La corazzata Potėmkin

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Un film di Sergei M. Eisenstein. Con Alexander Antonov, Vladimir Barsky, Grigori Aleksandrov, Aleksandr Levshin, Andrei Fajt.
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Titolo originale Bronenose? Potėmkin. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 68 min. - Russia 1925. - Cineteca di Bologna uscita lunedģ 6 novembre 2017. MYMONETRO La corazzata Potėmkin * * * * 1/2 valutazione media: 4,58 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

il cinema come tragedia, e poi come farsa Valutazione 4 stelle su cinque

di ninoraffa


Feedback: 4238 | altri commenti e recensioni di ninoraffa
martedģ 6 marzo 2018

 Il tempo procede irreversibile dal passato al futuro, eppure contro le apparenze il futuro influenza e in qualche modo riscrive il passato. Due fatti c’impediscono di assistere a “La Corazzata Potëmkin” con l’imparzialità che la quasi centenaria pellicola meriterebbe.
Il primo è il crollo del muro di Berlino, travolto dalla ribellione dei popoli est europei nel 1989, da cui il definitivo discredito del comunismo che il film di Ėjzenštejn intende propagandare.
 
Il secondo fatto, meno capitale ma altrettanto influente, avviene nel 1976 ad opera di due soli uomini: Luciano Salce e Paolo Villaggio. I fatti sono notissimi: Fantozzi, già reduce da umilianti avventure al seguito del Mega Direttore Duca Conte Pier Carlo Ingegner Semenzara, è vessato dal professor Guidobaldo Maria Ricciardelli, fanatico cinefilo che almeno una volta a settimana abusa dei sottoposti costringendoli alla visione di raffinatissimi film d’essai. In coincidenza della partita Inghilterra-Italia, l’intero staff è precettato in sala per una pellicola cecoslovacca sottotitolata in tedesco; all’annunzio del suo mancato arrivo tutti scattano verso l’uscita, ma sono fulminati dalla notizia che in sostituzione assisteranno per l’ennesima volta a “La corazzata Kotiomkin”. Qualcuno crolla svenuto.
L’orecchio clandestino alla radiolina con i commenti di Martellini, la proiezione procede con grande soddisfazione di Ricciardelli, esaltato dal fermento per l’immortale capolavoro russo che crede di percepire intorno. Come d’uso, seguirà il dibattito; ed è a questo punto che Fantozzi erompe nell’altrettanto immortale grido “la corazzata Kotiomkin è una cag*ta pazzesca!”, capeggiando l’insurrezione che porterà al sequestro di Guidobaldo Maria – malmenato e costretto alla visione di volgarissimi film di cassetta, tipo Giovannona Coscialunga – nonché al pubblico rogo della venerata pellicola sovietica.
All’alba del terzo giorno – curiosa resurrezione – le forze dell’ordine, agli ordini del Direttore dei Direttori, irromperanno nella sala con i lacrimogeni. La spontanea sollevazione contro le crudeli vessazioni cinefile imposte dal padronato, finisce con Fantozzi e gli altri rivoluzionari costretti, manu militari, a replicare ogni sabato pomeriggio la scena della scalinata di Odessa, fino all’età pensionabile.
 
“La corazzata Potëmkin” – il film vero – viene commissionato nel 1925 al ventisettenne Ėjzenštejn, già distintosi come propagandista bolscevico. Figlio del celebre architetto modernista autore di splendidi edifici a Riga ed Helsinki, Sergej ha studiato ingegneria prima di votarsi alla psicologia, all’estetica e quindi alla causa comunista. Quando inizia le riprese,Lenin è morto da un anno lasciando la Russia in una drammatica transizione. Stalin si accinge a liquidare nel sangue la sinistra di Trockij e la stessa Nuova Politica Economica del suo predecessore. In un clima d’indottrinamento e di sempre maggior presa del partito sulla società, il Comitato Governativo per le Celebrazioni della Rivoluzione del 1905, ingaggia il giovane regista con espliciti intenti celebrativi.
 
Conosciamo le trappole delle opere a tesi, e quanto facilmente finiscano presto nei cestini. Invece Ėjzenštejn, nonostante il cattivo presagio della citazione di Lenin in apertura, riuscirà a realizzare un pezzo di storia del cinema.
Il soggetto ricostruisce reali accadimenti. Agl’inizi del novecento la Russia zarista versa in una grave crisi economica e sociale, esasperata dalla sconfitta nella guerra col Giappone. Nelle principali città avvengono sommosse operaie e studentesche, che lo Zar Nicola II affronta  alternando la repressione poliziesca a reticenti e ritrattate riforme. In questo contesto esplosivo, l’equipaggio della corazzata Potëmkin, di stanza nel Mar Nero, dopo essersi ammutinato appoggia gl’insorti di Odessa.  
 
Strutturato nei cinque atti della tragedia classica, La corazzata Potëmkin possiede la trama essenziale del miglior cinema degli albori.
Sulla corazzata viene imbarcata carne avariata che i marinai rifiutano; il disumano  comandante Golikov ordina di fucilare chi non mangerà innescando l’ammutinamento. I rivoltosi prendono la nave mettendo fuori combattimento gli ufficiali, ma durante gli scontri  muore il loro capo, il marinaio Vakulinchuk. Quando il suo corpo viene sbarcato ad Odessa la gente fraternizza con gli ammutinati, protestando contro il regime e i nobili che affamano il popolo. Intervengono i cosacchi che sparano sulla folla inerme lungo la celebre scalinata; la corazzata reagisce distruggendo a cannonate il loro quartier generale, ma poi deve prendere il largo alla notizia dell’arrivo della flotta zarista. In mare aperto la Potëmkin affronta forze preponderanti, ma le navi lealiste non osano aprire il fuoco; quindi può attraversare trionfante lo schieramento avversario, salutata dal tripudio rivoluzionario dei marinai sulle altre navi.
 
Reduce dal precedente lungometraggio “Sciopero”, il registra russo applica a “La corazzata Potëmkin” le sue innovative teorie tecniche finalizzate al massimo impatto sullo spettatore. Montaggio serrato, stacchi improvvisi, dettagli simbolici, particolari raccapriccianti, ripetizione dell’azione drammatica, inversione dell’ordine naturale della sequenza, sospensione e ripresa della stessa azione, sono usati per coinvolgere – e condizionare – il pubblico.
Alla maestria tecnica Ėjzenštejn unisce altre qualità:  la poesia nella scena delle barche a vela che abbracciano la Potëmkin nel porto di Odessa, l’occhio pittorico nei primi piani, il controllo compositivo delle scene di massa, l’invenzione di alcune figure memorabili. La più celebre – il neonato in carrozzina che rotola fuori controllo lungo la scalinata – suscita angoscia e trepidazione, e insieme sollecita il pensiero verso l’intera umanità sempre in fasce sballottata lungo la china accidentata della storia.
 
I limiti dell’opera, pure innegabili, sono legati all’intento propagandistico e al suo tempo. La recitazione eccessivamente teatrale tipica dell’epoca, è funzionale ad un pellicola voluta dalla committenza per il grande pubblico e quindi per necessità conforme ai gusti correnti.
L’esclusione della fiction e lo sviluppo documentaristico del soggetto rispondono alla volontà educativa verso le masse e al pregiudizio totalitario verso fantasia e invenzione, intese come elementi di distrazione, futili se non deteriori.
Noi rifiutiamo che letteratura, cinema, e l’arte in generale, possano o debbano innescare rivoluzioni; e forse non crediamo più nemmeno alle rivoluzioni. Ėjzenštejn, come il suo tempo, la pensava diversamente. Noi simpatizziamo per Vakulinčuk e per le sue ragioni, ma sappiamo pure che da quel sacrificio non è scaturito un mondo migliore, ma Stalin, il Grande Terrore, i gulag e tutto l’armamentario delle idee assassine che hanno insanguinato il ‘900.
 
Al netto dell’impianto ideologico e degli artifici, “La corazzata Potëmkin” rimane comunque una pellicola capitale che resiste e s’impossessa delle opere successive, comprese quelle che aspirerebbero a cancellarla. Salce e Villaggio prendono in ostaggio Ėjzenštejn contro l’esibizionismo pseudo culturale di certa intellighenzia nostrana dai libri incomprensibili, dibattiti fumosi e cineforum soporiferi; ma sono senz’altro consapevoli che l’intera saga di Fantozzi racconta in chiave diversa la stessa storia della Corazzata. Il sessantotto era fresco, e nel ’76 le brigate rosse, oltre a sparare, dilaniavano politica e coscienze nel nostro paese. Il Mega Direttore Galattico Duca Conte sembra nascondere il Comandante Golikov; Fantozzi, i Filini e i Calboni sono la ciurma vessata dagli ufficiali e il popolo di Odessa caricato dai cosacchi; le gerarchie della Megaditta, con i loro titoli sempre più nobiliari, sono la sadica aristocrazia russa fino allo Zar; Fantozzi, una volta tanto dignitoso e ribelle, e comunque vittima sacrificale, è il marinaio Grigorij Vakulinčuk.
 
Salce rigirò due volte la più famosa sequenza del film russo: sul serio per la scena del cineforum, non potendo usare per motivi legali le sequenze originali; e in chiave grottesca nella scena punitiva. Lo fece con rispettosa cura, non indispensabile al genere di film che stava preparando, replicando alcune inquadrature e altri dettagli di Ėjzenštejn.
Fantozzi interpretò nella parodia l’improbabile neonato della carrozzina, che una perfetta signorina Silvani in gramaglie spinge verso il suo destino, cadendo fulminata dalla fucileria zarista.
La storia – diceva proprio Marx – accade due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. La regola vale anche per il cinema. Anzi, forse, vale solo per il cinema, dato che la storia ha spesso il vizio d’insistere con la tragedia.

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luceccarelli martedģ 25 settembre 2018
quando la critica segue il luogo comune
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Scrivere una recensione di un film soffermandosi tanto sulla sua citazione in un orrendo film di serie C non č parlare di cinema, ma di costume. Č pessimo esempio di costume da rotocalco

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