È noto come Truffaut abbia tentato di organizzare il proprio immaginario secondo la forma e il pathos della cultura conosciuta e preferita, ma sappiamo percepire benissimo le crepe e le ferite che la realtà ha finito per imprimere in filigrana a questa missione in qualche modo pazzesca. Il peso specifico dell'opera è, ovviamente, importante: ma come anteporlo a un percorso umano, purtroppo stroncato in piena maturità, tra i più avvincenti e commoventi, balzacchiani che sia dato conoscere nell'arte dei nostri tempi?
Da un'infanzia tormentata all'adolescenza che sfiora la delinquenza, passando per il fuoco cinéfilo da autodidatta; pupillo dell'intellettuale André Bazin e poi discepolo di giganti della cinepresa come Renoir, Cocteau, Hitchcock o Welles, François ha via via incarnato un individualismo feroce, l'accanita volontà di pensare con la propria testa, l'odio per le mode e le idee socialmente e politicamente corrette, il sostegno militante agli autori (di libri o film) prediletti, un bisogno momentaneo di far gruppo (il cartello degli ex critici dei Cahiers), poi nuovamente l'avventura solitaria della messa in scena e infine la nascita dell'équipe dei Films du Carrosse, con lo spirito familiare che vi regnò dal 1957 sino alla fine.
Per cogliere il perfetto equilibrio che nei suoi film (da Jules et Jim a L’ultimo metrò, da Effetto notte a La signora della porta accanto) esiste tra l'anima d'autore e la vocazione popolare - incarnato in questo parlare di cinema per alludere alle proprie emozioni - serve dunque un'angolazione critica che recuperi i punti caldi dell'incrocio tra la finzione e la biografia. Il cinema stesso, che non può limitarsi alla facile verosimiglianza, perché la sua essenza non è riprodurre bensì rivelare.
I corpi, come elementi primari, irriducibili del desiderio e specchi di trasformazione nell'implacabile trascorrere del tempo. Le donne, collegate agli elementi primordiali (acqua, luce, terra, fuoco) che ne sottolineano la superiorità sentimentale ed erotica. Lo sfondo e la scena, infine, che nonostante la precisione delle ricostruzioni finiscono col risultare sempre simbolici, perché proprio nel loro ambito si attiva il processo che fonde il vissuto con il raccontato, l'intellettuale con il sentimentale, l'ordinario con l'eccezionale.
Da Il Mattino, 21 ottobre 2004