Sylvie's Love

New York, 1958. Robert, giovane sassofonista, arrotonda suonando di notte nei club di jazz e lavorando come commesso di giorno in un negozio di dischi di Harlem. Ma più dei vinili e Sylvie a sedurlo. Figlia del proprietario, la ragazza è promessa a un altro ma non disdegna la corte di Robert, che una notte d'estate la bacia e la invita a volare a Parigi con lui. Per Sylvie quell'amore è troppo grande, quella vita troppo lontana. Sotto le pressioni della madre, lo lascia andare, senza dirgli nulla della sua gravidanza e promettendogli di aspettarlo. Ma poi vivranno spaiati la loro vita, almeno fino a quando il destino non ci metterà naso e cuore.

Genere scomparso, la commedia dei sentimenti anni Cinquanta ritorna sul grande schermo con Tessa Thompson e Nnamdi Asomugha.

Eugene Ashe esplora con loro l'impatto di un glamour fiabesco e di una qualità quasi sovrannaturale di eleganza. Ispirato dalle fotografie di Gordon Parks e dalla sofisticata silhouette di Nancy Wilson, "stilista della canzone", l'autore adotta un'estetica ideale cullata dal jazz. Intorno alla protagonista del titolo e alla fotogenia di Tessa Thompson costruisce coreografie che esaltano la leggerezza dell'amore all'inizio di un sogno che sappiamo bene dove andrà a parare.

Quello che non sappiamo invece è quante e quali variabili possano accanirsi per impedire il raggiungimento della sua realizzazione. Che poi il racconto si concluda con l'happy end è sostanzialmente marginale e l'effetto consolatorio del tutto secondario rispetto alla dinamica che lo precede. È tutto lì il godimento del genere, la specificità del genere. La nostra eroina ha intorno il più chiuso dei recinti: regole, imposizioni, divieti e a letto presto. Sylvie deve spuntare tutte le caselle che la società e sua madre hanno appuntato sul suo carnet di donna rispettabile e rispettata. Siamo nel 1958...

A incarnare l'interdizione è Erica Gimpel, la Coco di Fame, che ha sempre sognato per sé un ruolo drammatico. Ashe l'accontenta affidandole un personaggio spigoloso a cui oppone la rotonda solarità della Thompson, che consuma la sua piccola ribellione, galleggiando tra i doveri coniugali e il diritto di fare carriera in televisione. In una sola estate, la protagonista vive la sua educazione sentimentale. Una breve stagione che la trasforma da silhouette in soggetto, cosciente del proprio desiderio.

New York è un altrove dove non piove mai e il tempo si misura non con gli anni ma con le rotture e le riconciliazioni. È la quinta scintillante di un amore che arriva, procede in crescendo ma non può compiersi e illanguidisce in ricordo. Poi il destino fa il resto, disegna geometrie imperscrutabili, e ritrova gli amanti. Ancora e ancora.

Magari non è Todd Haynes, che ha abbracciato il genere per esplorare temi sessuali e razziali impossibili da trattare negli anni Cinquanta (Lontano dal paradiso, Carol), ma Eugene Nashe ha comunque il merito di risorgere un genere 'romanzesco' che faceva sognare, coi suoi amori 'di ritorno' e le delizie degli abbracci, e sovente piangere coi suoi addii dimessi e gli incontri struggenti.

Da qualche parte tra commedia e melodramma romantico, Sylvie's Love chiede allo spettatore contemporaneo la pazienza di essere assorbito, non per il plot, basico e convenuto, ma per l'articolazione di un'estetica evidentemente démodé. Al cuore di Manhattan due protagonisti neri, un uomo e una donna a cui il regista permette di vivere, lavorare ed esistere senza che la razza diventi costantemente la forza determinante della loro vita. È piuttosto l'amore a catalizzare il respiro del film e quello dei suoi protagonisti.

L'interpretazione modesta di Nnamdi Asomugha è riscattata dalla perfetta eroina di Tessa Thompson, esuberante e appassionata dentro i costumi d'epoca e dietro i sorrisi che le donne 'indossavano' anche quando piangevano. Non ha mordente Sylvie's Love ma trova la sua ragion d'essere soprattutto nella musica che lo accompagna e lo conduce verso il territorio del film musicale, dove la felicità è uno stato sospeso e una fiduciosa speranza. 