Psycho

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Un film di Alfred Hitchcock. Con Janet Leigh, Anthony Perkins, Vera Miles, John Gavin.
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Titolo originale Psycho. Giallo, Ratings: Kids+16, b/n durata 109 min. - USA 1960. - Cineteca di Bologna uscita lunedì 10 ottobre 2022. MYMONETRO Psycho * * * * 1/2 valutazione media: 4,90 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

il Film Valutazione 4 stelle su cinque

di Flegiàs TN


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martedì 4 dicembre 2007

Sebbene nei titoli di testa si preannunci una linearità narrativa tipica del regista, così com’era accaduto per le linee che s’intersecavano nei titoli di Intrigo internazionale (1959) a meglio porre l’attenzione si comprende che si tratta invece di linee spezzate, di linee che non s’intersecano ma che si distanziano tra loro, come la personalità psicotica del protagonista. Sempre tenendo conto l’inizio di Intrigo internazionale, dove l’autore passava dalla folla al protagonista (tra essa selezionato) in questa pellicola invece la macchina da presa parte dal totale della città per entrare in uno spiraglio di finestra lasciato aperto, e non per scegliere il protagonista, ma per introdurre la prima vittima. È questo infatti uno degli aspetti più interessanti del film, che fa entrare in scena lo psicotico Norman Bates dopo che sono trascorsi oltre trenta minuti dall’inizio della pellicola. Passando dal thriller all’orrore puro (poi teorizzato meglio ne Gli uccelli (1963)), Hitchcock però non abbandona i temi a lui più cari: sono molto forti le componenti sessuali (si tratta sempre del difficile problema dell’emancipazione sessuale del protagonista), il tema della colpa e della punizione (sia di Marion che ruba i soldi che di Norman dopo che ha ucciso sua madre ed il compagno), il senso della vertigine (il sangue che cola è anche una citazione de La donna che visse due volte (1958) e che aveva nel titolo originale, Vertigo, l’ossessione esplicita del regista) e viene esasperato ulteriormente il tema del voyeurismo, in questa pellicola sempre più malattia (mentre in La finestra sul cortile (1954) la malattia era solo accennata nella gamba rotta di James Stewart). Ancora una volta ad essere messo sotto accusa è il matrimonio (se ne parla costantemente per tutta la prima parte del film) che sembra l’oggetto attorno al quale si complicano le esistenze dei personaggi (drammatico e folle quello che colpisce l’instabilità di Norman, ma altrettanto triste è quello che costringe Sam e Marion a non avere una relazione normale). Ispirato al romanzo omonimo di Robert Bloch (e adattato per il grande schermo da Joseph Stefano) il film è costruito in maniera davvero intelligente, soprattutto se si ascoltano attentamente i dialoghi tra Norman e Marion, dove viene tutto anticipato, sottilmente, sia l’omicidio della donna (paragonata agli uccelli impagliati) che la follia del ragazzo (che conosce bene i sorrisi e le lacrime del manicomio). Molto interessante è anche l’uso della voce fuori campo (nei primi piani di Marion quando si allontana con la sua macchina) capaci non solo di accrescere il senso di colpa (e paranoia) della protagonista, ma soprattutto di far evolvere la storia a Phoenix, senza nemmeno un’inquadratura girata. Il tema del denaro, all’apparenza centrale, è messo da parte a metà del film (Norman non se ne accorge e butta nella palude anche i 40.000$) dopo che gli viene consegnato un valore altamente negativo (è sia oggetto di tentazione, che di morte). La scena dell’omicidio di Marion Crane sotto la doccia (la shower sequence) è uno dei capisaldi del cinema, costruita con un montaggio serratissimo (sette giorni di riprese, 72 posizioni della macchina presa e soprattutto lo storyboard di Saul Bass) che non mostra mai il colpo che affonda, ma ottiene lo stesso violento effetto nella ferocia del montaggio (con quaranta inquadrature) e soprattutto nell’apparente quiete che cala dopo l’omicidio, con la macchina da presa che passa dall’occhio dell

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