Cut

Introdotto alla passione del videomaking fin dall'infanzia, Max è un giovane reporter al quale viene affidato il compito di introdursi nella cellula anarco-insurrezionalista dei "giovani turchi" al fine di documentarne storia e linea politica. Per portare a termine la sua inchiesta, ha sperimentato un particolare paio di occhiali in cui è installata una minuscola telecamera in grado di registrare tutto quello che vede senza essere visto. In seguito a un evento che sarà chiarito solo alla fine, molti dei filmati saranno utilizzati per comporre un documentario sulla sua vita.
La storia di un protagonista ossessionato dall'atto del vedere fornisce ai tre registi la ghiotta occasione per confezionare un lavoro in cui si sommano alcuni dei maggiori e imperituri crucci filosofici legati al mezzo cinema. Basti pensare che Cut, già programmatico il titolo con riferimento diretto al taglio della pellicola/vita, assurga tanto alla definizione di found footage movie quanto a quella di mockumentary vero e proprio: è solo attraverso il mare di filmati ritrovati, infatti, che un (falso)documentario si è potuto montare, interpolando cioè i materiali di vita vissuta con gli interventi di famigliari, sociologi, psicologi, amici e persino di un biografo (il libro "venduto" come biografia, Freewheelin'. A ruota libera, è in realtà il romanzo di esordio di Nico Di Lalla). Lo statuto stesso della narrazione, per fortuna, giustifica il ricorso continuo alle riprese in soggettiva, altra imperitura moda da studente di cinema e, forse, il nocciolo stesso dell'operazione di tre registi che dimostrano di aver assimilato i maggiori classici sui "guardoni" cinematografici da L'occhio che uccide in giù.
Autori anche della sceneggiatura, Riccardo Romboli, Giulio Valli e Nico Di Lalla firmano un piccolo lavoro di produzione indipendente in cui mettono la loro passione per il cinema senza alcun filtro, con la conseguenza di licenziare un film troppo ambiziosamente teorico sull'atto del guardare e, dunque, anche sul cinema come possibilità di immobilizzare la vita nel suo scorrere.
Considerata la materia in cui ci si muove, viene il legittimo sospetto che l'idea di scegliere l'espressione "giovani turchi" non derivi dal movimento nazionalista dell'impero ottomano, ma dall'attribuzione della stessa "qualifica" alle leve più oltranziste dei Cahiers du cinéma. Anche se non risulta innovativo a livello concettuale, ha un ritmo capace di riservare i suoi momenti di suspense. 