sir gient
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venerdì 23 gennaio 2015
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...ispirando ken ...
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Il regista non si discute, la sceneggiatura nemmeno...vogliamo parlare della fotografiaa? Nahhh non si discute nemmeno quella... forse i dialoghi, concisi, crudi limitati all'essenziale? no non direi... i dialoghi non si discutono...Quindi di cosa parliamo qui? Di un capolavoro, perchè di questo si tratta, assimilabile al genere western anche se la cosa sarebbe parecchio limitativa e restrittiva, questa meravigliosa incisione su pietra, questo piccolo tempio del costrutto cinematografico ci proietta in un passato remoto dove gli uomini già allora stufi del nascente progresso, stufi della politica, stufi della guerra, ma soprattutto desiderosi di libertà e di confrontarsi con se stessi, fuggono dalla civiltà per andare "into the wild" .
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Il regista non si discute, la sceneggiatura nemmeno...vogliamo parlare della fotografiaa? Nahhh non si discute nemmeno quella... forse i dialoghi, concisi, crudi limitati all'essenziale? no non direi... i dialoghi non si discutono...Quindi di cosa parliamo qui? Di un capolavoro, perchè di questo si tratta, assimilabile al genere western anche se la cosa sarebbe parecchio limitativa e restrittiva, questa meravigliosa incisione su pietra, questo piccolo tempio del costrutto cinematografico ci proietta in un passato remoto dove gli uomini già allora stufi del nascente progresso, stufi della politica, stufi della guerra, ma soprattutto desiderosi di libertà e di confrontarsi con se stessi, fuggono dalla civiltà per andare "into the wild" ....
La vita sulle montagne non è cosa facile, lo sa bene unghia d'orso e lo imparerà sulla propria pelle anche Jeremiah ...che verrà messo alla prova nell'orgoglio, nei sentimenti e nell'onore di guerriero.
Un film a mio avviso epico, che fa crescere sentimenti di lealtà, orgoglio e onore in chi lo guarda lo guarda e lo riguarda ancora... un attore H.F. che incarna, personifica e si fa portavoce di un "uomo vero" a cui ognuno di noi almeno una volta nella vita vorrebbe assomigliare.
Un film grezzo, rude, pieno di affascinanti silenzi che dicono più di mille parole, un'ispirazione per molti, tanto da far scorrere una matita su un foglio di carta a tracciare i contorni di Ken Parker (MIlazzo-Berardi) ...un consiglio... se non lo avete visto ....correte al cinema :)
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alessandro rega
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mercoledì 26 giugno 2013
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maledetto corvo rosso non avrai mai il mio scalpo
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Questo film del 1972, diretto da Sydney Pollack, è di genere western, però, esso è unico e inimitabile perché difficilmente si lavora a progetti di questo tipo e, quando lo si fa, si fallisce molto facilmente perché ci si perde e si cade nella banalità.
Questo film invece è tutt’altro che banale!
La vera forza di questa pellicola, a parer mio, è proprio nella sua unicità e originalità.
Un possibile grande problema poteva essere di non riuscire a fronteggiare una cosa di questo tipo ma Sydney Pollack ci è riuscito alla grande.
La trama è tutta incentrata su Jeremiah Johnson che va a caccia nelle montagne a nord degli U.
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Questo film del 1972, diretto da Sydney Pollack, è di genere western, però, esso è unico e inimitabile perché difficilmente si lavora a progetti di questo tipo e, quando lo si fa, si fallisce molto facilmente perché ci si perde e si cade nella banalità.
Questo film invece è tutt’altro che banale!
La vera forza di questa pellicola, a parer mio, è proprio nella sua unicità e originalità.
Un possibile grande problema poteva essere di non riuscire a fronteggiare una cosa di questo tipo ma Sydney Pollack ci è riuscito alla grande.
La trama è tutta incentrata su Jeremiah Johnson che va a caccia nelle montagne a nord degli U.S.A, il suo personaggio è molto importante, anzi oserei dire vitale per questo film.
Erano pochissimi quelli che osavano sfidare le montagne, lì non si incontrava mai due volte la stessa persona.
Almeno era così la stragrande maggioranza delle volte. Ma poi arrivò questo Jeremiah Johnson che osa tutto e riesce nell’intento.
Nelle montagne le probabilità di morte erano altissime soprattutto perché vi erano gli indiani selvaggi con cui fare ii conti. Jeremiah Johnson (che poi è un personaggio ispirato al militare John Johnson detto Mangiafegato) si crea una grande nomea tra gli indigeni perché riesce sempre a ucciderli dopo che loro gli avevano sterminato brutalmente la piccola famiglia che si era costruito. Sicuramente è molto interessante il rapporto tra gli indiani e i bianchi, i primi restano sempre i nemici però vengono presentati in modo diverso…sullo stesso piano dei bianchi, diversamente da come ci faceva credere John Ford nelle sue pellicole.
Questo film è rivoluzionario in tutti i sensi, è un film western ma per tutto il tempo i paesaggi, seppure siano sconfinati come di consueto, li troviamo innevati e il clima è sempre rigido.
Penso che questo film rappresenti in modo incantevole quella che era la vita dei trapper, sotto questo punto di vista credo che sia perfetto.
Una cosa che mi ha colpito molto è che non è come gli altri film…non cerca la bellezza estetica nelle immagini, nelle inquadrature o nei costumi…è bello per come è. Per esempio, i vestiti dei personaggi sono molto brutti e l’indiana, che nella storia è sposata con Jeremiah Johnson, non è una bella donna, al contrario, questo film colpisce per la sua “sfacciataggine” nel mostrare anche il ripugnante (a molti non piace la vita di artiglio d’orso interpretato da Will Geer e i suoi modi).
Perfino i paesaggi, anche se sono stupefacenti, non sono cercati per puro caso ma solo a scopo di enfatizzare alcuni aspetti.
Il personaggio di Jeremiah Johnson (interpretato da Robert Redford) è straordinario e memorabile come lo è questa pellicola che rientra sicuramente tra le indimenticabili.
Molti possono pensare che il fatto che durante il film rivediamo due volte gli stessi personaggi è male, ma io penso che Jeremiah Johnson abbia avuto ragione a dire
” le montagne rocciose sono il centro del mondo”.
La rivalità tra Jeremiah e i corvi rossi è accesa ma lui è molto più duro e non morirà mai…è un personaggio che rimarrà nella storia.
Ed ecco perché il corvo rosso non otterrà mai il suo scalpo.
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tashunka uitko
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martedì 8 marzo 2005
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cavallo pazzo
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al di la' della recensione, secondo me, bisogna capire il perche' i corvi o qualsiasi altra tribu' pellerossa, si accanisce cosi contro il malcapitato jeremia... fossi stato al suo posto, paradossalmente, non avrei mai accompagnato una carovana in mezzo ad un cimitero indiano. chi conosce la loro cultura e le loro credenze lo sa... in fondo è andato a cercarsela la vendetta indiana... MAI profanare un loro luogo sacro... come dargli torto dopo tutte le angherie subite dai wasitchu? angherie è un eufemismo... chi ha in cuore la causa indiana sa che le prime vittime del dominio e dell'espansionismo brutale degli americani lo hanno subitoi loro...
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domenico rizzi
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giovedì 18 dicembre 2014
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da nessun posto, verso nessun luogo
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Sono in molti ad avere visto in questo film – basato principalmente sul romanzo “Mountain Man” di Vardis Fisher - una biografia di quel John Johnson (o Johnston) del New Jersey che forse si chiamava Garrrison ed aveva avuto una vita avventurosa nel West, conclusasi tristemente nel 1900 in un ospizio della California. Il personaggio passò alla storia come “Mangiafegato Johnson", sembra per essersi cibato del fegato di alcuni indiani Crow da lui uccisi per vendicare la moglie, appartenente alla tribù dei Testa Piatta. In realtà di biografico c’è assai poco nel lavoro che Sydney Pollack diresse nel 1972, in piena epoca revisionista, quando troppo spesso la rivisitazione “critica” della storia del West finiva per accrescere la confusione, alimentando leggende parallele ancor meno credibili di quelle ufficiali.
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Sono in molti ad avere visto in questo film – basato principalmente sul romanzo “Mountain Man” di Vardis Fisher - una biografia di quel John Johnson (o Johnston) del New Jersey che forse si chiamava Garrrison ed aveva avuto una vita avventurosa nel West, conclusasi tristemente nel 1900 in un ospizio della California. Il personaggio passò alla storia come “Mangiafegato Johnson", sembra per essersi cibato del fegato di alcuni indiani Crow da lui uccisi per vendicare la moglie, appartenente alla tribù dei Testa Piatta. In realtà di biografico c’è assai poco nel lavoro che Sydney Pollack diresse nel 1972, in piena epoca revisionista, quando troppo spesso la rivisitazione “critica” della storia del West finiva per accrescere la confusione, alimentando leggende parallele ancor meno credibili di quelle ufficiali. Jeremiah Johnson (Robert Redford) è il protagonista della vicenda, un uomo solitario come tutti i trapper, che ha lasciato l’esercito per dedicarsi esclusivamente alla caccia sulle montagne innevate. Suoi unici amici, abbastanza occasionali, sono il cacciatore soprannominato Artiglio d’Orso (Will Geer) che attira un orso nella propria capanna per abbatterlo e lo spietato Del Gue (anche questa una figura storica meno nota, interpretata da Stefan Gierasch) che odia i Piedi Neri e verrà da questi sepolto vivo nella sabbia. Stanco di rocambolesche peripezie, Johnson accetta di prendere in moglie Swan (Delle Bolton) la figlia di un pacifico capo dei Flathead, ma la tranquillità famigliare finisce il giorno in cui i Crow di Mano-Che-Segna-Rosso (Joaquin Martinez) approfittano dell’assenza del trapper per uccidergli la moglie e il figlio adottivo Caleb, scatenando così la sua vendetta. La mattanza si conclude con una tregua fra Johnson e i suoi nemici. Prescindendo, come si è detto, dagli improbabili riferimenti storico-biografici a cui qualche critico ha accennato, il film è senz’altro fra i migliori della nuova èra del western, rinata intorno al 1969 con “Un uomo chiamato Cavallo” di Elliott Silverstein. Il ritmo è sostenuto anche quando l’azione imponga un’inevitabile lentezza, la sceneggiatura – di John Milius e Edward Anhalt – molto efficace, mentre la fotografia di Duke Callaghan riesce a trasportare lo spettatore nel maestoso scenario, quasi sempre innevato, delle Montagne Rocciose. La vita del solitario mountain man viene ritratta in maniera pressoché perfetta, l’azione gravita costantemente intorno all’uomo “che viene da nessun posto per andare in nessun luogo”. Il West di Pollack è una terra senza eroi, popolata di gente che ha come primo obiettivo la mera sopravvivenza in una natura ostile, nella quale il precario equilibrio instauratosi fra lo straniero dalla pelle bianca e le tribù indigene si frantuma non appena vengono violati alcuni tabù, come la profanazione delle tombe dei Crow in seguito al passaggio di una colonna militare. Girato fra le montagne dell’Utah, “Jeremiah Johnson” (titolo orginale inglese) costò appena 3 milioni di dollari, ma ne incassò 45. Fu anche il primo western ad essere ammesso al festival di Cannes. Come riconoscimenti, però, avrebbe meritato sicuramente di più.
Domenico Rizzi, scrittore
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elgatoloco
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venerdì 2 marzo 2018
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bel film leggendario
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Una delle leggende del West è questa di Jeremiah Johnson, personaggio realmente esistito, peraltro, protagonista della guerra tra States e Mexico del 1846-48, Johnson, detto"Liver-Eating"Johnson, che Sidney Pollack nel 1972 ha reso splendidamente(squarci scenografici, ma in realtà tutto, ogni particolare, anche quelli cruenti della guerra, della vendetta, della caccia), traendo spunto da un racconto("Crow killer"di Raymond Thurp e Robert Bunker) che si colloca tra la biografia e l'apologia del personaggio. Qui, però, siamo molto lontani dall'apologia leggendaria, rimane una leggenda che però non sottace gli elementi violenti, ma invero più che altro vendicativi del personaggio, senza in alcun modo"incensarlo".
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Una delle leggende del West è questa di Jeremiah Johnson, personaggio realmente esistito, peraltro, protagonista della guerra tra States e Mexico del 1846-48, Johnson, detto"Liver-Eating"Johnson, che Sidney Pollack nel 1972 ha reso splendidamente(squarci scenografici, ma in realtà tutto, ogni particolare, anche quelli cruenti della guerra, della vendetta, della caccia), traendo spunto da un racconto("Crow killer"di Raymond Thurp e Robert Bunker) che si colloca tra la biografia e l'apologia del personaggio. Qui, però, siamo molto lontani dall'apologia leggendaria, rimane una leggenda che però non sottace gli elementi violenti, ma invero più che altro vendicativi del personaggio, senza in alcun modo"incensarlo". L'interpretazione di Bob Redford è, come sempre, di altissimo profilo, con sfumature di estrema efficacia. Tutto è invero azzeccatissimo, tra mancanza di retorica, una sorta di"realismo fantastico"(il West è comunque spesso fantasia, proiezione, altro rispetto alla"realtà", in un'atmosfera che non è né può essere quello della ricostruzione storica, chiaramente. Antiretorico, "Jeremiah Johnson", persona non molto pia(non lo era, in senso cristiano, neppure il profeta da cui prende il nome), mostra anche e soprattutto la natura perfida dei Bianchi, comunque considerati da PollacK a buona ragione invasori e imperialisti. El Gato
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elgatoloco
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martedì 22 ottobre 2019
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titolo italiano fuorviante per un film"epocale"
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Parlare di film"epocale"è azzardato per molte opere cinematografiche, non per questo"Jeremiah Johnson"(1972, regia di Syndey Pollack), che in italiano è deinvtato improvvidamente"Corvo rosso non avrai il mio scalpo", quasi alludendo agli western"à la John Wayne"dove il cattivo è sempre il nativo americano, il buono invece il "buon"(nell'accezione dialettale, però, dove "buono"può spesso voler dire anche"fesso"), mentre quanto il film veicola(non dirò il"messaggio", a cui non credo)è porecisamente l'opposto, Jeremiah Johnson è un personaggio realmente esistito, un reduce dalla guerra tra States e Mexico di metà 1800 che, stanco della"civiltà"; fa a fare il"rapper"nei Rocky Mountains, certo incontrando la diffidenza iniziale dei"Nativi", poi invece.
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Parlare di film"epocale"è azzardato per molte opere cinematografiche, non per questo"Jeremiah Johnson"(1972, regia di Syndey Pollack), che in italiano è deinvtato improvvidamente"Corvo rosso non avrai il mio scalpo", quasi alludendo agli western"à la John Wayne"dove il cattivo è sempre il nativo americano, il buono invece il "buon"(nell'accezione dialettale, però, dove "buono"può spesso voler dire anche"fesso"), mentre quanto il film veicola(non dirò il"messaggio", a cui non credo)è porecisamente l'opposto, Jeremiah Johnson è un personaggio realmente esistito, un reduce dalla guerra tra States e Mexico di metà 1800 che, stanco della"civiltà"; fa a fare il"rapper"nei Rocky Mountains, certo incontrando la diffidenza iniziale dei"Nativi", poi invece... Il personaggio ha incontrato l'interesse di vari scrittori e anche qui il fo, è ispirato a due di loro, con il risultato che la sceneggiatura, opear in gran parte di John Milius, una"solida roccia"nel cinema mondiale, è probabilmente decisamente di livello superiore alle due fonti letterarie di partenza...il che non succede spessissimo, ma qualche volta indubbiamente avviene. Pollack ha contesutlaizzato le vicenda di Johnson , tra scontri e poi confronti anche pacifici con gli"indiani d'America", come si dice ancora con espressione rimandante a don Cristobal Cloòn alias Cristoforo Colombo, nella natura"sevlaggia"e particolarissima dei"rockY Mountains", notoriamente diversissimi dalle montagne europee e comuqnue singolari anche nella geografia e nell'orografia del continente detto"americanO". Decisamente importante, però, è la focalizzazione tra gli socntri e confronti tra gli umani, dove il "focus"è proprio qui, ossia sull'essere umani che caratterizza sia i"Bianchi"sia i "Nativi americani",c on mister Jeremiah che riesce, anche se a tappa, rpogressivamwnte, a conquistare la fiducia e la stima dei suoi avversari, poi invece "altro"nei suoi confronti, Bisognerebbe anche dire non poco della bravura di Robert Redford, qui decisamente al meglio delle sue potenzialità ma, per non incorrere nelle lungaggini relative alla citazione di tutto il cast, basterà dire che tutti e tutte gli(le interpreti sono assolutamwnte all'altezza di un film che segna un discrimine, insieme a"Blue Soldier"rispetto ai film western "classici"semza peraltro in alcun modo rincorrere le suggestioni è la Sergio Leone e degli"spaghetti-western", definixione peraltro logora quanto inadeguata, ma tuttora invalsa nell'uso corrente. El Gato
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