Woody Allen (Allan Stewart Konigsberg) è un attore statunitense, regista, scrittore, sceneggiatore, musicista, è nato il 1 dicembre 1935 a New York City, New York (USA). Woody Allen ha oggi 88 anni ed è del segno zodiacale Sagittario.
Inizia la carriera nel mondo dello spettacolo a 17 anni, quando viene assunto dalla NBC, scrivendo gag per comici e produttori televisivi. Scrive la sua prima sceneggiatura per il cinema nel 1965 (Ciao Pussycat, interpretato dal camaleontico Peter Sellers) ed esordisce come regista in Prendi i soldi e scappa.
Il suo cinema, sempre raffinato e impreziosito dalle performance dei grandi divi hollywoodiani che hanno spesso ridotto i loro cachet per poter essere da lui diretti, si pone a cavallo tra la commedia farsesca dei fratelli Marx e i drammi filosofici bergmaniani. La persona e il suo rapporto con gli altri, con le donne soprattutto, il rapporto tra maschera e volto (tema centrale in film come Zelig, forse il suo capolavoro che racconta le vicissitudini di un uomo che per piacere agli altri assume le loro sembianze), la critica alla società di massa, la psicanalisi e il sesso sono i temi più cari al regista ebraico.
Inizialmente comico al cento per cento, ai tempi di Amore e guerra e del Dittatore dello Stato libero di Bananas, la sua satira corrosiva presto si amalgama con temi più personali che si intrecciano spesso con la sua vita privata: le sue due compagne di vita, Diane Keaton prima e Mia Farrow poi, sono presenti in tutte le sue opere, così come altri suoi due grandi amori, New York e il jazz, diventano addiritura protagonisti in pellicole indimenticabili come Manhattan e Radio days. Spesso ignorato dall'Academy, il suo unico Oscar risale ai tempi di Io & Annie nel 1977, Woody ha trovato spesso più soddisfazioni, anche economiche, in Europa dove, specie in Italia e Francia, i suoi film ottengono risultati lusinghieri al botteghino e sono molto apprezzati dalla critica.
Dopo un periodo di appannamento a metà degli anni Novanta, dovuto alle beghe familiari e alla burrascosa rottura con la Farrow, Woody è tornato al successo, anche grazie alla partnership commerciale con la Dreamworks di Spielberg che gli ha garantito una forte visibilità negli USA, con gradevoli commedie come Accordi e disaccordi e La maledizione dello scorpione di Giada.
A vederlo, al Festival di Cannes, il nostro Woody Allen aveva l'aspetto di sempre: un uccelletto spiumato con pochi capelli bianchi, un po' curvo, l'aria smarrita data dalla avanzante sordità. Con gli occhi desolati e ansiosi di chi poteva immaginare una vecchiaia tranquilla e si ritrova adesso, a 70 anni, a lavorare duro per mantenere l'ex moglie Mia Farrow e i figli adottivi di lei, suo figlio che lo detesta e vive con la madre, i propri due figli adottivi, la moglie Soon Vi che è ingrossata conservando una passione vorace per i diamanti e ogni lusso in genere, gli avvocati, gli amministratori, e peri soldi è obbligato a fare tutte quelle cose che ha sempre odiato ed evitato, conferenze stampa, apparizioni personali, distribuzione di autografi, tournée musicali, presenza alle sfilate di moda.
Chiunque sarebbe distrutto se non fosse intelligente e astuto come lui. A vedere il suo nuovo film Match Point infatti, si constata che ha mutato il suo cinema, ha fatto una svolta secca. Nel film non c'è più l'amata New York, non ci sono battute spiritose né intellettuali né chiacchiericci mondani né bellissime canzoni americane né donne-idolo, non c'è lui. Tutto, di colpo, è cambiato: Londra, i ricchi inglesi, arie d'Opera italiane («Una furtiva lagrima», «Caro nome», «Mal reggendo l'aspro assalto»), un protagonista giovane e bellissimo (Jonathan Rhys Meyers), una storia classica d'amore, di morte e dei destini del caso, una vicenda di ambizione senza qualità e di delitto senza castigo.
Molto bello, perfetto: ma sembra diretto da un altro. È stato questo del resto il fenomeno dominante al Festival di Cannes 2005: registi di ricerca e d'avanguardia assolutamente personali come appunto Alleno David Cronenberg o Atom Egoyan o altri, che hanno rinunciato ai propri orrori, massacri storici o ironie per adottare (con grande maestria, si capisce) stile classico, storie classiche. Sarà pervia della recessione globale, che esige prodotti culturali certamente vendibili; sarà che i Giovani Registi d'un tempo hanno ora tra i quarantasei e i sessantadue anni,e non sperano più nell'avanguardia, essendosi maturati, arresi. Certo, per quanto siano bravi, è un peccato non riconoscerli più.
Da Lo Specchio, 28 maggio 2005
Col prossimo film tornerà a New York, il primo amore. Ma ora in sala c'è Vicky Cristina Barcelona, il suo omaggio alla capitale catalana. Prima aveva tradito Manhattan con Londra. E ancor prima aveva fatto una puntata a Parigi e a Venezia. Eppure, per lui, hanno tutte qualcosa in comune…
Woody Allen torna a casa: il prossimo film sarà di nuovo ambientato a New York, la città che ha trasformato nei suoi film nel luogo ideale dell'amore, dell'eleganza e della cultura, la città romantica e vitale che ha reso desiderabile per milioni di spettatori nel mondo occidentale, alla quale ha reso un servizio e un omaggio incommensurabili. In realtà, il suo rapporto con New York è più creativo che realistico, come è accaduto con altre città dove i guai della vita e del lavoro l'hanno portato: le patti della città che gli sono famigliari sono rappresentate con affettuosa fedeltà e minuzia, le altre parti (più oscure o estranee) vengono ignorate. Il mondo è come Woody Allen lo vuole, è lui a imporsi con i suoi film sulla realtà.
È diversa la visione di Barcellona, capitale della Catalogna e seconda città di Spagna, palcoscenico dell'ultimo film Vicky Cristina Barcelona. Le due protagoniste sono turiste americane colte, come in una virtuale cartolina non trascurano alcuna attrazione della città: le architetture barocche e sinuose di Antonio Gaudí, la cattedrale della Sagrada Familia, il Parco Guell, la casa la Pedrera; e poi il parco di divertimenti del Tibidabo, l'ospedale di San Paolo, il Museo Nacional d'Art Catalunya, il Port Olimpic; con il grande mosaico del murale di Mirò all'aeroporto il film comincia, con le scale mobili dell'aeroporto finisce. Opere architettoniche a parte, il film esalta sin troppo il fascino di Oviedo e Avilés, due città delle Asturie sulla costa settentrionale del Paese; ma soprattutto coglie l'atmosfera sensuale e morbida della Rambla, dei giardini interni, dei piccoli ristoranti di Barcellona. È, quest'ultima, un'altra caratteristica di Woody Allen: in ogni città dei suoi film, più della realtà conta l'immagine, l'invenzione, il mix di memorie cinematografiche e di necessità narrative.
È così in Ombre e nebbia, 1992: il quartiere popolare di una cittadina dell'Europa centrale negli anni Venti, naturalmente del tutto ricostruito in studio, modellato sul cinema tedesco di quel tempo, sui film di Pabst e Jutzi più che su quelli espressionisti, evoca le tensioni sinistre dell'antisemídsmo e dell'intolleranza. È così in Tutti dicono I Love You», 1996, prima commedia musicale di Allen casi amante delle canzoni belle, storie amorose di una ricca famiglia newyorkese in viaggio per l'Europa tra Parigi e Venezia, altre città amate dal regista. Parigi è sempre Parigi e Venezia, un amore più recente, è il paesaggio acquatico e buio (come lo aveva immaginato Federico Fellini) di sentimenti segnati dalla precarietà e dalla malinconia. Nei primi anni del Duemila Woody Allen comincia ad avere difficoltà produttive negli Stati Uniti: finita la Orion, società produttrice che aveva assicurato molto a lungo il suo ritmo creativo (un film all'anno), resistente una forte ostilità sociale contro di lui nata dal rapporto con Soon Yi, la adolescente figlia adottiva coreana di Mia Farrow, poi divenuta sua moglie, decide di girare a Londra il suo film Match Point, 2005, e i due film seguenti, Scoop, Sogni e delitti, 2006, 2007. In queste opere' (sul caso e sul delitto senza castigo, sui soldi e sull'assassinio) Londra appare grigia, elegante, insidiosa come nei primi film di ~ Hitchcock: l'assenza o la rarità dei rumori, le ricche residenze dei miliardari, i giardini ordinati, le famiglie apparentemente armoniose danno alla storia un'aria misteriosa, fuori del tempo. La città non appare bella ma silenziosa, composta. Comunque, accetta bile: nonostante una certa analogia con un insieme tombale, piuttosto somigliante a quella della Jugoslavia dove il regista aveva realizzato la farsa storico-citazionista Amore e guerra, 1975.
Dettaglio non secondario: compresa New York, quasi tutte le città che Woody Allen ha scelto per i 36 film che ha diretto tra il 1966, quando aveva 31 anni, al 2008 dei suoi 73 anni, sono vuote. A volte capita che ci sia qualche comparsa o personaggio minore utili alla narrazione, qualche piccola folla che serve a popolare una festa, una coda per il cinema, una conferenza stampa, un linciaggio: ma in genere vie e piazze sono deserte o semideserte. Può voler dire diverse cose. La ricerca di risparmio, l'eliminazione dei costi di un realismo inutile espressione di un desiderio di solitudine dell'autore, il suo scarso interesse per l'arredamento umano di un film in cui contano soltanto i protagonisti portatori di pensiero, di sentimento odi bellezza (i protagonisti dell'ultimo film sono Scarlett Johansson, Penelope Cruz, Javier Bardem, Patricia Clarkson). O magari vuol dire che Woody Allen può cambiare le città-scenografia in cui lavorare e rappresentare la vita, ma non può accettarne i cittadini, la folla solitaria.
Da Lo Specchio, Novembre 2008
Per - “ebreo liberai paranoico sciovinista maschio, farisaico misantropo, nichilista disperato”, Woody Allen da trent'anni incarna il “wit nuovayorkese”. Sono venticinque i film della sua “commedia umana”, o ventotto, mettendo nei conto i tre fatti con altri sotto la sua prepotente ala nevrotica. Partito in sordina, come un attore che porta il suo carisma comico sullo schermo in film - a rivederli - episodici e semplici, Woody Allen si è conquistato ben presto il diritto di cittadinanza tra i veri cineasti con la leggerezza del suo genio - opposta alla pretenziosità intellettuale -, con uno humour che non rinnega la tenerezza, con l'ironia come contravveleno alla banalità. Che si prediliga il paesaggio con figure di Manhattan (1979) o il sogno fantastico di La rosa purpurea del Cairo (1985), l'insuperabile apologo sull'adattabilità umana che è Zelig (1983) o i dolorosi rapporti sororali di Hannah e le sue sorelle (1986), la sconsolata favola morale di Crimini e misfatti (1989) o il pezzo palpitante di vita di Mariti e mogli (1992), Woody Allen è un regista senza cadute, nella cui filmografia ogni tassello può essere più o meno felice, ma contribuisce a creare un impareggiabile quadro della vita urbana contemporanea, delle sue nevrosi, delle sue sofferenze, dei suoi nuovi sentimenti. E delle sue gioie: annotiamo qui, perché ciascuno possa meditarle, le “cose per cui vale la pena vivere” elencate alla fine di Manhattan: Groucho Marx, il giocatore di baseball Willie Mays, il secondo movimento della sinfonia Jupiter, Potato Head Blues, i film svedesi, L'educazione sentimentale, Marlon Brando, Frank Sinatra, le nature morte di Cézanne, i granchi di Sam Wo, il viso di Tracy... che è la dolce Mariel Hemingway di cui Woody Allen è innamorato nel film. Nella mia lista personale la sua commedia umana occupa uno dei primissimi posti.
Da Irene Bignardi, Il declino dell'impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996
Il cinema di Woody Allen si specchia in quello di Ingmar Bergman, ma non ci si smarrisce. Un'altra donna racconta il tragico della vita: la solitudine dell'individuo, l'avventura della sua memoria, il suo viso che il tempo costruisce come maschera di menzogne, la tenerezza sepolta sotto l'opaco egoismo accumulato negli anni, la colpa d'aver tradito quel che la giovinezza aveva promesso. Questo suo "racconto" è simile a quello di Il posto delle fragole (1957) e di Persona (1966), ma anche di Sinfonia d'autunno (1978 in Marion c'è qualcosa sia della Eva che della Charlotte di quel film) e Alle soglie della vita (1957 alla futura madre spaventata Hiordis si avvicina la futura-madre spaventata Hope). Ma la somiglianza non è identità: ciò che li distingue è tanto radicale da evitare che nello specchio dello svedese l'americano perda se stesso. Il cinema di Bergman è dominato dal senso sacro della verticalità, in ascolto di una dimensione che sta al di sopra dell'individuo, della sua vita quotidiana. Dietro e dentro i suoi film c'è la grande cultura "premoderna" protestante, dalla "theologia crucis", cioè dall'"abbandono" dell'individuo da parte di Dio che fu il centro dell'esperienza religiosa di Lutero, alla "differenza infinita" kierkegaardiana. Una differenza infinita, appunto, separa irrimediabilmente l'individuo dall'assoluto, e insieme però all'assoluto lo chiama, lacerandolo. L'assoluto può essere Dio, come nei film del primo periodo, o il sogno di un io armonico e non scisso, non divorato dalla colpa. In ogni caso, il racconto più vero del cinema di Bergman è il silenzio: il silenzio straziante di Dio, o dell'io. Il cinema di Allen - quello comico allo stesso modo di quello tragico - è attraversato invece dal senso laico dell'orizzontalità. I suoi personaggi vivono nella "modernità ", nella vitale contraddizione della metropoli (la sua poetica è newyorkese in senso profondo, legata ai valori della maggior città del mondo). In loro è cresciuto a dismisura il senso dell'io, dell'individualità: questo è il primo lato della contraddizione della modernità, la ricchezza umana della metropoli. Insieme, però, vivono la paura che questo io e questa individualità si riducano a nulla, persi nella complessità e nell'instabilità dei rapporti: questo è il secondo lato della contraddizione della modernità, la povertà umana della metropoli. Marion tradisce quella ricchezza per paura di questa povertà: per egoismo meschino, per mancanza del coraggio di vivere - ecco il punto di partenza di Un'altra donna. La sua esistenza è superficiale e ordinata, almeno fino a quando il libro che si trova a dover scrivere muove quel che in lei pareva sepolto. Dal basso, dall'inferno della memoria - dalla grata da cui vengono le "voci" che la attraggono -, riemerge il suo disordine, dissolvendo la superficie di una vita di autoinganni. Ora, come l'attrice Elisabeth di Persona, Marion viene assalita dall'angoscia: la sua superficialità le si rovescia addosso. Elisabeth - ricordate? - rifiuta di parlare, si rifugia in un silenzio autistico, interrotto solo alla fine del film dalla parola "nulla". La sua "maschera" - il suo io non autentico, recitato - è stato schiacciato dall'alto, sotto il peso di una scoperta "verticale", metafisica: la sua mancanza di senso di fronte alla terribilità sacra e vuota dell'assoluto. Anche Marion scopre di essere oppressa da una maschera (mostrata due volte nel film). Ma questa maschera non vela (e perciò non svela) il nulla dell'assoluto: è invece il risultato psicologico e storico della sua vita, il prodotto "orizzontale" del suo egoismo. La sua angoscia non è metafisica, non ha niente a che vedere con il sacro. è piuttosto una sfida laica al suo coraggio di ripensare se stessa, di ricominciare. Ricominciare significa per lei riattraversare il passato, tuffarsi nella memoria che riemerge dall'inferno. Marion, dunque, ripercorre il cammino del vecchio Isaac Borg di Persona. Come lui, anche lei viene invasa dalla colpa e dalla tenerezza: dalla tenerezza di affetti che sono morti, dalla colpa d'averli lasciati morire, per egoismo. Il viaggio di Isaac nella memoria approda alla quiete: ma è una quiete senza speranza, solo una riconciliazione con un passato irrecuperabile (ecco una versione "psicologica" della "differenza infinita"). Il vecchio, alla fine del film, osserva i genitori con lo stesso amoroso rimpianto, con lo stesso senso di perdita con cui Bergman chiude la sua splendida autobiografia (Lanterna magica, Garzanti). Per entrambi, la memoria è qualcosa che si è perduto, e che può solo essere rievocato. E invece è la speranza che chiude Un'altra donna (Hope, speranza, si chiama appunto la giovane madre del film). Marion ha avuto il coraggio di esplorare fino in fondo la memoria e di riemergere dall'inferno: la mano del fratello Paul sulla sua spalla le ridà la tenerezza smarrita, le restituisce le promesse che il suo egoismo ha tradito. Dopo quasi ottanta minuti di penombre autunnali, attraverso una finestra filtra il sole. Per lei, di certo, la memoria è qualcosa che si è trovato.
Da Il Sole 24 Ore, 5 Marzo 1989
Della Torah e dei suoi influssi sull'indice Nasdaq . Delle esecuzioni capitali sponsorizzate dalla Nike. Delle T-shirt griffate come baricentro dell'identità. Sono alcuni dei comportamenti mentali che si sono agitati, di questi tempi, nella mente di Mr.Woody AIlen. E non in un impeto nostalgico dei tempi in cui - era il 1973, Woody immaginava il terzo millennio strampalato e postatomico di Il dormiglione, né in previsione di tuia nuova commedia amara e sofisticata, come quelle che il regista statunitense ha confezionato negli ultimi anni - Match Point, Scoop o il nuovo Cassandra's Dream, fuori concorso alla prossima Mostra del cinema di Venezia. Piuttosto, come surreali spunti dei racconti di Pura Anarchia, con cui Woody ritorna come scrittore comico, vent'anni di assenza dalle librerie. A ricordarci che, prima ancora che regista celebre, AIlen è un grande maestro dell'umorismo scritto, aveva provveduto qualche anno fa Daniele Luttazzi: la sua nuova traduzione, nel 2004, delle tre celebri raccolte degli anni Settanta (ora intitolate Effetti collaterali, Rivincite e Senza Piume), ha restituito ai lettori italiani alcune delle battute più provocatorie, epurate nelle prime edizioni per pruderie (un «vibraton» si era addirittura trasformato in «fuochi artificiali») o malintese per scarsa conoscenza del background ebraico dell'autore. In Pura Anarchia sono riuniti racconti inediti e casual, brevi scritti d'occasione pubblicati linera solo su riviste americane come The New Yorker. È quindi curi una certa apprensione che si scorrono le prime pagine del libro, chiedendosi se - al di là del titolo - nel settantenne di oggi sia rimasto qualcosa dell'impertinente ragazzo di Brooklyn e del perverso, complessato, meraviglioso Allen della prima maturità. Niente paura. Come ha scritto il New York Times, questa raccolta è in alcune parti assolutamente «vintage Woody», una giacca di sartoria non modernissima nella linea ma che calza a pennello, per la delizia degli aficionados. Con l'aggiunta di un tocco privato, laddove l'ironia sposta le luci di scena sulle benestanti famiglie newyorkesi e la loro ossessione per la moda, la gastronomia, le scuole private dei figli, mostrando in controluce l'autoritratto di un attempato signore, magari pacificato, ma non meno feroce d'un tempo.
Se è vero che, come dice Luttazzi, «esistono 200 tecniche per comporre una battuta e Woody le conosce tutte», molti di quei trucchi da maestro aspettano il lettore in questa nuova raccolta. A partire dal gusto per la sproporzione, quella capacità di accostare in un'unica immagine i nostri bisogni profondi - la religione, l'amore, le ambizioni - e quelli più prosaici, fino alle erudite parodie coltivate dai tempi del cinematografico Amore e guerra.
In Ugole Sacher, tipico divertissement alleniano, il suo alter ego incontra per caso Fabian Wunch, impresario teatrale d'incerta fortuna, e si fa convincere a offrirgli il pranzo in un bistrot. Qui, usando anche Mouton del '51, escargot e altre delicatezze francesi, il tizio vuol convincerlo a portare a Broadway una commedia in costume. Protagonisti, nella Vienna inizio Novecento, una accolita di bohemién dai nomi illustri - Klimt, Schiele, Stefan Zweig - che impazziscono per la disinvolta e supersexy Alma Mahler, portando il marito, il celebre musicista Gustav, in cura dal dottor Freud per un accesso di gelosia. In Al di sopra della legge, al di sotto del materasso, Woody si diverte invece a parodiare A sangue freddo di Truman Capote, trasformando il grave delitto che ossessionò l'autore dì Colazione da Tiffany in un gesto surreale. Tra i villaggi dell'America rurale una coppia di balordi va in giro non a sgozzare famiglie inermi ma a tagliare le etichette dei materassi; per tale assurdo delitto verranno giustiziati in diretta tv, sponsor la Nike che vuole a tutti i costi inserire il logo sul cappuccio nero. A mo' di conclusione, discutendo della capacità della pena di morte di fare da deterrente, si cita uno studio secondo il quale, in effetti, il decesso riduce di quasi la metà la probabilità che i criminali tornino a delinquere.
Altrove sono vizi e mode del terzo millennio, messe a coltura nel bizzarro microcosmo newyorkese, a finire sotto il microscopio.
In Glory Glory Halleluja, venduta! un autore tv disoccupato entra nella squadra di Moe lo Smazza preghiere, un tizio che fa fortuna vendendo su eBay preghiere personalizzate. Da uno stanzone di Brooklyn tutt'altro che sacrale, e che anzi non fa invidia per tasso d'adrenalina alla redazione del Washigton Post, i suoi scribacchini diffondono in Internet suppliche molto terrene. Se Israele gioisce perché la Borsa è in risalita, magari un suo aiutino potrebbe essere utile anche al Nasdaq. E non è detto che, anche se non si appartiene proprio alla crème, il Signore non possa mettere una buona parola per ottenere il sognato bilocale a Park Avenue. In Errare è umano, fluttuare è divino il protagonista sceglie invece la via della new age, complice una setta guidata da una maggiorata stile b-movie che riduce in schiavitù i suoi adepti. Per chi non può evitare di cercare in ogni lavoro di Allen la sua propensione all'autoanalisi, il regista ci offre tracce della sua vita di oggi. Mostrandosi per come è diventato, un maturo un intellettuale della New York upper class, con al fianco una moglie più giovane, quella Soon Yi che fu la pietra dello scandalo, ormai trasformata in silenziosa e sobria signora borghese.
Così, se un tempo Woody ci ossessionava con la mania per la psicoanalisi, l'ingordigia sessuale, li perenne senso di inadeguatezza dei suoi alter ego, oggi ci invita a seguirlo tra baby-sitter e ristrutturazioni immobiliari, scuole private e j cibi gourmet come cardini del suo i ménage. In Vacanze d'essai fa il ritratto di Algae, ricco e stolto adolescente urbano spedito in un costoso campo estivo per imparare i rudimenti della regia, ovvero il modo per procurarsi, in età adulta, un congruo conto in una banca e una villa con piscina a Bel Air. Cerca complicità in Tata carissima, spiegandoci che la moglie ha licenziato la francesina alla pari quando ha scoperto che il marito, poverina, aveva preso l'abitudine di portarle la colazione a letto. La sostituta, naturalmente, sarà un'orribile megera. Miracolosamente ci convince di essere non diverso da tutti noi. Un piccolo; uomo ignobile, inadeguato alle richieste degli altri e alle sue stesse ambizioni, spaventato dal rischio continuo di essere colto in fallo. Ma disposto a confessarlo in un racconto o in un film per farci ridere.
Da Il Venerdì di Repubblica, 17 Agosto 2007
Mentre sta per uscire il suo ultimo film «Sogni e delitti», Woody Allen racconta cosa pensa della politica, del uso paese, delle prossime elezioni. «Stavolta voterò democratico» dice «perché Bush per noi ha significato otto anni di sciagure». Ma aggiunge «Torneremo presto a dar lezioni di democrazia»
«La società americana non ha mai toccato un livello di moralità e civiltà così basso. Colpa dei suoi governanti e dell'amministrazione Bush. Ma sono sicuro che la situazione sta per cambiare. Con le prossime elezioni torneremo a essere un Paese che può dare lezioni di democrazia a tutto il mondo».
Woody Allen non è mai stato un regista «impegnato», ma questa volta sente che gli Usa hanno bisogno di una svolta radicale: «Negli anni passati non sempre ho votato democratico, ma per queste elezioni penso proprio che lo farò».
Le primarie con le quali si sceglierà, fra i candidati democratici e repubblicani, chi correrà per la Casa Bianca a novembre, sono appena iniziate. E, nelle prossime settimane (il primo febbraio), uscirà nelle sale italiane l'ultimo film del regista più psicanalizzato d'America, Sogni e delitti. Un'altra storia di omicidi impuniti, dove due fratelli (Colin Farrell e Ewan McGregor) vengono sedotti e corrotti dal denaro di uno zio potente, che promette ricchezza in cambio dell'assassinio di un suo ex socio.
Dopo Match Point e Scoop, anche questo è girato a Londra e anche questa volta si parla di quanto il delitto paghi molto più dell'onestà. L'autore di Io & Annie, Provaci ancora Sam e di una lunga serie di film che hanno fatto il verso con straordinaria arguzia alla società intellettuale newyorkese e alla sua mania per il lettino dello psicanalista, negli ultimi anni sembra aver virato sul drammatico. Ha lasciato il suo Paese e si è messo a raccontare, sempre con leggerezza, il lato oscuro della natura umana: intrighi, tradimenti, assassini, slealtà. Come se il paesaggio dell'animo fosse metafora della societa americana attuale, corrotta e ormai debole. «In realtà io amo le tragedie. Il senso di colpa mi ha sempre affascinato, è lui la mia vera ispirazione» dice il regista, sprofondato nella poltrona di un albergo veneziano.
La sua vita è stata spesso attraversata da bufere e polemiche: da quella ormai lontana con Mia Farrow a quelle più recenti con la stampa catalana, che lo ha accusato di aver preso finanziamenti pubblici per il film che ha appena finito di girare in Spagna. Ma lui attraversa tutto con calma flemmatica. La sua aggressività, in una sorta di proiezione freudiana, la riversa sullo schermo.
Negli ultimi tre film ha ammazzato un sacco di gente facendola franca. Mister Allen, non sarà che ha davvero voglia di uccidere qualcuno?
«Mentirei se dicessi di no. Per motivi legali non posso certo fare i nomi di tutti quelli che ammazzerei volentieri: però potrei fare una lunga lista di persone senza le quali, secondo me, il mondo sarebbe migliore».
Ad esempio?
«Vuole che finisca in galera?».
Anche se non parlano esplicitamente di politica i suoi film europei sembrano essere una metafora della corruzione del suo Paese e del governo Bush. È così?
«Sì. Stiamo attraversando un periodo buio della nostra storia perché per otto anni abbiamo avuto un'amministrazione terribile che ha portato al nostro Paese solo disgrazie e guerra. Non è questa la condizione normale dell'America. Normalmente noi americani rispettiamo gli standard di democrazia del resto del mondo civile. Siamo un buon popolo, di certo non peggiore degli altri. Anzi, a volte migliore. Mi auguro davvero che con le prossime elezioni tutto questo cambierà».
Perché allora non gira un film chiaramente politico?
«Perché sarebbe immediatamente vecchio. La politica cambia continuamente. Preferisco parlare di sentimenti e passioni. Appartengono a tutti, in tutti i tempi». Nei suoi ultimi film il delitto rimane sempre impunito. Pensa davvero che sia così? «Si. Nel corso degli anni mi sono accorto con grande sgomento che non è vero che il delitto non paga, come spesso si dice. Il crimine purtroppo ha pagato e continua a pagare molto bene».
Quali sono i delitti che rimangono impuniti nel mondo?
«Ce ne sono in tutti i campi, dai crimini brutali della vita quotidiana a quelli più sofisticati. Però quelli che mi colpiscono di più, che mi fanno più arrabbiare sono i crimini e i misfatti di Stato e quelli delle grandi corporation».
Per molti anni ha raccontato la borghesia intellettuale e la sua ossessione per la psicanalisi. Perché non lo fa più?
«Perché quella società è cambiata. La psicanalisi è entrata a far parte della vita quotidiana. Tutti hanno il loro strizzacervelli e non ci fanno più caso. L'analisi fa parte ormai del modo di pensare e di affrontare la vita della maggior parte degli americani».
E lei va ancora in analisi?
«No, però ci sono andato per trent'anni e continuo ad avere un grande rispetto del signor Freud. Negli ultimi tempi, attraverso la fisica quantistica e lo studio dei diversi stati di coscienza del cervello, sono emerse delle nuove possibilità interpretative. Sono, quindi, affascinato dalle risposte che queste nuove scienze danno alle domande che l'umanità si pone da sempre».
Pratica la meditazione?
«No, ma ci sono dei miei amici che la fanno e ne dicono un gran bene».
Nei suoi ultimi film, da Match Point a Sogni e delitti, è molto forte il senso dell'etica. Con gli anni è diventato moralista?
«Ho sempre pensato, e continuo a farlo, che ognuno di noi è obbligato nella vita a fare scelte e ad avere opinioni di tipo morale. È vero, a volte è necessario scendere a compromessi. Ma c'è chi lo fa anche quando non è indispensabile. L'obiettivo ideale rimane quello di avere comportamenti etici».
Lei ha avuto una vita molto movimentata. Qual è stato il momento più difficile e sofferto?
«Sono stato un uomo molto fortunato perché non ho mai vissuto momenti davvero drammatici in cui ho senti.o che la mia vita era miAacciata. Certo, ci sono sta:e situazioni difficili e conlittuali. Ma in fondo erano
Da Il Venerdì di Repubblica, 4 gennaio 2008
«I miei film descrivono la New York dei miei sogni, dei miei desideri, a volte dei miei ricordi. Vivo in una zona circoscritta. Una mia isola. Lì mi sento sicuro»: questo pensa, e fa, il regista più «metropolitano» che esista. Nasce da famiglia ebraica, non porta a compimento gli studi, si improvvisa gagman per la tv, si esibisce nei night, sceneggia nel 1965 un film di Clive Donner (Ciao, Pussycat) ,scrive commedie: una di queste -Provaci ancora Sam diventerà nel 1972 un film con la regia di Herbert Ross e la interpretazione (smarrita e sorniona, come tutte le altre) dello stesso Allen, impegnato in una patetica sfida con il fantasma di Humphrey Bogart.
Nella regia esordisce nel 1969 con una farsa spassosa (Prendi i soldi e scappa) che lo vede anche interprete, come quasi tutti i film successivi. E con le farse, sgangherate e passabilmente pungenti, continuerà fino al 1977, quando, per Io e Annie ,imbastirà una commedia autobiografica zeppa di nevrosi e di tenera autoindulgenza (gli è al fianco Diane Keaton, che per alcuni anni sarà la sua compagna): quattro Oscar lo premieranno. Qui si apre quella vena riflessiva e autoriflessiva che accompagnerà l'autore lungo tutta la carriera: con il fiacco Interiors (1978) si ispira alle atmosfere bergmaniane, con il più articolato Stardust Memories (1980) strizza l'occhio, spiritosamente, a Fellini, ma è solo con la splendida elegia newyorkese Manhattan (1979), percorsa trionfalmente dalla musica di Gershwin, che riesce a conciliare cultura, autobiografia e commedia. Ogni volta che ritroverà questo equilibrio, senza smarrire il gusto sarcastico della battuta, otterrà risultati eccellenti o comunque interessanti: Commedia sexy in una notte d'estate (1982), La rosa purpurea del Cairo (1985), un film sul cinema e le sue illusioni, lo straordinario Hannah e le sue sorelle (1986), una saga familiare dolce-amara che fa coppia con la successiva in Radio Days (1987), l'agghiacciante referto di Crimini e misfatti (1989), il ricalco espressionistico con echi kafkiani di Ombre e nebbia (1992), la elegante parodia del film gangster Pallottole su Broadway (1994). Tutto gira, a parte Ombre e nebbiaintorno a New York e agli incubi di un intellettuale infelice. Le vicende della vita privata (prima la relazione
con Diane Keaton, poi quella con Mia Farrow, bruscamente interrotta, con clamore e scandalo, nel 1992) si sublimano poco a poco, spiritosamente e dolorosamente insieme, nel ritratto dell'americano in crisi.
Fernaldo di Giammatteo, Dizionario del cinema. Cento grandi registi,
Roma, Newton Compton, 1995