Carlo Di Palma è un attore italiano, regista, sceneggiatore, fotografo, è nato il 17 aprile 1925 a Roma (Italia) ed è morto il 9 luglio 2004 all'età di 79 anni a Roma (Italia).
Che buona idea. L'Efa, cioè la European Film Academy, associazione che raccoglie le personalità del cinema del vecchio continente e che ogni anno assegna gli Oscar europei (purtroppo nella generale indifferenza dei media comunitari, più interessati ai premi made in Usa che a quelli nostrani), ha annunciato che, a partire da questa edizione, il premio per la miglior fotografia sarà intitolato a Carlo Di Palma.
Un ricordo importante di un grande cinematographer che ci ha lasciato quattro anni fa. E, attraverso il ricordo di lui, un riconoscimento a un'intera scuola di grandi maestri della luce cinematografica, da Tonino Delli Colli a Vittorío Storaro, ai più giovani e bravissimi della nuova generazione. Basta un piccolo elenco dei titoli dei film firmati come direttore della fotografia da Carlo Di Palma (che è stato anche uno spiritoso regista), per capirne il profilo eccezionale e la bravura: sperimentatore fin da giovanissimo, ca pace di lavorare con un parco luci ridotto, ha debuttato sedicenne come assistente operatore sul set di Ossessione, di Luchino Visconti. È poi diventato il direttore della fotografia da cui nacquero le luci di L'Armata Brancaleone di Mario Monícelli. Fu ancora lui, assieme a Michelangelo Antonioni, a inventare la modulazione tutta speciale dei colori di Deserto rosso e l'atmosfera di Professione reporter, e a scegliere i toni solari di dodici film con Woody Allen, da Hanna e le sue sorelle a Tutti dicono ai love you...
E forse non tutti i signori dell'Efa lo sanno, perché non tutti hanno avuto la fortuna di conoscerlo personalmente, ma il premio, The Carlo Di Palma European Cinematographer Award, è anche il riconoscimento a un uomo generoso, buono e divertente (diceva Woody Allen che, quando c'era Carlo intorno, non sentiva più il bisogno di andare in analisi), sempre gentile, nato da una modesta famiglia romana (ma che bello, figlio di una fioraia, e viene da pensare che la sua maestria con il colore derivi anche da ri), incapace di vantarsi del suo successo e della sua celebrità. Una persona speciale, che ci manca, e che questo premio, speriamo ben assegnato, ci tiene più vicino.
Da Il Venerdì di Repubblica, 14 novembre 2008
Leggero, come la luce che voleva catturare. Così capitava di vedere Carlo Di Palma ai festival del cinema. Preferibilmente vestito di bianco, candida negazione del colore o invece summa dei diversi colori. Resta il fatto che fu proprio Carlo a convertire definitivamente Woody Allen al colore. Prima il cantore di Manhattan cincischiava, quasi indeciso, con una propensione al bianco e nero per i titoli più importanti (Manhattan, Stardust Memories, Zelig, Broadway Danny Rose, e La rosa purpurea che alterna colore e bianco e nero). Poi arriva Di Palma con Hannah e le sue sorelle per suggellare un matrimonio variopinto durato undici film e diversi anni. Ma come era arrivato Carlo Di Palma a diventare il genio della lampada di un geniaccio del cinema come Woody Allen? Per questo bisogna risalire a molto tempo prima. Quando Carlo nasce a Roma (ed è qui che ieri è morto a 79 anni), anzi nel cuore di Roma, il 17 aprile 1925. La mamma vende fiori in piazza di Spagna. E forse il destino ha già tracciato i suoi stravaganti percorsi. Piazza di Spagna, da sempre, è il luogo più cinematografato di Roma, compare in centinaia di film, sottolineando il mutare dei costumi, dei tempi e anche dei modi. Poi c'è quel film che qualche anno dopo qualcuno realizza di là dall'oceano, con una fioraia protagonista: Luci della città di Charlie Chaplin. Infine ci sono i fiori, i colori da accoppiare, il gusto e la raffinatezza nell'accostare, nel trasmettere emozioni cromatiche. Forse Carlo ancora non lo sa, ma il suo destino è segnato. E per sua fortuna è un destino positivo. Si aggira curioso nella città che sta cercando di curare le ferite di una guerra devastante, lavora per apprendere. Nel 1951 riesce finalmente a mettere l'occhio dietro la macchina da presa. Il film è Achtung! Banditi! di Carlo Lizzani. Di Palma non è ancora direttore della fotografia, è solo l'operatore, ma impara ancora. Per qualche anno. Poi, nel 1956, è lui a comparire come direttore della fotografia. Il film è Lauta mancia di Fabio DeAgostini, un film che forse non sarebbe mai entrato nella storia del cinema se non fosse stato per il suo esordio. Poi di nuovo alterna qualche lavoro come operatore, probabilmente per pagare le bollette, perché non viene da famiglia facoltosa, con altre direzioni. L'anno di svolta è il 1960. Prima con L'impiegato di Gianni Puccini, poi con La lunga notte del `43 di Florestano Vancini, seguiti l'anno successivo da L'assassino di Elio Petri, Divorzio all'italiana di Pietro Germi, Leoni al sole di Vittorio Caprioli.
Ma il vero salto qualitativo si verifica qualche anno più tardi. Michelangelo Antonioni sta per girare Deserto rosso. Sino a quel momento il maestro ha girato solo in bianco e nero, quando Carlo Di Palma viene chiamato a curare la fotografia succede qualcosa e le sue scelte cromatiche arrivano addirittura a determinare il titolo del film. Segno che la conversione di Woody non è stata un episodio isolato.
E con Antonioni inizia un rapporto di stretta collaborazione che porta alla realizzazione di capisaldi della storia del cinema. Dal segmento «Prefazione» di Tre volti (1965) a Blow up (1966), Identificazione di una donna (1982). Ma non si vive di solo Antonioni, nel 1966 è la volta di Mario Monicelli è la sua Armata Brancaleone che si affidano al talento visivo di Di Palma. E Monicelli lo rivuole per La ragazza con la pistola, protagonista Monica Vitti. Un nome non casuale perché Monica e Carlo creano un rapporto stretto, spingendo Di Palma a diventare regista, un po’per caso, un po’per capire meglio come funzionasse la macchina cinema. Tra il 1972 e il 1977 Di Palma firma la regia di tre film: Teresa la ladra, Qui comincia l'avventura e Mimì Bluette fiore del mio giardino, tutti con Monica Vitti protagonista. Non sono titoli indimenticabili, ma neppure tra quelli da snobbare con sufficienza. Vitti e Di Palma nei rispettivi ruoli di competenza sono anche apparsi nell'escursione italiana di Miklos Jancso, La pacifista. A questi si aggiungono collaborazioni con Sordi, Bertolucci e altri. Con tutte queste credenziali Carlo è ormai un direttore della fotografia di statura internazionale, per questo lavora con Bruno Barreto su Gabriela (1983), ma ormai è in agguato Woody Allen, divoratore di cinema europeo, cultore dei grandi maestri europei. La bulimia produttiva di Woody coinvolge anche Carlo che viene quasi risucchiato in esclusiva per diversi anni. Ma il fiuto e il talento sono rimasti inalterati, visto che riesce a lavorare con Il mostro Benigni, piccolo grande segno di sensibilità tra un Allen e l'altro. Recentemente si era dedicato a altri progetti, come il documentario dal titolo sintomatico Un altro mondo è possibile, dedicato ai movimenti no global, e all'utilizzo della luce in ambito artistico, per esempio curando l'illuminazione di piazza della Signoria a Firenze. Attualmente stava lavorando al progetto di illuminazione di una serie di concerti per le Basiliche di Roma.
Da tempo era compagno di Adriana Chiesa, messaggera di cinema italiano nel mondo con la sua azienda che vende il made in Italy cinematografico all'estero. Una coppia imprescindibile, salvo impegni di lavoro, in ogni festival che si rispettasse. Entrambi costretti all'eleganza, dal ruolo e dal gusto che caratterizza chi opera in certi ambiti. Ma forse il Carlo che preferiamo ricordare, oltre che quello che tanti capolavori ci ha regalato dal suo «particolare punto di vista», è proprio quello che era «nato» in piazza di Spagna. Con la mamma fioraia, anche perché era uno degli aneddoti, ricordi che più amava citare. Forse qualcuno ricorderà una delle sequenze iniziali di La ragazza dell'orecchino di perla. La giovane protagonista viene studiata perché deve essere presa a servizio dalla famiglia Vermeer, il famoso pittore. E la ragazza di modeste origini mostra un suo particolare talento, la sua sensibilità la porta a cogliere con grande intensità il valore e il senso dei colori e degli accostamenti. Lo fa tagliando delle verdure. E rapisce il pittore che successivamente la trasformerà in un qualcosa che va molto oltre la modella, ma una complice e una consulente della creazione artistica. Ecco, Carlo Di Palma da quei fiori che la madre metteva in vendita ha imparato, ha coltivato un talento che poi è stato riconosciuto da autentici geni della creatività cinematografica. Ma senza il suo gusto particolare, senza il suo talento istintivo, senza la sua capacità cromatica forse oggi non saremmo qui a ricordare una serie di capolavori della storia del cinema ma un elenco di titoli con in comune il direttore della fotografia. E invece stiamo parlando di luce, di capacità di dosarla e soprattutto di sensibilità che in questo caso si è manifestata con la fotografia al cinema, ma prima ancora come grande sensibilità umana.
Da Il Manifesto, 10 luglio 2004