Crisi

   
   
   

una scelta obbligata

di figliounico


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sabato 18 febbraio 2023

Quattro personaggi ruotano intorno alla giovane protagonista, la madre naturale, una donna frivola superficiale ed egoista proprietaria di un salone di bellezza, quella adottiva, una persona semplice ed altruista maestra di musica, lo spasimante del paesello, un onesto lavoratore con i piedi per terra, l’attore sognatore e vanesio della grande città. Due coppie opposte e speculari che esercitano la loro forza attrattiva ed al contempo repulsiva sull’animo incerto della ragazza, posta davanti alla terribile scelta, la crisi, tra due modelli di vita, lacerata da forze interiori antagoniste, le ragioni dell’amore, che la trattengono presso la donna che l’ha cresciuta amorevolmente e che lei chiama mamma, e l’istinto del sangue, che la spinge a seguire la madre naturale che lei chiama zia, la coscienza che le impone di rimanere per gratitudine verso chi l’ha amata fin da piccola e le pretese dell’ego affascinato dalle promesse di una vita più ricca rispetto a quella che le si prospetta nel piccolo villaggio dove non accade mai niente, l’amore verso il poeta chiacchierone, che crea mondi immaginari coniugando sensualità e fantasia, ed il desiderio di un rapporto stabile e saldo con il concreto e protettivo lavoratore.
Il giovane Bergman mette in scena più che un dramma una commedia, forse, come annuncia la voce fuori campo, e nel suo primo film introduce il suo primo alter ego, il primo di una lunga serie fino al professore solitario, protagonista del suo ultimo film, Sarabanda. Questa volta a rappresentarlo è un comprimario, il giovane attore che inventa storie come fossero le sceneggiature di un film e guardando, dall’alto di una balconata, uomini e donne ballare in sala, commenta, anticipando il titolo di un suo film, come sembrino tutti marionette. L’alter ego si confronta con la sua stessa anima, la giovane donna al bivio. Il doppio di Bergman nel film: la sua coscienza, rappresentata dall’attore consapevole di essere soltanto un fantasma che cerca di aggrapparsi, ancorarsi alla realtà attraverso l’amore per la ragazza e la ragazza stessa, la sua anima, che dovrà infine scegliere, al di là dell’opzione pratica tra le due alternative di vita, tra la realtà ed il sogno.
Morto il sogno, tragicamente alla presenza di un misterioso signore vestito di nero ed emblematicamente davanti a un teatro che rappresenta l’arte, non rimane che la realtà, ma anche nella realtà, si lascia intendere nell’ultima sequenza, esistono scorciatoie per ingannare il tempo e la morte, annunciata dal dottore al personaggio della madre adottiva. La morte può aspettarci invano all’angolo di una strada dove non passeremo mai.
Il suicidio davanti al teatro ed al cospetto della figura misteriosa, l’uomo vestito di scuro, che forse rappresenta il destino, muto ed impassibile, simboleggia il tragico epilogo dell’altra scelta, l’altra crisi, speculare a quella della ragazza, che scorre nel profondo e che si può leggere in filigrana nella trama del film. E’ la crisi che attanaglia il giovane artista, lo stesso Bergman al suo esordio nel mondo del cinema, nella scelta tra la prostituzione della propria arte, ossia la necessità di venire a compromessi con la realtà per poter vivere una vita agiata e la libertà da ogni condizionamento che comporta inesorabilmente la povertà e la solitudine di una vita miserabile da artista fallito.
Il giovane attore si suicida perché incontrando il candore incorrotto ed ingenuo della sua anima, ovvero la ragazza, si vergogna di sé stesso, della propria corruzione morale e preferisce morire piuttosto che trascinare nel fango la sua intima essenza. Morendo l’attore, il poeta sognatore, e con lui Bergman e le sue aspirazione giovanili, lascerà la ragazza, ossia sé stesso, alla scelta obbligata di una vita reale, forse infelice ma concreta, senza la poesia immaginifica dell’arte pura ma solidamente ancorata alla prosaica realtà, rappresentata dalla vita matrimoniale con l’onest’uomo nel piccolo paesello, ma comunque venata da una sottile poesia che si manifesta nella tranquillità del paesello rurale, lontano dalla illusoria vitalità, dalla volgarità frenetica e materialista della città. Non a caso Bergman vent’anni dopo si ritirerà su di un isolotto, Faro, dove vivrà fino alla morte.

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