Edge of Democracy - Democrazia al Limite

Film 2019 | Documentario 113 min.

Regia di Petra Costa. Un film Da vedere 2019 con Dilma Rousseff, Michel Temer, Eduardo Cunha, Luiz Inácio Lula da Silva. Cast completo Titolo originale: The Edge of Democracy. Genere Documentario - Brasile, 2019, durata 113 minuti. - MYmonetro 3,58 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento mercoledì 5 febbraio 2020

La storia della politica brasiliana degli ultimi anni. Il film ha ottenuto 1 candidatura a Premi Oscar,

Consigliato sì!
3,58/5
MYMOVIES 3,50
CRITICA
PUBBLICO 3,65
CONSIGLIATO SÌ
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Trailer
Un film circolare, emotivo e tagliente che racconta con un taglio personale la deriva autoritaria in Brasile .
Recensione di Raffaella Giancristofaro
mercoledì 5 febbraio 2020
Recensione di Raffaella Giancristofaro
mercoledì 5 febbraio 2020

Aprile 2018, San Paolo: acclamato dalla base elettorale per le sue politiche sociali e le origini di sindacalista e metalmeccanico, Luíz Inacio Lula da Silva (Lula), già presidente del Brasile dal 2003 al 2011 (dopo tre tentativi falliti, nel 1989, '94 e '98) nonostante le proteste dei suoi sostenitori deve consegnarsi alla giustizia per effetto di una condanna in primo grado in seguito all'inchiesta sull'operazione "Lava Jato", "autolavaggio", nel senso di corruzione tramite tangenti della compagnia petrolifera nazionale Petrobras, e di riciclaggio. Uno scandalo che ha travolto non solo il suo partito (PT, Partido dos Trabalhadores, dei lavoratori, fondato, anche da Lula, nel 1980), ma anche la parte avversaria, ovvero esponenti del PSDB (Partito della Social Democrazia Brasiliana, nato nel 1988). E che continua, nonostante la scarcerazione di Lula a film finito, a perseguitare l'ex presidente per vie penali.

È un'emergenza nazionale, l'ultimo atto di una strategia articolata dalla destra parlamentare, iniziata con l'impeachment di Dilma Rousseff (succeduta a Lula) intrapreso sulla base di presunti brogli elettorali e accuse sproporzionate che rievocano il sinistro termine di "golpe".

Ma per la regista si tratta anche di una questione familiare, di un'alternanza tra una generazione che ha inseguito la ricchezza e un'altra che ha lottato per la libertà di tutti contro il capitale.

Nipote di un imprenditore edile tra i più noti del Paese e figlia di militanti entrati in clandestinità durante la dittatura, Petra Costa puntella il suo diario con il suo commento vocale e le immagini casalinghe, per marcare la dimensione soggettiva, orgogliosamente privata, delle sue riflessioni (in linea con i due film precedenti, Elena, del 2012, e Olmo e il gabbiano, diretto con Lea Glob, a Locarno nel 2015). Al tempo stesso va in cerca delle voci della piazza, nelle manifestazioni e - fatto abbastanza eccezionale - registra molti momenti sia a latere, off the records, che nel cuore, spesso convulso, del dibattito parlamentare.

Nel farlo ricostruisce il rapido, inarrestabile sabotaggio del meccanismo democratico. Uno sgretolamento progressivo delle regole (i cui pericoli si intendono e si estendono ben oltre i confini del Paese) che paradossalmente viene trasmesso alle masse sotto forma di una diretta fluviale, spettacolare: a volte su megaschermi nelle piazze, a cercare l'effetto emotivo nelle folle, dentro un sistema di concentrazione dei media che Lula stesso si rimprovera di non aver saputo limitare.

È proprio in una ripresa televisiva della cerimonia di insediamento ufficiale di Rousseff che Costa individua, nella postura delle mani del vicepresidente Michel Temer, il segnale di una congiura incombente delle vecchie oligarchie travestite da nuove destre populiste, che nel 2019 hanno trovato in Jair Bolsonaro il rappresentante più consono a ripristinare un'involuzione sessista, razzista, di repressione poliziesca del dissenso. Il tutto a soli 25 anni dal ripristino del regime democratico, dopo un ventennio di dittatura (1964-84) che anche Dilma Rousseff ha vissuto, affrontando la tortura.

Un film circolare, emotivo e tagliente, di parte e ansiogeno, che si muove tra la forma di inchiesta a distanza ravvicinata dai leader e agghiaccianti atmosfere shakesperiane: perfettamente evocate dai movimenti di macchina muti e spettrali nello spazio della vuota residenza presidenziale di Brasilia, il Palácio da Alvorada, le riprese aeree e altrettanto fluttuanti del palazzo del Congresso e quelle notturne con la trascrizione delle intercettazioni telefoniche tra politici.

Gli edifici di Oscar Niemeyer usati come emblemi, analoghi architettonici di una forma politica e di una concezione dell'uomo nuovo che, in una nazione segnata dalla schiavitù e dallo sfruttamento dei pochissimi sui molti, parrebbe condannata all'utopia, a non realizzarsi, se non per brevi lampi, nella Storia. Una minaccia che va a tempo con l' inquietante altalena di festa e funerale dello strumentale che corre sui titoli di coda, a chiudere una serie drammatica di domande terrorizzate, che attendono risposta: l'ipnotico Canto de Ossanha di Vinicius de Moraes e Baden Powell. Presentato al Sundance nel 2019, candidato agli Oscar 2020.

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mercoledì 5 febbraio 2020
Raffaella Giancristofaro

L'impeachment di Rousseff e l'epurazione di Luna nel documentario candidato all'Oscar. Su Netflix.  Vai all'articolo »

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