Il corpulento direttore del circo Albert, dal quale il circo prende il nome, robusto e baffuto come un mangiafuoco, ci introduce a uno dei più bei film (per chi scrive) di Bergman, un film che segna una cesura rispetto al romanticismo dilagante delle sue precedenti e giovanili prove (Crisi, La prigione). Commedia nera, farsa, dramma sentimentale, diverse etichette di genere si possono tentare di affiggere a un ‘opera che è prima di tutto puro piacere per gli occhi, forse perché è da qui in avanti che il maestro svedese si avvarrà della preziosa e fortunata collaborazione con il suo direttore della fotografia Sven Nykvist, con il quale per onestà dovremmo dividere la metà delle fortune del cinema bergmaniano.
[+]
Il corpulento direttore del circo Albert, dal quale il circo prende il nome, robusto e baffuto come un mangiafuoco, ci introduce a uno dei più bei film (per chi scrive) di Bergman, un film che segna una cesura rispetto al romanticismo dilagante delle sue precedenti e giovanili prove (Crisi, La prigione). Commedia nera, farsa, dramma sentimentale, diverse etichette di genere si possono tentare di affiggere a un ‘opera che è prima di tutto puro piacere per gli occhi, forse perché è da qui in avanti che il maestro svedese si avvarrà della preziosa e fortunata collaborazione con il suo direttore della fotografia Sven Nykvist, con il quale per onestà dovremmo dividere la metà delle fortune del cinema bergmaniano. Già qui ci sono alcune prove magistrali sull’importanza e la perfezione della fotografia nel suo cinema, dall’ inquadratura iniziale e finale che riprende il carrozzone circense sul dorso di una collina all’orizzonte spostarsi al tramonto, fino al mirabile piano sequenza dove Albert, prostrato dagli insuccessi e dalla difficoltà del circo se ne sta seduto e pensa di spararsi, un piano sequenza con una panoramica di centottanta gradi alternato a dei primi piani che è una vera raffinatezza stilistica.
Il tema del fantastico e sgangherato mondo del circo e dei suoi protagonisti, è ripreso Bergman sulla scia del da poco precedente “Luci del varietà” di Fellini e Lattuada del 1951 (Una vampata d’amore è del 1953). Gli echi felliniani sono nella poesia dei tenerissimi e stralunati circensi. Mondo che serve specularmente al regista per mostrare il contrasto fra l’illusorietà dell’arte e la precarietà degli artisti viandanti, qui opposti nel doppio gioco e raffronto agli attori stabili di un teatro di provincia nella cui città il circo Alberti fa tappa. E’ proprio quella città dove abita la moglie abbandonata da Albert, lui che ha intrapreso la nuova avventurosa vita e che si è innamorato di Anne, la sua nuova compagna che fa la cavallerizza nello spettacolo. La gelosia di lei, quando Albert fa visita alla vecchia moglie dà il via all’intreccio e commedia degli equivoci che è anche come detto da Bergman stesso la causa scatenante dal film: la gelosia. Anne è convinta di essere stata abbandonata da Albert, quando in realtà lui è stato respinto dalla moglie, emblema della pace e tranquillità borghese a contrasto della precarietà del mondo artistico e delle tempeste delle passioni. E’ Anne in realtà che quindi per vendetta tradisce Albert con Frans, un attore del teatro. Inghippi, equivoci, sincronizzazioni mancate, come in Romeo e Giulietta, dalla quale non a caso Frans, sta recitando le ultime battute in prova quando Anne arriva da lui. L’elaborazione del trauma-lutto del tradimento è il motivo della successiva riflessione e disperazione di Albert che cerca un modo per superarlo oltre che rimediare al torto di onore subito.
La resa dei conti non può che aver luogo sul palcoscenico del circo, la vita stessa entra in scena nella bellissima e cruenta scena del combattimento fra Albert e l’attore, con Albert al quale viene fatta mangiare letteralmente la polvere del palcoscenico e lui che esce sconfitto dall’agone con il suo rivale d’amore che lo sbeffeggia, fino alla gran gazzarra finale, prima che le forme si ricompongano, il circo non si rimetta in moto fino alla prossima destinazione con Albert e Anne che nella scena finale sembrano perdonarsi tutto con un accenno di sorriso.
Il cinema di Bergman è piacere per gli occhi e sollievo per l’anima, la fotografia di Nykvist con la sua dilatata e tersa luce come i cieli del nord né è il medium essenziale. Questo film, uno dei primi del maestro svedese già una delle più belle e commoventi meditazioni sulla vita, sull’arte e sull’amore come solo un gran maestro può saper assemblare.
[-]
|
|