemi etici sottolineando molti limiti della cultura contemporanea. E se invece il suo fine fosse diverso? Se il voler far notare gli inesorabili cambiamenti di una società non gli interessava? Se il suo unico scopo fosse stato quello di raccontare il suo speciale e unico eros? Se avesse platonicamente voluto riprendere i temi edonistici per poterli soltanto esaltare nuovamente? Anche se ritengo che quest'ultima ipotesi sia da scartare, qualunque sia la motivazione che abbia spinto il regista asiatico ad intraprendere la realizzazione del film, non possiamo che esserne contenti.
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