L'ultimo spettacolo

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Un film di Peter Bogdanovich. Con Jeff Bridges, Ellen Burstyn, Cloris Leachman, Timothy Bottoms, Ben Johnson.
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Titolo originale The Last Picture Show. Drammatico, durata 118 min. - USA 1971. MYMONETRO L'ultimo spettacolo * * * * - valutazione media: 4,13 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Il film delle transizioni Valutazione 5 stelle su cinque

di darkglobe


Feedback: 5773 | altri commenti e recensioni di darkglobe
martedì 24 febbraio 2015

Difficile scrivere una recensione su un film capolavoro che ha tra l'altro una strana genesi: Peter Bogdanovich, siamo nei primi anni '70, è un giovane critico cinematografico di soli 31 anni che ha già alle spalle un paio di lavori. In un negozio nota un libro The Last Picture Show ma leggendo il retro-copertina “Ragazzi che crescono nel Texas” lo scarta, salvo poi ritornarci sopra su suggerimento di un amico attore, Sal Mineo. Bogdanovich affida alla moglie Polly Platt una prima lettura del testo, dal quale ne esce poi fuori una sceneggiatura a sei mani, realizzata dallo stesso regista, dalla moglie (non accreditata) e dall’autore stesso del romanzo, Larry McMurtry.
 
L'ultimo spettacolo
è ambientato ad Anarene (Texas), nel 1951. Sonny Crawford (Timothy Bottoms), ragazzo che vive da solo per tenersi lontano dal padre impasticcato, e Duane Jackson (Jeff Bridges, scelto dal regista per la sua simpatia che avrebbe potuto mitigare la durezza del personaggio) sono due amici delle superiori, verso i quali gli adulti del paese imprecano per il loro scarso rendimento nella squadra di football del paese. Sonny è amichevolmente affezionato a Billy (Sam Bottoms), ragazzo con problemi mentali a cui tutti vogliono bene, ed ammira Jacy Farrow (Cybill Shepherd, giovane  modella scoperta per caso da Bogdanovich su una rivista di moda),  la ragazza più carina del paese, fidanzata con l’amico Duane.
Mentore di Sonny è il vecchio Sam il Leone (un grande Ben Johnson, perplesso per il ruolo troppo “verboso” che avrebbe dovuto interpretare ma che Bogdanovich riuscì a convincere grazie all’intercessione del “vecchio” Ford e alla “promessa” di una nomination agli Oscar, che effettivamente arrivò); Sam è un saggio ed ha ancora tra i suoi ricordi la passionale storia d’amore con una donna sposata del paese, che si rivelerà nel seguito essere Lois Farrow (una affascinante Ellen Burstyn) madre della bella Jacy; è inoltre il proprietario del cinematografo Royal, di una sala da biliardo e di un pub.
Nel piccolo e solitario paese texano regna una certa noia e l’unico vero svago è il piccolo cinema di Sam (ma la TV è già in arrivo nelle case) dove all’inizio del film Sonny e Duane assistono - con solo un anno di ritardo - a Il padre della sposa di Minnelli. I ragazzi di Anarene  si divertono come possono, tra pulsioni fisiche e scherzi giovanili; le donne di mezza età rincorrono la propria giovinezza che sta lentamente sfiorendo; gli anziani come Sam ripensano nostalgicamente al loro passato. A Natale Sonny, che si è da poco lasciato con una sua coetanea, diviene l'amante della quarantenne Ruth Popper (Cloris Leachman), depressa perché trascurata dal marito, il coach Popper (Bill Thurman) della squadra di football del paese e presunto omosessuale.  E’ al ballo di Natale che la bella Jacy viene invitata ad un party privato di ragazzi che si divertono “trasgressivamente” sguazzando nudi nella piscina di Bobby Sheen (Gary Brockette), giovane con buone prospettive di agiatezza, se confrontato allo squattrinato Duane. Jacy, tra le ire di Duane, va alla festa e si spoglia davanti a tutti, in una scena che provocò  il bando del film in alcuni degli stati USA. La ragazza, si avvicina poi maliziosamente al padrone di casa, il quale le chiede di ritornare da lui quando non sarà più vergine, fatto che indurrà Jacy a far l’amore con Duane in un motel e poi a scaricarlo.
I ragazzi del paese compiono una bravata con Billy, portato da una prostituta per la sua iniziazione, provocando l’indignazione di Sam, che li caccia dai suoi locali, salvo poi perdonare Sonny quando quest’ultimo, recatosi al pub, accetta dalla cameriera Genevieve (Eileen Brennan) un panino ed incontra lo stesso Sam, che comprende il suo affetto sincero per Billy. Quando Duane e Sonny decidono di passare un fine settimana in Messico, sono sostenuti dallo stesso Leone che offre loro perfino dei soldi. Al ritorno, già distrutti dall’alcol, vengono a sapere che Sam è morto d’infarto e che ha lasciato in eredità il cinema alla donna della biglietteria, il pub a Genevieve e la sala da biliardo a Sonny.
La bella Jacy nel frattempo sa che il facoltoso Bobby sposerà un’altra ragazza e si concede al cinico Abilene (Clu Gulager), amante della madre, che dopo un amplesso nella sala da biliardo la scarica frettolosamente. Quando la ragazza torna a casa la madre sente l’auto del suo amante e crede sia venuto a trovarla ma compare la figlia: si tratta di una sequenza di straordinaria recitazione in cui Ellen Burstyn esprime fisicamente e senza proferire parola diversi mutamenti d’umore, dall’aspettativa, alla sorpresa, alla consolazione e complicità materna. Jacy decide a quel punto di circuire Sonny, il quale non si fa problemi a scaricare la matura moglie del coach, dapprima frequentando la ragazza che ha sempre desiderato, fatto che provoca un furioso litigio con l’amico Duane, e poi sposandola segretamente. I due vengono però recuperati, di ritorno dal matrimonio, dai genitori separati della ragazza, i quali spediranno Jacy a Dallas, dove potrà ingabbiare, dopo le esperienze con i compaesani e seguendo l'esempio materno, qualche buon partito. Sonny è addolorato per il distacco definitivo da Duane, che partirà per la guerra in Corea, e con questi assiste all’ultimo film proiettato nella sala del cinema ormai in chiusura, Il fiume rosso di Hawks. Il povero Billy, mentre spazza la strada, finisce sotto un autocarro in una scena straziante in cui Sonny lo recupera e lo trasporta su un marciapiede, maledendo i camionisti che lo hanno investito. Distrutto dalla morte di Billy e dalla partenza dell’amico, Sonny, sopraffatto dagli eventi, torna da Ruth, l’unica che potrebbe almeno consolarlo:  lei prima lo aggredisce rimproverandogli la crudeltà con cui l’ha scaricata, poi i due si stringono la mano.
 
Il film di Bogdanovich è in tutti i sensi un film delle transizioni. Segna intanto il passaggio dal cinema “classico”, che il regista ha lungamente studiato nei suoi anni di critico, ad una nuova era di cui questo film marca l’inizio, pur essendo fortemente ispirato alla produzione degli anni '40 e '50, a cominciare dal tipo di riprese e dal bianco e nero (suggerito da Welles) che, oltre ad amplificare la profondità di campo delle scene, è un chiaro richiamo a quanto di buono ha insegnato la lezione hollywoodiana. Per cui ad atmosfere classicheggianti, che rimandano alla memoria certe visioni del grande cinema Western e dei grandi spazi o ancora dei saloon e degli eroi solitari, si contrappone la cruda rappresentazione senza veli e senza pretenziosi moralismi  (con una sincerità narrativa fino ad allora sconosciuta) della vita nascosta degli inquieti cittadini di Anarene  e del loro tentativo di fuga dalle angustie del piccolo paese texano. C’è quindi una seconda transizione, quella di un mondo, rappresentato da Sam, con la cui morte vengono spazzati via il cinematografo, ma anche le figure carismatiche di riferimento di un luogo di confine i cui abitanti già vacillavano moralmente nel tentativo di sconfiggere la noia e la piattezza della stanco ripetersi quotidiano, facendo ricorso a trasgressioni più o meno audaci il cui effetto, per la loro frequente goffaggine, era confermare quella frustrazione e quella immobilità fisica e mentale di un luogo angusto e senza vie d’uscita. Infine il passaggio dalla adolescenza alla maturità dei protagonisti segna la terza transizione che si accompagna alla fine del grande sogno americano, della sua innocenza e al passaggio verso l’imponente macchina da guerra di una nazione che sta evolvendo verso la sua nuova configurazione di potenza industriale (e militare) e verso il consumismo sfrenato di cui la TV, che vediamo comparire nel film in contrapposizione al cinematografo, segnandone la sua condanna, ne è il più significativo simbolo.
Nel film non prendono il sopravvento mai gli eccessi, non vi è finta retorica o enfasi pomposa ed ogni moralismo è messo alle spalle al punto che perfino le suggestioni che richiamano gli stilemi fantasiosi di certo cinema classico appaiono qui veritiere. Quello che di Bogdanovich colpisce è la ferrea regia, il controllo attento della realizzazione, la scelta quasi “scientifica” degli attori, la capacità dunque di tradurre concretamente in immagini assai efficaci il processo narrativo e le idee che sono alla base del film. Lo stesso montaggio fu curato per varie settimane dal regista, che evitò di farsi accreditare facendo sostituire il suo nome con quello di Donn Cambern.
Il film non ha una colonna sonora originale ma tutte le musiche, provenienti per lo più da radio e grammofoni (con lo stesso stile inizia anche E tutti risero…), sono canzoni dei primi '50. 
L’ultimo spettacolo fu inondato di nomination ed ottenne l’Oscar per i due attori non protagonisti, Cloris Leachman e Ben Johnson, ma moltissimi sono stati gli altri riconoscimenti, da quelli del National Board of Review Award fino al New York Film Critics Circle Award. Nel 2007 l'American Film Institute l'ha inserito tra i cento migliori film americani di tutti i tempi.

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aorla13 lunedì 5 ottobre 2015
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grazie mille per questa molto esauriente recensione che mi ha convinto a voler v edere questo film. Per il momento di Bogdanovich ho visto Daisy Miller che, malgrado l'eloquio 'a macchinetta' della Shepherd, ho apprezzato per la regia e mi ha spinto a cercare notizie in merito agli altri suoi film. Lo farò conoscere ai miei amici, anche se alquanto in ritardo.

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